Idee Cultura del non profit

Gli italiani non sanno cos’è il Terzo settore: di chi è la responsabilità?

«Se qualcuno non mi conosce — o non mi conosce come io vorrei — la responsabilità è mia, perché io so, l’altro no». Dalla scarsa conoscenza della cooperazione sociale alla bassa partecipazione dei 35-64enni, Luciano Zanin mette in fila alcune riflessioni a margine della lettura della ricerca di Vita e Swg

di Luciano Zanin

bimbo che svela un murales a colori

Se qualcuno non mi conosce — o non mi conosce come io vorrei — la responsabilità è mia, non sua. Perché? Perché io so, l’altra persona no. E se io, che so, non glielo dico… l’altro come può saperlo?

Sembra essere questa la cifra che emerge (o almeno quella che più mi ha fatto riflettere) leggendo il paper che VITA ha commissionato a Swg: Cosa pensano gli italiani del Terzo Settore. Si tratta di una ricerca che mette a confronto la percezione che gli italiani hanno del Terzo Settore con quella che gli enti del Terzo Settore hanno di se stessi.

Le ricerche sono un po’ come le canzoni, i film o i libri: ogni volta che le ascolti o li vedi o li leggi scopri qualcosa di nuovo, che non avevi notato o che è il frutto di un approfondimento di quello che avevi letto prima. Ho ripreso in mano più volte la ricerca Swg e l’ho letta con attenzione. Per farlo l’ho stampata (sì, succede ancora): leggerla su carta, con evidenziatore alla mano, mi ha aiutato a cogliere meglio sfumature e connessioni che sullo schermo rischiano di perdersi. Da appassionato del non profit da oltre quarant’anni, e consulente in fundraising, non posso non attirare l’attenzione sul tema dei dati. Ma andiamo con ordine.

Intanto, grazie a VITA e Swg per aver messo a disposizione gratuitamente (potenza del dono) un patrimonio di conoscenza che difficilmente gli operatori del Terzo Settore — tutti, nessuno escluso — avrebbero potuto raccogliere da soli. Prima che parta il coro del “sì, però il campione…” o “bisogna vedere come hanno posto le domande…”, vale la pena ricordare che Swg ha utilizzato metodi di rilevazione rigorosi, descritti nero su bianco nella ricerca. Nessuna voglia di polemizzare, ma un po’ conosco i miei polli.

I dati

La prima fotografia che si rileva è che negli ultimi 20 anni il settore del non profit è in crescita, e anche sostenuta. Sia come numero di organizzazioni – 360mila rispetto alle 236mila del 1999 – sia come numero di addetti (circa 900mila), raddoppiati nello stesso periodo, così come il volume delle risorse economiche amministrate. Solo i volontari sembrano essere il dato in calo rispetto al 2015, ma qui, giustamente, il redattore della ricerca usa le parole “letto dall’Istat”.

E fin qui tutto bene. Nello stesso periodo il contesto presenta un aumento delle famiglie in povertà, quasi triplicato tra il 2005 e il 2023, passando da 819mila a 2,2 milioni. Dal 1994 al 2024, il debito pubblico è passato da 996 miliardi a quasi 3.000 miliardi di euro. Il Pil, invece, è cresciuto: da circa 1.500 miliardi nel 2005 a circa 2.200 miliardi nel 2024. Quindi cresce tutto: più Pil, più Terzo Settore, più poveri e più debito pubblico. Non vi sembra una situazione quanto meno originale?

I valori

Secondo aspetto approfondito dalla ricerca: quali sono i valori che gli italiani mettono al centro? Troviamo nell’ordine: libertà individuale, famiglia, pace e giustizia. La cosa interessante su questo punto è il confronto delle voci tra le diverse generazioni e il fatto che ne manca una: quella tra i 35 e i 64 anni. Credo che avere quel dato potrebbe aiutare una maggiore comprensione, perché alla fine, i 18-34enni sono i loro figli.

La fiducia

Negli ultimi 10 anni, l’indice di fiducia (Swg) è sceso di 20 punti. Resta su livelli alti — intorno a 70 — ma il trend è chiaro.  La domanda da porsi è in questo caso: come si produce la fiducia e chi la può produrre? Il Terzo settore può incidere su questo aspetto? Secondo me sì e lo dovrebbe fare di più, perché la fiducia fa parte degli elementi fondamentali di una comunità, o perlomeno della comunità che io desidero, è coerente con la missione di tutte le organizzazioni non profit e poi, ci hanno insegnato che la fiducia è il carburante del mercato, senza quella gli scambi non avvengono o comunque sarebbero meno efficienti. 

