Legalità
“Gli invisibili”, la mostra che combatte l’indifferenza verso le vittime di mafia
Un viaggio nella memoria di uomini e donne vittime della violenza mafiosa e dei luoghi in cui si sono consumate le loro tragedie. Lo compie la mostra "Gli invisibili", promossa dall’associazione Nazionale Magistrati - Distretto di Catanzaro e dalla Fondazione Trame. «Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi cosa vuol dire non dimenticare», dice Marina Ferlaino, la nipote del giudice Francesco Ferlaino, primo magistrato assassinato dalla 'ndrangheta in Calabria, a cui l'esposizione è stata dedicata

«Prima di andare al lavoro, nonno andava a servire la messa che apriva la giornata, preparandosi a quello che avrebbe affrontato nel corso del suo lavoro. Era molto credente, d’altronde era cresciuto in seminario. Poi, però, decise di seguire studi classici per infine intraprendere la carriera in magistratura».
Non un nonno comune, quello di cui parla la nipote Marina, ma un magistrato che ha dato tanto al suo lavoro. Francesco Ferlaino è stato il primo magistrato assassinato il 3 luglio 1975 a Lamezia Terme, in Calabria, dalla ‘ndrangheta. Per il suo omicidio, ancora oggi, nessuna condanna ha avuto luogo. Inevitabile, anche perchè dovuto nel cinquantesimo anniversario dell’attentato, dedicargli la mostra fotografica “Gli Invisibili. Ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza” , promossa dall’associazione Nazionale Magistrati – Distretto di Catanzaro e dalla Fondazione Trame ETS, realtà impegnata nella sensibilizzazione culturale contro le mafie.
Circa 30 le immagini esposte, tratte dal libro che la curatrice della mostra, Lavinia Caminiti, ha realizzato nel 2014. Un percorso compiuto insieme al procuratore Fernando Asaro che, attraverso un forte impatto visivo ed emotivo, mira a scuotere le coscienze, a preservare la memoria collettiva e a rafforzare il senso civico delle nuove generazioni per combattere la mafia.

Una mostra che confronta passato e presente, ricostruendo un itinerario della memoria dimenticata, capace di evidenziare come anche le tragedie più dolorose siano state, in alcuni casi, relegate all’oblio. L’obiettivo è, infatti, sensibilizzare soprattuto i più giovani, fornendo strumenti di consapevolezza critica e rafforzando la cultura della giustizia e della legalità, che non conosce confini regionali o nazionali.
Una memoria che, se non tirata fuori dai cassetti personali di chi, anche se passassero milioni di anni, non potrà mai dimenticare la tragica scomparsa dei propri cari, vittime innocenti della violenza mafiosa, rischia di perdersi e, lo dicevamo prima, cadere nell’oblio.
La storia del giudice Ferlaino occupa, infatti, un posto importante nella sezione della mostra, dal titolo “Le Rose Spezzate”, dedicata ai 28 magistrati assassinati dalla mafia, invitando chi la visita e vi si sofferma a umanizzare la figura del magistrato, spesso percepito solo attraverso il suo ruolo istituzionale.

«Quando mio nonno è morto io avevo sei anni», prosegue Marina, oggi insegnante, «però lo ricordo molto bene, proprio dolce, affettuoso, molto legato a me e a mio fratello, gli unici nipoti che ha conosciuto. Che emzione il giorno in cui gli regalai una medaglietta di San Francesco di Paola, al quale era molto devoto; gli vidi brillare gli occhi. Ricordo anche che fu Presidente della Nazione Cattolica per tanti anni. Dopo un anno dalla mia nascita è nato mio fratello, chiamarono anche lui Francesco, e impazzì di gioia. Ha colto l’essenza del rapporto con mio nonno Massimo Sirenti, un artista catanzarese che ha realizzato un murale a Conflenti, il paese che gli ha dato i natali. Ecco, vogliamo ricordare solo i momenti belli, tenere a mente l’immagine positiva e quello che ci ha trasmesso perchè, dopo la sua morte, mio padre si chiuse in casa per tanto tempo. Essendo ancora piccoli, in un primo momento ci dissero che il nonno era caduto, si era fatto male ed era andato in cielo. Abbiamo capito quello che era successo solo dopo molto tempo e fu un dolore grandissimo».
Ricordare il giudice Francesco Ferlaino non può certamente essere un gesto simbolico
«Ricordarlo ha ancora maggiore senso», spiega Nuccio Iovene, presidente della Fondazione Trame, «perché non si può pensare di lasciarsi travolgere dall’oblio e rassegnarsi all’idea che ci possano essere persone che vengono uccise e non abbiano un riconoscimento del perché siano state uccise, da chi siano state uccise, in quali circostanze e per quale motivo. E poi, il fatto che questo percorso, fatto insieme all’associazione Nazionale Magistrati, è finalizzato in un momento anche di grande tensione tra politica, magistratura, per avvicinare gli operatori del diritto, ma anche gli avvocati alle comunità locali. Vogliamo far capire che i tribunali non sono una cosa ostile e distante, ma possono essere anche luoghi nei quali i cittadini capiscono il senso della giustizia, come funziona il processo, cosa sono e come si applicano le regole».
Luoghi, dunque, che prendono vita ricordando che, sul selciato di strade solcate ogni giorno da tutti, si può ancora vedere il sangue di chi ha creduto che quelle regole potessero servire a cambiare il mondo.

Quanta importanza ha oggi fare memoria?
«A chi sostiene che ricordare è diventata routine», risponde la nipote del giudice Ferlaino, «dico che non ci si può esimere dal farlo. Io faccio l’insegnante e lo dico sempre ai miei studenti, anche se non amo parlare di mio nonno. Dico loro che fare memoria può contribuire a fare conoscere ai più giovani gli eroi della loro terra, perché è giusto che conoscano Falcone e Borsellino, ma anche tanti altri che sono morti quando l’impatto mediatico delle notizie non era quello degli ultimi decenni. Se dovessi dire cosa comunicare ai nostri ragazzi, direi la correttezza, la serietà, di essere sempre dalla parte della legalità. E poi studiare, fondamentale per avere tutti gli strumenti per affrontare la vita».
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