Il Papa dell'ambiente
Barbara Nappini: «L’eredità verde di Francesco? Il ponte tra ecologia e giustizia sociale»
L’impegno ambientale del pontefice ha tracciato un legame profondo tra crisi climatica e disuguaglianze. Un messaggio forte che interpella governi, istituzioni e soprattutto le nuove generazioni. «Il Papa ha avuto il merito di portare questa riflessione a tutti», dice Barbara Nappini, presidente di Slow Food

Tra i lasciti più importanti di papa Francesco, di quelli che vanno oltre il perimetro delle questioni religiose o confessionali, c’è l’attenzione alla questione ambientale. Non solo perché il suo impegno costante nel sottolinearne la rilevanza è un unicum nella storia della chiesa cattolica, ma sopratutto per via del suo messaggio, che collega le istanze ecologiche a quelle sociali. «Non esiste transizione ecologica senza transizione sociale»: si può riassumere così il messaggio del pontefice, versione non politicizzata della celebre frase «l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio» attribuita al sindacalista brasiliano Chico Mendes.
«Il Papa ha avuto il merito di portare questa riflessione a tutti», commenta Barbara Nappini, presidente di Slow Food. «Il degrado ambientale è legato a quello sociale e viceversa. Un approccio all’ambiente riduzionista, meccanicista e strumentale dà il via libera a un approccio analogo nel campo delle relazioni umane, dove quindi poi uno può sfruttare l’altro». Così, in un’ottica di superamento di questa visione la cura della «casa comune» predicata da Francesco nell’enciclica Laudato Si’ del maggio 2015 diventa cura di noi stessi, intesi come società, concetto ribadito nel settembre dello stesso anno nel discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite in cui il Papa sottolineava come la conservazione dell’ambiente fosse direttamente collegata al mantenimento della pace e della stabilità dei gruppi umani.
Un lascito più culturale che concreto
Non a caso, commentando cinque anni dopo la pubblicazione la Laudato Si’, Francesco aveva specificato che «non si tratta di un’enciclica verde ma di un’enciclica sociale». Motivo per cui la lettera apostolica era (e rimane rivolta) anche ai governi, alle istituzioni e a tutti coloro che hanno la possibilità di incidere sulle scelte a livello globale. «Bisogna riconoscere che sul piano politico c’è ancora molto da fare», riflette Nappini. «Ma c’è un altro piano, che è quello culturale e se su questo il messaggio del Papa rimane forte, allora importa poco se si finora si è dato poco seguito alle sue parole».
Oggi, le istituzioni sembrano però regredire su questo fronte, basti pensare all’Unione europea che sull’altare della crescita economica pensa di rimodulare il Green Deal. Un paradosso, secondo Nappini: «Economia, da un punto di vista etimologico, significa buon governo della casa e questo non può tradursi in sfruttamento o degrado. Chi smantella il Green Deal è novecentesco, non guarda ai prossimi cinque secoli ma solo ai prossimi cinque anni. È giusto mettere in discussione l’idea secondo cui le esigenze economico-finanziarie di pochi siano più importanti delle questioni ambientali».
I giovani, protagonisti «maldestri» del cambiamento
Su questi temi, a guardare al futuro sono soprattutto le nuove generazioni. E i giovani ecologisti papa Francesco non ha mancato di incontrarli – si ricorderà lo scambio in piazza San Pietro con Greta Thunberg nel 2019 – anzi ha cercato di capirli anche quando le loro azioni di protesta si traducono in attacchi vandalici ai monumenti oppure alle vetrine di ristoranti stellati. «Occupano un vuoto della società nel suo complesso», aveva scritto riguardo ai gruppi «detti radicalizzati» nell’enciclica Laudate Deum dell’ottobre 2023.
«Mi trovo molto d’accordo con questa prospettiva», spiega Nappini. «Io non so cosa possa voler dire nascere e sentirsi dire fin da quando si è neonati che si ha di fronte qualche manciata di decenni e poi finirà tutto. Quando sono nata io, il futuro era infinito e neanche troppo minaccioso». È per questo, sostiene, che l’operato di attivisti come quelli di Ultima Generazione non va demonizzato. «Ai giovani non chiedono interviste, non possono andare a parlare in tv, non decidono, quindi gli rimane la protesta, che per farsi notare deve creare scandalo. Poi che queste espressioni di disagio verso il futuro siano maldestre mi sembra anche normale, criminalizzare è pretestuoso: è guardare il dito e non la luna che il dito indica». In questo senso, «il Papa non poteva certo legittimarli, però è stato importante il suo evidenziare l’importanza di guardare la luna».
La spinta più forte e la capacità di immaginare un cambiamento viene sempre da chi è più marginalizzato, come appunto i giovani e secondo me anche le donne
Barbara Nappini, presidente di Slow Food
Sono i giovani, del resto, coloro che più facilmente possono favorire quella «conversione ecologica», invocata da Francesco. Per questo Slow Food ha attivato diverse iniziative non solo per farli esprimere, ma anche per ascoltarli. «La spinta più forte e la capacità di immaginare un cambiamento viene sempre da chi è più marginalizzato, come appunto i giovani e secondo me anche le donne», dice Nappini. «Il nostro sforzo educativo è soprattutto quello di rendere evidente le connessioni che legano la questione ambientale al sistema alimentare, che a volte sfuggono». Non a caso, la lotta allo spreco è stata uno dei capisaldi del messaggio sia «verde» che «sociale» di papa Francesco.
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In foto, 17 aprile 2019, l’incontro fra Greta Thunberg e Papa Francesco durante l’Udienza Generale. Foto Vatican Media/LaPresse
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