Sostenibilità

In un bicchier d’acqua

A tavola con Alce Nero.

di Gino Girolomoni

Utile, umile, preziosa e casta. Così la definiva il più santo degli italiani e il più italiano dei santi. Ma anche l?acqua ha seguito la sorte degli uomini e della loro idea di progresso, e così sia noi che l?acqua non siamo più né preziosi né umili, né casti né utili. Più del 90% del nostro corpo è acqua, per cucinare i cibi serve acqua, e per la sete sarebbe ancora la soluzione migliore. Eppure siamo riusciti in un?impresa difficilissima: sprecare l?acqua, avvelenarla, inaridire le sorgenti. E quella che rimane, mezzo morta, in bottiglie di plastica per due o tre anni. I Comuni hanno cominciato con il cederne la gestione ai privati, e oggi non sappiamo neanche più quali caratteristiche ha l?acqua dei rubinetti, per confrontarla con le etichette di quelle in bottiglia. Per capire con che acqua abbiamo a che fare bisogna leggere innanzitutto il residuo fisso dichiarato: più è basso, meglio è. Poi il ph, il grado di acidità, che deve essere compreso fra 6 e 6,8; il contenuto di cloro e di nitrati, che devono anch?essi essere bassi, e assenti del tutto ammoniaca, piombo, cadmio e gli altri metalli pesanti. La malafede degli organi competenti nel favorire l?industria dell?acqua in bottiglia si manifesta nell?aver concesso alle acque minerali limiti di valori negativi enormemente superiori a quelli dell?acqua di rubinetto. Amici, nell?alimentazione non sottovalutiamo l?acqua che usiamo quotidianamente, e ricordiamo di aver perso un gesto naturale e magico come chinarsi a bere a una fontana lungo la strada.


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