Politica

Ovvero, quando la realtà si “documenta” in film. Dopo Moore tocca a Wenders

In Francia li proiettano nei cinema, da noi la distribuzione spesso li nasconde.

di Sara De Carli

Michael Moore docet, e la mania del documentario dilaga. In fondo basta poco, pochissimo. Li chiamano mezzi leggeri, costano niente e puoi portarli ovunque. Loro, invece, possono portarti addirittura a Cannes, come per Moore, o a Venezia. Il Festival di quest?anno, che apre il primo settembre, inaugura una sezione nuova di zecca: Venezia Cinema Digitale. Qui molti film sono documentari. O meglio ?docufilm?, il vero nuovo genere che il digitale ha fatto nascere. Niente a che vedere con i documentari didattici di una volta. Altro anche dai reportage giornalistici, fatti per informare, o dai montaggi tipo Blob. Sono veri e propri film, che emozionano e fanno arrabbiare, con personaggi di cui innamorarsi. Che rubano fotogrammi alla vita e la portano in scena tutta intera. Potente, poetica, polemica. L?altra novità infatti è questa: che il docufilm mette a fuoco spaccati sociali dimenticati. Come dice Thierry Garrel, documentarista francese: «Il documentario non è una macchina per vedere, è una macchina per pensare». Ecco allora Letters to Ali, che affronta le condizioni di vita nei centri di permanenza australiani. E Parapalos, un film argentino che racconta di Adrián. Raccoglie i birilli al bowling e impara la vita: birilli che cadono, birilli che vanno rialzati. Molto più celebre la firma di Naomi Klein, che con Avi Lewis ha realizzato un film sull?occupazione di una fabbrica in Argentina, nel mezzo della crisi economica del 2001. E quella di Stefano Rulli, sceneggiatore di Mery per sempre e La meglio gioventù, che torna alla regia dopo Matti da slegare del 1975, documentario sul disagio psichico, in difesa della legge Basaglia. Un silenzio particolare è il titolo del suo nuovo film. Rulli narra il disagio mentale attraverso i volti degli ospiti dell?agriturismo ?La città del sole?: tra loro Matteo, figlio venticinquenne di Rulli. Con Matteo entrano in scena il padre e la madre, la scrittrice Clara Sereni. Non più ruoli, né personaggi, ma la quotidiana ricchezza di una famiglia diversa, che racconta con delicatezza le sue sfide e la sua gioia. Un docufilm, o quasi, anche tra i grandi in concorso: Wim Wenders ritrae la povertà negli Usa, autentica emergenza nel Paese del bengodi, girando con una camera digitale per le periferie di Los Angeles. The land of plenty è un film politico, che presenta un Paese dove, dice Wenders, «non manca la libertà di espressione, mancano persone che la usino». In attesa di vedere i film in concorso a Venezia, sono ancora documentari ad aprire la stagione cinematografica: il 27 settembre, lo stesso giorno dell?attesissimo Farenheit 11/9 di Michael Moore, esce nelle sale anche Sogni di cuoio. Sono i sogni naufragati di un gruppo di calciatori argentini con passaporto italiano, sbarcati da noi per giocare in C2, nel Fiorenzuola. Ma per capire fino in fondo quanto girare un docufilm sia questione di coinvolgimento personale, aspettiamo Super size me, documentario sulle abitudini alimentari degli americani. I 30 giorni di Mac Donald?s hanno lasciato al giovane regista Morgan Spurlock un premio e 11 chili in più.


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