Mondo

Scontro frontale tra il Belgio e il Congo/Kinshasa

Il regime del presidente Kabila denuncia le dichiarazioni "diffamatorie" del ministro degli Affari esteri belga De Gutch al termine della sua visita in Rdc

di Joshua Massarenti

Il governo della Repubblica democratica del Congo ha giudicato “diffamatorie” le dichiarazioni riportate al termine della sua visita ufficiale in Rdc (16-19 febbraio) dal ministro belga degli affari esteri Karel De Gutch, a detta del quale “le uniche cose che ancora funzionano (in Rdc, ndr) sono quelle lasciate in eredità dalla colonizzazione (belga, ndr)”. Esprimendosi alla Radio Televisione fiamminga, De Gutch si era altresì detto convinto che in Rdc “pochi uomini politici sono all’altezza del compito che li attende”. Ricordando che “la diga (idroelettrica) di Inga e il ponte sul fiume Congo a Matadi (ovest Congo) sono stati costruiti ben dopo l’indipendenza”, il ministro degli affari esteri congolese Raymond Ramazani è andato giù pesante sottolineando che il “governo congolese fa fatica a capire l’accanimento di un ministro di un Paese amico con il quale intratteniamo attualmente rapporti ottimali e in nome del quale le autorità lo hanno accolto a bracce aperte”. De Gutch era già stato protagonista di affermazioni al vetriolo nell’ottobre scorso quando durante la sua tappa a Kigali (Rwanda) dichiarò di aver incontrato in Congo “pochi responsabili politici” in grado di “lasciargli un’impressione convincente”. La crisi diplomatica tra Rdc e Belgio era alle porte, ma poi tutto è rientrato nell’ordine. Ciò nonostante, il presidente congolese Jospeh Kabila non ha dimenticato. Di certo non ha mancato di ricordarlo al ministro degli affari esteri belga durante un tete-à-tete definito dallo stesso De Guth molto “teso”. In un’intervista esclusiva concessa al quotidiano belga Le Soir, Kabila ha detto “ciò che pensava al ministro, ricordandogli alcune sue dichiarazioni fatte l’anno scorso a Kigali”. “Il Congo” ha poi aggiunto il presidente, “non è una colonia, né del Belgio né di chicchessia”. Sottolineando il periodo politico cruciale che il Congo/Kinshasa sta attraversando, “gli ho ricordato che veniamo da molto lontano, che non bisognava sottovalutare ciò che abbiamo compiuto in quattro anni, in particolare dall’instaurazione del governo di transizione”. Il prossimo 30 giugno 2005 sono previste in Rdc delle elezioni. Ma dell’avviso di molti protagonisti della scena politica congolese, tra cui lo stesso presidente della Commissione elettorale indipendente, una serie di problemi tecnici non consente di rispettare il calendario elettorale. Su questa spinosa e quanto mai controversa questione, Kabila ha dichiarato che “il 30 giugno non è una data feticcia. Coloro che pensano che bisogna accelerare il tutto hanno torto, è necessario che l’esercizio (elettorale) risulti serio, per non dare un pretesto a coloro che già pensano che dopo (le elezioni) potranno contestare i risultati”. In tale ottica, Kabila si è detto convinto di poter contare sulla “comunità internazionale che ci sostiene” in questo ragionamento. Senza pronunciarsi su una data alternativa, il presidente congolese ha fatto riferimento ad alcune delle cause che con ogni probabilità spingeranno le autorità congolesi a dover modificare il calendario elettorale. Tra queste, i focolai di guerra che continuano a imperversare nell’est del Paese sono fonte di molti problemi per la stabilità del Congo, prerogativa assoluta per consentire ai 60 milioni di congolesi di recarsi in tutta sicurezza alle urne. “E’ fuori questione che il Kivu, ad esempio, rimanga fuori dallo scrutinio” ha detto Kabila che aggiunge: “Affinché sia possibile, bisognerà garantire la sicurezza a coloro che andranno a ritirare la loro carta elettorale per poi recarsi alle urne”. A proposito di sicurezza nel Kivu, Kabila rimane convinto che “siamo sulla buona via. Ci sono problemi qui e là, ma una serie di interventi sono in corso, sia sul piano diplomatico che su quelli politico e militare”. Su tutto, risulta incontornabile il “problema” degli Interahamwe. Ridotti a poco più di 10mila unità, questi presunti responsabili del genocidio rwandese sono stati sin dal 1994 (anno dello sterminio contro i tutsi rwandesi a opera di estremisti hutu rwandesi) fonte di profonda discordia tra il regime congolese e il Rwanda di Paul Kagame. Quest’ultimo, ha da sempre giustificato l’invasione e poi l’occupazione di una parte del territorio congolese con la necessità di difendere il Rwanda dalle “forze negative” (sottintesi gli ex interahamwe) supportate dal regikme congolese. Viceversa, Kinshasa accusa Kigali di prendere a pretesto la presenza di ribelli rwandesi per occupare e dilapidare le ricchezze naturali immense che ricopre il Congo nelle sue aree orientali. A dar ragione a Kabila, sono stati i rapporti stilati da esperti dell’Onu sui traffici di coltano e altri preziosi minerali che vedono coinvolti in prima linea le più alte sfere del potere politico rwandese. Sul fronte opposto, il Congo/Kinshasa ha riconosciuto di aver supportato nel passato i ribelli hutu per destabilizzare il Rwanda. Da parte sua, Kabila si è impegnato a voler “convincere pacificamente” i ribelli rwandesi a “tornare nel loro Paese”. In caso contrario, “passeremo all’azione”.


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