Formazione

Voci da Kitgum. E’ giorno, bambini!

In questo distretto, su 300mila abitanti ben 270mila sono sfollati. In 16 anni di guerra, 25mila bambini sono stati sequestrati.

di Joshua Massarenti

«Vedrete, vi troverete bene. Kitgum è una tipica cittadina nordugandese. Senza infamia e senza lodi, ma piacevole. Oltretutto, le campagne circostanti sono imperdibili». Sorriso sulle labbra, Billy Odongkara appare un uomo sicuro di sé. Per dare corpo alle sue convinzioni, il vice presidente del distretto di Kitgum accompagna i suoi ?ospiti? occidentali all?uscita di uffici tetri e decadenti spingendoli a scoprire l?aria che tira in città. Quella più pregnante emana una normalità ingannevole per chi in questa zona ci vive da anni. Gli ultimi 18, Kitgum li ha infatti trascorsi in un clima di guerra civile che sul terreno vede contrapporsi i soldati del presidente Yoweri Museveni e l?Lra – Lord Resistance Army (l?Esercito di resistenza del Signore), un gruppo ribelle composto in larghissima maggioranza da bambini soldato, autori di crimini di rara efferatezza compiuti sotto gli ordini di Joseph Kony. Un sanguinario acholi convinto di essere in contatto con l?angelo Gabriele e in possesso di spiriti purificatori attraverso i quali ripulire le terre ?impure? dell?Acholiland per imporvi una teocrazia fondata sui Dieci comandanti. All?alba del 2005 le cifre parlano di circa 25mila minori sequestrati e oltre 20mila morti, la maggior parte dei quali civili originari dei distretti di Pader, Lira e Kitgum. A questi, si sommano un numero impressionante di sfollati: nel distretto di Kitgum sono oltre 270mila, ovvero il 94% dell?intera popolazione locale. La paura della notte A pochi passi dal Local Council V, gruppi di ragazzini corrono dietro un pallone di fortuna sfidando le regole più elementari del calcio impostate in tempi ormai remoti dai colonialisti inglesi: niente porte, niente arbitro e nessuna squadra. Solo un ?tutti contro tutti? per dare quattro calci spensierati alla noia. All?eco delle loro urla periferiche risponde il rumore assordante dei motori fuori uso di veicoli che all?impazzata irrompono nelle arterie centrali della città, pronti a rompere la quiete di negozianti impassibili, dediti a piccoli commerci di sopravvivenza. A smuovere le acque, ci pensano donne in vestito tradizionale che, tra un negozio e l?altro, si affidano alla pazienza per contrattare un sacco di farina per un pugno di scellini, sotto gli sguardi sorniosi di operai occupati a ristrutturare case fatiscenti. «Il tempo da queste parti non è mai un problema», commenta con tono divertito ma schietto un carpentiere, «se non quando si avvicina la notte». Già, la notte. Nel distretto di Kitgum, sono in molti a temerla. Perché se di giorno la città presenta il volto più consono alle asserzioni del vice presidente Odongkara, «all?imbrunire la guerra riprende il sopravvento. A dire il vero, la fa da padrone anche durante il giorno visto che per recarsi nei villaggi distrettuali devi richiedere una scorta militare». Elena Locatelli sa di che cosa parla. A Kitgum da oltre quattro anni, lavora come educatrice sociale per conto dell?Avsi, l?Associazione volontari per il servizio internazionale, tra le pochissime ong occidentali in grado di ?vantare? una presenza ventennale in una regione, quella del Nord Uganda, totalmente abbandonata dalla comunità internazionale. «Ci si vergogna quasi a pensarlo», sussurra Elena, «ma il silenzio dell?Occidente sta forse tutto qui, in un numero di vittime spaventoso ma nel contempo modesto se comparato al milione di rwandesi sterminati nel 94 in cento giorni o, più di recente, ai 70mila sudanesi del Darfur massacrati nel giro di pochi mesi». Sfuggire alle grinfie Per cogliere l?assurdità di questo silenzio, basta recarsi al St. Joseph Hospital di Kitgum. Ogni sera, al tramonto, colonne