Non profit

Il non profit e l’ottusità della politica

"Destra e sinistra si comportano allo stesso modo: apparente interesse". Intervista a Pellegrino Capaldo (di Maurizio Regosa).

di Redazione

«Capaldo? è una delle persone con maggior indipendenza di pensiero, motivazioni etiche e lucidità intellettuale che ho conosciuto»: così Felice Scalvini definisce il banchiere grazie al quale nel 1994 fu varata la prima merchant bank del non profit, Cosis. Allora Capaldo era presidente della Banca di Roma e della Fondazione della Cassa di risparmio di Roma. Insomma, era uno degli uomini più potenti del Paese. Eppure davanti alla proposta lanciatagli da Scalvini (che era a sua volta presidente di Federsolidarietà e Cgm) impiegò solo 15 giorni per realizzare il progetto. Ma i rapporti tra Capaldo e il non profit non si limitano a questo episodio. è stato lui a fondare la Fondazione italiana del volontariato, nata nel 1993. Oggi mantiene aperti interessi e rapporti: ha appena varato l?Associazione Amici del dipartimento di Economia aziendale della Sapienza di Roma. Un?associazione che coinvolge il pubblico e il privato, gli imprenditori, il mondo del non profit. E proprio sullo stato di salute del non profit in Italia e sulle sue prospettive, Vita lo ha intervistato. Vita: Cosa l?ha sorpreso, in bene e in male, della crescita del Terzo settore in Italia in questi 10 anni? Pellegrino Capaldo: In positivo, la sempre maggiore attenzione dell?opinione pubblica. Possiamo tutti constatare come un crescente numero di persone guardi con interesse al Terzo settore e al contributo che esso può dare al progresso civile ed economico della comunità. Va dato atto ai mezzi di comunicazione di aver svolto un ruolo efficace. In questo senso merita certamente di essere segnalato il settimanale Vita. In negativo, invece, mi ha colpito una certa disattenzione della politica e in particolare dei governi che si sono succeduti in questi anni. Non dico che abbiano fatto nulla; ma, certo, quel che hanno fatto è ben inferiore alle promesse e, ciò che più dispiace, è ben inferiore a quel che ragionevolmente si poteva fare pur considerando le gravi difficoltà della finanza pubblica. Vita: Vede differenze tra centrodestra e centrosinistra? Capaldo: Direi proprio di no. L?atteggiamento è simile: apparente interesse per il Terzo settore perché coinvolge pur sempre milioni di persone, ma sostanziale scetticismo sulle sue potenzialità e conseguente inerzia. Vita: Perché parla di scetticismo? Capaldo: Perché un governo che fosse veramente convinto che le risorse impiegate a favore del Terzo settore hanno una produttività economico sociale altissima, difficilmente eguagliabile da altre destinazioni, si comporterebbe in modo diverso. Tanto più che si potrebbero dare importanti segnali anche con risorse modeste. Non si può tranquillamente rispondere, come più volte si è fatto in questi anni, che «non ci sono soldi» di fronte a richieste di appena qualche decina di milioni per spese con forti effetti in termini di riduzione di aree di disagio sociale. Vita: Cosa pensa del non risolto dibattito tra volontariato e impresa sociale? Capaldo: Perché non risolto? A mio parere il volontariato è alla radice dell?impresa sociale. Senza volontariato è difficile immaginare l?impresa sociale come noi la conosciamo. Naturalmente quando parlo di volontariato, uso il termine in senso lato: mi riferisco non solo alle prestazioni gratuite ma anche alle prestazioni remunerate in misura di gran lunga inferiore ai valori correnti di mercato, come accade di regola per i promotori e gestori di imprese sociali. Tutti conosciamo persone di grandi qualità professionali che hanno ideato e guidano imprese sociali con un compenso pari a un terzo, un quarto di quello che potrebbero facilmente guadagnare offrendo al mercato i loro servizi. E spesso si tratta di persone senza le quali l?impresa non sarebbe nata né potrebbe vivere. Vita: Ma così allarga un po? troppo la nozione di volontariato… Capaldo: Forse. Ma non è questo il punto. Secondo me il mondo delle imprese sociali ha grandi prospettive di crescita soprattutto se saprà coinvolgere nelle sue attività tutti coloro che, condividendone i fini, sono disposti – come dire? – a offrire qualcosa. Che questo in senso tecnico sia volontariato o altra cosa non sembra molto importante. Quando dico «coinvolgere tutti coloro che sono disposti a offrire qualcosa» mi riferisco non solo alle persone fisiche ma anche ad altri soggetti: dalle imprese agli enti di ogni tipo; dalle associazioni di categoria alle università, alle istituzioni finanziarie e così via. Tocca al mondo delle imprese sociali individuare, e saper di volta in volta prospettare a questi soggetti, il modo in cui essi possono collaborare. Per questa via le imprese sociali possono acquisire, tra l?altro, cospicue risorse immateriali di alta qualificazione a prezzi a volte prossimi allo zero e possono così cimentarsi in attività produttive via via più complesse. Vita: Molti anni fa lei parlò di volontariato d?impresa. Intendeva riferirsi a questi aspetti? Capaldo: Più o meno. L?espressione era un po? provocatoria. Con essa intendevo richiamare l?attenzione sul fatto che anche una normale impresa volta al profitto può, in certe condizioni, rendere gratuitamente importanti servizi a sostegno di iniziative socialmente utili. E indicai il fondamento economico del volontariato d?impresa proprio nel fortissimo divario che di regola esiste tra il ?valore? che determinati servizi donati hanno per il beneficiario (?valore? misurato dall?onere che egli risparmia) e il costo sostenuto dal donante. Vita: A questo proposito, che cosa pensa del proliferare delle fondazioni di impresa? Capaldo: Ha ragione di dire «proliferare». Effettivamente le fondazioni di impresa sono forse un po? troppe; e in molti casi non sono neppure vere e proprie fondazioni, ma solo meri centri di imputazione di alcune spese sostenute da una determinata impresa per iniziative in campo culturale, sociale, scientifico, ecc.. Ciò non toglie però che si debba guardare con attenzione e speranza a questo fenomeno, perché esso è in ogni caso indice di un crescente interesse delle imprese per la realtà che le circonda. Vita: Spesso la crescita dell?impresa sociale è condizionata da un accesso problematico al sistema creditizio. Condivide questa preoccupazione? Capaldo: Se le imprese sociali si presentano in ordine sparso al sistema finanziario, è assai probabile che molte di esse non riescano a ottenere i finanziamenti desiderati. E questo non tanto perché sono prive del cosiddetto merito creditizio, quanto perché, a causa della loro piccolissima dimensione, hanno difficoltà a trovare un interlocutore disposto ad ascoltarle. Se, al contrario, esse fanno sistema e si presentano tutte insieme o in grandi raggruppamenti, il discorso cambia. È il tipico caso in cui l?unione fa la forza. Vita: Che ruolo spetterà al Terzo settore nella costituzione del futuro welfare? Capaldo: Un ruolo fondamentale, decisivo. Il problema che abbiamo di fronte è come procedere. È un problema non facile perché noi dobbiamo puntare a costruire un sistema di welfare che, rispetto all?attuale, costi di meno e, soprattutto, renda di più in termini di effettivo sostegno dei ceti economicamente e socialmente deboli. A questo scopo bisogna da un lato agire sull?efficienza dei meccanismi, dall?altro puntare sull?operosa partecipazione dei cittadini. Dobbiamo costruire un sistema che, dando largo spazio all?iniziativa privata in campo sociale, riesca ad orientare verso un comune obiettivo risorse private e pubbliche (anche sotto forma di sgravi fiscali) e riesca a mobilitare le tante energie presenti nel Paese pronte a impegnarsi in spirito solidaristico per fini di rilievo sociale. Vita: Come pensa che si possa realizzare tutto questo? Capaldo: Occorre un progetto che chiami a raccolta svariate competenze tecniche di alto profilo professionale per ideare e realizzare gli strumenti più efficaci; un progetto capace di coinvolgere, anche sul piano culturale, il maggior numero di persone, perché in alcuni settori della pubblica opinione permane ancora una certa diffidenza nei confronti di qualunque ipotesi di arretramento dello Stato dal campo dei servizi sociali. Occorrerà far comprendere che la ricostruzione del sistema di welfare a cui si vuol mettere mano è pensata ed è voluta proprio per far sì che esso risponda meglio ai bisogni e alle attese dei destinatari. La verità è che su questioni come queste si dovrebbe aprire un approfondito dibattito tra le forze politiche. Auguriamoci che prima o poi questo accada.

Maurizio Regosa

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