La domanda da porsi è come si produce la fiducia e chi la può produrre? Il Terzo settore può incidere su questo aspetto? Secondo me sì e lo dovrebbe fare di più, perché la fiducia fa parte degli elementi fondamentali di una comunità

Luciano Zanin

I giovani

«Eh, ma i giovani non partecipano»: quante volte abbiamo sentito questa frase? Non sembrerebbe proprio così. I giovani tra i 18 e i 34 anni partecipano più degli altri soprattutto nei settori dell’assistenza sociale, delle organizzazioni politiche, in quelle che si occupano dell’ambiente e della sanità. Qui il dato rilevante è invece che la generazione X (35-64enni) consegue la medaglia di legno. E pensare che, secondo Istat, doveva essere la generazione della transizione della società dai boomer ai millenial. Chissà se era una illusione di Istat o se abbiamo sbagliato qualcosa noi. 

Luciano Zanin, ceo di Fundraiserperpassione

Partecipare fa bene

E su questo ancora un dato significativo che può essere riassunto in una frase: partecipare al Terzo Settore conviene (e fa bene). Ben sedici punti di differenza (64% vs 48%) separano coloro che si sentono esclusi dalla società almeno in parte, tra quelli che partecipano e quelli che non partecipano alla vita delle organizzazioni non profit. E indovinate chi può ragionevolmente avere maggiori potenzialità di essere felice o almeno, di stare bene?

Diversità di percezioni

Da qui le note dolenti. È davvero interessante vedere la diversità di percezione che le persone dichiarano rispetto a quella dei diretti interessati. Saltano all’occhio in particolare le questioni relative alla produzione di effetti economici, la gente sentenzia con un “ni” (57%) a fronte di un bel 91% tondo da parte delle organizzazioni facenti parte del comitato editoriale di VITA. Idem sul fatto che siano troppo politicizzate e sul tema delle tasse, il 40% delle persone ritengono che le dovrebbero pagare come tutti gli altri (ma gli altri chi?) e anche qui siamo al doppio delle percentuali.

Gli operatori del Terzo settore sembrano più simpatici e brava gente che professionisti competenti, se solo una persona su due li ritiene tali, ma invece li considera volontari (quindi bravi) e altruisti (quindi buoni). Anche su questo si potrebbe fare qualcosa o mi sbaglio?

Ancora, gli operatori del Terzo settore sembrano più simpatici e brava gente che professionisti competenti, se solo una persona su due li ritiene tali, ma invece li considera volontari (quindi bravi) e altruisti (quindi buoni) rispettivamente il 67% e il 73%. Anche su questo si potrebbe fare qualcosa per intervenire su questa percezione, o mi sbaglio?

Sarà anche per questo che il Terzo settore, agli occhi di molti, appare più attraente dal punto di vista qualitativo. Ma guai a essere dirigenti: solo la metà degli italiani pensa che dovrebbero guadagnare quanto i colleghi del profit. Un quarto li vorrebbe addirittura non retribuiti, e uno su cinque pensa che, se proprio vanno pagati, almeno che prendano meno. Ricordo battaglie passate quando si discuteva di riforma e di “misure” degli stipendi percentuali o rapporto tra stipendio più basso e stipendio più alto. Che sia il caso di riprenderle anche qui, magari spiegando meglio che lavoro fa un dirigente in una organizzazione non profit?

Una campagna sulla cooperazione sociale?

Ma consoliamoci (si fa per dire), non sanno di cosa parlano: solo un italiano su tre risponde correttamente alla domanda: “Cos’è il Terzo settore?”. La metà esclude le cooperative sociali: un dato che, da solo, basterebbe a giustificare una campagna di comunicazione. E c’è pure un 10% convinto che gli enti non profit non dovrebbero avere dipendenti. Vero, è una minoranza… ma parliamo comunque di qualche milione di persone.

Il futuro: meno servizi, più economia e comunità

La proiezione a 10 anni degli italiani non sembra essere proprio conforme a quella delle organizzazioni. Gli italiani vedono meno servizi e più economia e cultura di comunità.

Una nota di speranza: gli italiani non solo prevedono una crescita del Terzo Settore, ma sembrano anche pronti a sostenerla. Sommando chi già lo fa e chi sarebbe felice di iniziare, abbiamo un 65% disposto a destinare il 5 per mille, il 52% pronto a fare una donazione e il 50% interessato a fare volontariato.

Gli italiani non solo prevedono una crescita del Terzo Settore, ma sembrano anche pronti a sostenerla. Sommando chi già lo fa e chi sarebbe felice di iniziare, abbiamo un 65% disposto a destinare il 5 per mille, il 52% pronto a fare una donazione e il 50% interessato a fare volontariato

Quindi? Se questo è quello che vedono e percepiscono gli italiani, di chi è la responsabilità? E a chi dovrebbe toccare il compito di fargli cambiare qualche idea?

Le conclusioni della ricerca ve le lascio leggere nel report, io mi limito alla citazione del “profeta” Julio Velasco: «la realtà è como è e non come noi vogliamo che sia». Molto semplice.

Il paper Gli italiani e il Terzo settore è dedicato alle abbonate e agli abbonati a VITA: clicca qui se vuoi abbonarti e leggerlo subito.

Luciano Zanin, ceo di Fundraiserperpassione srl-SB. In apertura, foto Unsplash

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