intere di bambini giungono a piedi in questo ospedale missionario, gestito dall?Avsi, per passarvi la notte. Del resto, di alternative ce ne sono ben poche. Ripararsi da amici o parenti, oppure per i meno fortunati un ripiego forzato sotto i portici del centro città. Gli acholi li chiamano oring ayela, ?quelli che fuggono dalla guerra?, o meglio, dalle grinfie dei ribelli, loro simili per etnia e soprattutto per età, mentre gli operatori umanitari hanno preferito definirli night commuters, i ?pendolari notturni?, perché non appena spunta l?alba devono ripiegare i loro miseri fagottini e incamminarsi in direzione inversa, verso casa, alcune delle quali distanti 15 km da Kitgum. «Questa storia va avanti da anni», spiega Elena, «ma non abbiamo altra scelta se non garantire loro un posto sicuro». Nei periodi peggiori, «l?ospedale ha accolto fino a 7mila bambini». Stasera, saranno poco più di duemila. Quanto basta per capire che l?Lra incute ancora molta paura. La si legge nei loro occhi. Quelli di Michael, 15 anni, si perdono nel vuoto. «Io, la fine di alcuni miei amici, non la voglio fare. Perché essere catturato dai ribelli è la cosa peggiore che ti possa capitare. Prima poi, o uccidi o vieni ucciso». Sfuggiti all?inferno A questa logica perversa sono fuggiti in pochi. Li incontriamo l?indomani mattina nel reparto di chirurgia dell?ospedale. Sono i feriti di guerra. Civili sopraggiunti nel posto sbagliato al momento sbagliato, militari dell?esercito regolare e ex ribelli in scontro fra loro. A salvare loro la pelle ci ha pensato Giorgio Salandrini, uno di quei medici chirurghi «della vecchia guardia, generalisti e poco specializzati», ma capaci di compiere autentici miracoli. A lui, Francis Yane deve la vita. Per questo soldato dell?Ugandan People?s Defence Force (l?esercito regolare), un?imboscata stava per rivelarsi fatale: ferita addominale trapassante con frattura dell?anca. «Penso che fossero ribelli, ma non ne sono sicuro. È più probabile che siano stati banditi». Dalla sua confusione, emerge, secondo Elena, «un dato interessante ma inquietante che rivela la recente prevalenza di atti di banditismo rispetto agli attacchi di guerriglia». La vicenda di Patrick Ayela ricorda però a tutti che la guerra non è cessata. Rapito dai ribelli dell?Lra nel 2002 all?età di 15 anni, è rimasto intrappolato in uno scontro a fuoco che gli ha procurato una frattura esposta della tibia. Catturato dai soldati ugandesi, è rimasto rinchiuso nelle cosiddette barracks, caserme militari in cui vengono interrogati gli ex ribelli prima di essere rilasciati. Per lui, niente processo, ma un?amnistia prevista dalla legge ugandese che gli consente, a guarigione conclusa, di muovere i primi passi nella vita civile. Verso lidi più felici. I 15mila di Labuje Quello di Labuje sarebbe da stampare su cartoline dell?inferno. Affacciato alle porte di Kitgum, Labuje è un campo profughi in cui a stento sopravvivono circa 15mila sfollati. Nella loro maggioranza sono parcheggiati nei cosiddetti Internally Displaced Persons Camp (Idp Camp). Il campo si presenta come un grumo di capanne con pareti di fango, canne e cartone sormontate da tetti di frasche. In poco più di due metri quadrati, convivono famiglie intere su ?pavimenti? in terra battuta. «Queste persone provengono dal mondo rurale dove erano abituate a vivere in case spaziose assai distanti fra loro», assicura Elena. «Vivere in spazi così contigui e poco salubri ha quindi effetti devastanti. Sia sul piano psicologico che sulla loro salute». Non a caso, a Labuje il numero di persone colpite da Aids, tuberculosi e malaria raggiunge proporzioni stellari. «Anche perché qui non abbiamo nulla da fare», si lamenta una ragazza poco sopra i vent?anni. «E il sesso diventa un?occupazione come un?altra». Onu, basta chiacchiere Per combattere la noia, Okeny gioca a carte. Riuniti attorno a un tavolino di legno, Okeny e i suoi compagni di sfortuna si scontrano tra grasse risate a ?Pick Three?. Un passato di contadino e di consigliere comunale hanno forgiato in quest?uomo alto e snello un carattere socievole ma molto temprato. La combinazione giusta per vestire i panni di leader locale. «Mi dica, lei non ha mica un lavoro da darci per caso?»