Non profit

Che spettacolo la democrazia

Ognuna delle persone che si sono messe in fila per votare si sentiva mossa dal desiderio di dare un contributo al futuro del Paese.

di Giuseppe Frangi

E’ stato un spettacolo bello perché onestamente per tutti inaspettato quello che l?Iraq ha offerto al mondo domenica 30 gennaio. è stato uno spettacolo dal nome semplice e affascinante: democrazia. Ognuna di quelle centinaia di migliaia di persone che si sono messe in fila per mettere una croce sulla scheda, era mossa dal desiderio di poter di dir la sua sul futuro del Paese in cui vive. Era mossa da una convinzione così semplice ma così radicata, da sbriciolare tutte le perplessità, tutti i ?se? e i ?ma? con cui l?Occidente ha guardato a questa scadenza. «Siamo diventati tutti così disillusi», si è chiesto Michael Ignatieff, «che devono essere gli iracheni a rammentarci che cosa di valido può effettivamente significare una libera elezione?» Domanda pertinente, perché davanti a quello spettacolo, pur condizionato da tanti vistosi limiti oggettivi, è stato lo scetticismo del mondo ricco a finire impietosamente a pezzi. Ed è – si badi bene – uno scetticismo di tutti i colori. è caduto, per esempio, lo scetticismo di chi ha pensato (e gridato spesso volgarmente ai quattro venti) che islam e democrazia fossero categorie inconciliabili. Evidentemente era una certezza presuntuosa che non ha retto alla prova della realtà, perché un Paese con popolazione nella stragrande maggioranza di fede islamica, ha dato prova di un pluralismo persin caotico in campagna elettorale, con decine e decine di liste scese in campo, trasversali alle stesse famiglie religiose. Poi, a urne aperte, la fiducia espressa nel meccanismo elettorale è stata molto più netta di quanto non accada nei nostri democraticissimi e cristianissimi (sic) Paesi d?Occidente. Ma è caduto anche un altro scetticismo: quello delle tante cassandre che, con ragioni via via sempre più flebili, si sono ostinate a dipingere a tinte cupe il destino dell?Iraq occupato dai 150mila soldati americani. Non stavano così le cose, perché in quella quotidianità assediata dallo stillicidio degli attentati e dei kamikaze, in realtà cresceva una voglia di libertà, di autodeterminazione, di sano protagonismo. Si è detto che chi è andato a votare lo ha fatto con coraggio, mettendo a repentaglio la propria sicurezza. Invece sembra più credibile che chi si è recato alle urne sapesse che il terrorismo era ridotto ormai alla disperazione, che la logica della ?resistenza? era propria solo di frange sempre più isolate. La democrazia non la si inventa in un giorno, è un cammino lungo. E quel cammino era iniziato da molto, come aveva sottolineato su queste colonne Filippo Andreatta: la libera stampa, i manifesti per le strade, la stessa varietà dei partiti erano sintomi inconfondibili di una democrazia in confusa ma irresistibile crescita. I due opposti scetticismi si sono in fondo macchiati della stessa stupida presunzione: quella di sentirsi depositari dello spirito della democrazia. La storia invece ha mandato all?aria tutti i teoremi, in Iraq. Ora c?è da sperare che aiuti a far piazza pulita di quei teoremi anche in casa nostra. Perché paradossalmente siamo noi a dover andare umilmente a prendere lezione di democrazia da quel popolo cui pretendevamo di impartirla. Perché democrazia è passione per il proprio futuro, voglia di mettersi in gioco, di uscire dal guscio. è il gusto di partecipare. Componenti senza i quali resta solo un formalismo vuoto e stanco.


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