Non profit

Auto, il nostro cappio al collo

Si continua a riempire il nostro Paese di veicoli, togliendo aria ai nostri polmoni senza riuscire neppure a fornire un aiuto all'economia.

di Giuseppe Frangi

omenica 13 febbraio: la Fiat annuncia, con accenti trionfalistici, di aver trovato un accordo con General Motors, che rinuncia all?opzione di acquisto. Martedì 15 febbraio, in gran parte delle città del Nord per il perdurare delle percentuali altissime di Pm10 nell?aria, le auto possono circolare a targhe alterne. Due notizie concomitanti e decisamente schizofreniche: se qualche storico dovesse domandarsi quale idea di mondo e di sviluppo avesse l?italiano del 2005 avrebbe davvero bei grattacapi a cavarci una soluzione sensata. Proviamo a ragionare. La Fiat nel 2004 aveva una quota intorno al 28% del mercato nazionale, con oltre 660mila auto vendute con i suoi diversi marchi. Gli osservatori attenti dicono che questo presidio di mercato ancora massiccio nonostante anni di pesantissima crisi (si pensi che sul mercato europeo in solo quattro anni Fiat è passata dal 13 al 7% di quota di mercato), sia il più grande tesoro che la Fiat abbia in portafoglio. In sostanza, il valore della casa automobilistica torinese è soprattutto quello di essere italiana e di mantenere una buona posizione su un mercato non indifferente costituito da 56 milioni di ottimi consumatori. I quali sono sollecitati a comperare auto (siamo secondi in Europa dietro alla Germania: ma i tedeschi son più di 80 milioni) e così facendo, oltre a puntellare quel colosso traballante, contribuiscono purtroppo in modo determinante a rendere irrespirabile nei mesi invernali l?aria delle grandi città italiane («A Milano non respiriamo più», ha gridato persino il compassatissimo Gabriele Albertini, sindaco della città).
Come ha evidenziato argutamente Antonio Stella sul Corriere della sera, in Italia si vendono quattro auto ogni bambino che nasce. Potremmo aggiungere che ognuna di quelle auto, se è Fiat, viene venduta a prezzi minori del costo di produzione, visto che ha prodotto un debito di un miliardo di euro nei primi nove mesi del 2004 (per rientrare dalla compressione dei prezzi tutte le case automobilistiche favoriscono spregiudicatamente vendite rateali, dove il business diventa quello finanziario).
Insomma, continuiamo a riempire il Paese di auto, togliendo aria ai nostri polmoni e senza neppure riuscire a dare fiato alla nostra economia. Perché questo è il punto cruciale, che ormai tutti gli osservatori più attenti delle dinamiche sociali sottolineano: l?Italia è un Paese dalle grandi ricchezze e dai grandi dinamismi (basti leggere i ?racconti? sulle trasformazioni dell?imprenditorialità in alcuni cruciali distretti italiani, pubblicati nel primo numero di Communitas). Ma per una ragione o per l?altra quelle che Aldo Bonomi ha ribattezzato le ?mosche del capitale? hanno sempre schiacciato le formiche. Naturalmente con l?aiuto di una politica miope e connivente che anche questa volta sarà chiamata a dire la sua per tenere in piedi un colosso tornato, o rimasto, italiano ma che ha davanti a sé un futuro di stenti con i suoi 8miliardi di debiti e una scadenza cruciale a settembre con le banche che nel 2002 emisero un prestito decisivo per la salvezza del gruppo. Ancora una volta ?le mosche del capitale? si trasformeranno in idrovore? Ancora una volta dreneranno tutte le risorse lasciando alle formiche, che sono la vera ricchezza e il vero futuro di questo Paese solo le briciole? Se le cose dovessero andare così, meglio molto meglio, che la Fiat finisse a Detroit.

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