Mondo
A Gerusalemme la gente ci crede
"Nella città santa cè la sensazione che sia la volta buona", dice Luigi Bobba, rientrato dal pellegrinaggio per i 60 anni dellorganizzazione. "Anche perché i cristiani...".
L?8 febbraio, quando si sono lasciati alle spalle il profilo di Gerusalemme diretti verso l?aeroporto di Tel Aviv, era ormai sera. Durante la giornata avevano potuto registrare in presa diretta, per le strade, le reazioni suscitate dalle buone notizie giunte da Sharm el Sheikh. I 250 italiani in pellegrinaggio in Terra Santa per i 60 anni delle Acli sono stati testimoni diretti della speranza di pace rifiorita dal vertice egiziano: «C?è attesa, da entrambe le parti. È diffusa la percezione che finalmente ci sia un?occasione reale di pace», spiega Luigi Bobba, presidente delle Acli. «Ammesso che questo incontro sia il preludio alla possibilità di riprendere il cammino, la strada della pace resta difficilissima per cinque motivi».
Li elenca tutti, Bobba, a cominciare dal problema dei confini, che «devono essere giusti per Israele senza essere umilianti per la Palestina», e dei coloni: «Sul posto ci si accorge che si parla di interi villaggi: come si può pensare di tornare indietro? In questo senso il muro non sta aiutando per niente». Il terzo problema è quello dei rifugiati palestinesi: 3 milioni. Israele non vuole riaccoglierli, ma è difficile che possano vivere tutti in Palestina. E poi Gerusalemme: sarà una città divisa, la capitale di entrambi gli Stati, una città a statuto garantito dalle autorità internazionali, come ha chiesto il Vaticano? «Ma la questione decisiva, anche se mai ricordata, è l?accesso all?acqua», conclude Bobba. «Il lago di Tiberiade è l?unico bacino per Israele, Palestina e Giordania».
Molti sono però anche i segni di speranza che il pellegrinaggio delle Acli ha toccato con mano. «Esperienze che fanno capire come il punto non sia cancellare differenze e ferite, ma restituire una possibilità di futuro, partendo dai giovani», continua Bobba. E racconta delle tre scuole miste aperte a Gerusalemme, a Giaffa e in Galilea, dove le materie vengono spiegate sia in arabo sia in ebraico: quest?anno, per la prima volta, le richieste di iscrizione sono state superiori ai posti disponibili. Racconta del Parent?s Circle, un?associazione di 500 famiglie ebree e palestinesi che hanno perso dei figli nel conflitto e scelto di avviare un percorso di riconciliazione, e della casa di suor Sophie, a Betlemme, che accoglie bimbi abbandonati e le ragazze madri ripudiate dalla cultura musulmana. «La comunità cristiana in Terra Santa è un segno di speranza», ricorda Bobba. «È una minoranza, 350mila cristiani e 12 confessioni. Eppure le Chiese offrono un esempio di unità: nella lettera congiunta che ogni anno scrivono per Natale e Pasqua e in molte opere di promozione umana che raggiungono tutti, indistintamente. Senza di loro andare in pellegrinaggio in Terra Santa sarebbe vedere solo un mucchio di pietre».
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