? introduce con tono scherzoso. Ma la sua voglia di ridere è di breve durata. «Ogni volta che voi occidentali venite a trovarci, vi facciamo vedere tutte le atrocità del nostro mondo. Ma appena tornate a casa, non muovete un dito per cambiare le cose. Glielo dico che cosa si prova in questo campo! Siamo arrabbiati con l?Onu, con la comunità internazionale». Il ritorno a scuola Intanto, all?Avsi, ci si continua a confrontare con una quotidianità fatta di paura e di incertezza. «Non abbiamo tempo da perdere», assicura la nostra educatrice sociale, Elena Locatelli. «In attesa della pace, ne anticipiamo le probabili ripercussioni concentrandoci sulla reintegrazione dei bambini soldato nella società civile». Il tema è cruciale perché il futuro del Nord Uganda dipenderà molto dalla capacità delle popolazioni civili a riconciliarsi con i ragazzi che torneranno dal fronte. «Al di là dell?amnistia prevista per i ribelli, sono il ritorno a scuola e nel mondo del lavoro a garantire una pace vera nei nostri distretti». Il recupero psico sociale Lucy Anek ne è più che convinta. Social worker dell?Avsi, da oltre due anni si occupa del reinserimento sociale dei bambini soldato e della cura degli orfani. Il ritorno dei ribelli è cosa delicatissima. «Molti di loro tornano traumatizzati. Molte ragazze sono state sessualmente schiavizzate. In altri casi, abbiamo visto ragazzi costretti a mangiare carne umana. È una tattica molto usata dai comandanti dell?Lra per incutere paura tra i ragazzi e ammonirli sulla fine che rischiano di fare sfidando le regole interne del movimento, come ad esempio la fuga». «Per questo», prosegue Lucy, «il seguito psicosociale risulta fondamentale. Quello impartito dall?amministrazione locale è troppo breve». Mille volontari Con il progetto Comunity Resiliance and Dialogue, Avsi ha sostenuto migliaia di bambini formando nel contempo un migliaio di insegnanti e centinaia di volontari. «Spetta a loro rompere le barriere tra la comunità e i ragazzi che spesso al loro rientro non hanno più casa né famiglia. Di fronte al rancore e alla diffidenza della gente, rischiano un isolamento sociale che in alcuni casi si traduce in un ritorno nei ranghi dell?Lra». A ben vedere, la parola «bambino soldato» rinchiude il più crudele degli ossimori. Perché se questi ragazzi sono vittime della guerra, sono allo stesso tempo i carnefici di civili acholi chiamati ad accoglierli a bracce aperte. «Una sfida durissima, ma non impossibile», conclude fiduciosa Elena. Questa è l?aria che tira a Kitgum. Una città strana, in bilico tra un?ingannevole normalità quotidiana e segni bellici quasi invisibili, da troppo tempo al centro di una strana guerra.

Info: Il progetto Echo L?Europa per la solidarietà

Con stanziamenti pari a 19 milioni di euro, la struttura umanitaria della Commissione europea (Echo) è coinvolta da oltre quattro anni nel Nord Uganda in sostegno delle popolazioni civili colpite dalla guerra, in particolare le donne e i bambini. I progetti sono tutti di emergenza, alcuni dei quali in collaborazione con Avsi – Associazione volontari per il servizio internazionale e spaziano dalla sanità alla sicurezza alimentare. Su tutti, prevalgono le malattie infettive (Hiv/Aids, malaria), l?acqua, l?igiene, la malnutrizione, l?accesso ai servizi sanitari. Altre attività riguardano invece la riabilitazione dei bambini soldato e campagne di sminamento.

AVSI


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