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Francesco, il Papa del “fate casino”
C'è un Francesco “movimentista”, che fin da subito ai giovani chiese “hagan lio”, ovvero “fate casino”. E un Papa di “governo”, che ha immesso nel corpo stanco della Chiesa una nuova classe dirigente. Per capire davvero la portata di Bergoglio occorre tornare a quella "fine del mondo" da cui tutto è iniziato

Quando nel marzo del 2013, Jorge Mario Bergoglio, appena eletto papa con il nome di Francesco, si presentò alla folla in piazza San Pietro con un familiare «buona sera», pochi sarebbero stati in grado di immaginare la traiettoria “politica” che avrebbe assunto il suo pontificato nei seguenti dodici anni. Per leggere e comprendere Papa Francesco, dobbiamo provare a guardare il mondo dalla “fine del mondo”, dalla sua Buenos Aires, anzi dal Bajo Flores, il quartiere nel quale Bergoglio ha lungamente vissuto sino alla nomina papale.
Francesco venne scelto in un momento estremamente complesso della millenaria storia della Chiesa: da un lato, la crisi istituzionale innescata dalle improvvise dimissioni di Benedetto XVI, dall’altro la crisi identitaria, con la costante riduzione di fedeli in aree di insediamento storico. Su questa dinamica si sono innescati due fattori: da una parte, la naturale spinta alla secolarizzazione della società, dall’altra l’emersione dei nuovi evangelismi, che hanno tolto acqua alla Chiesa di Roma, grazie alla capacità di proporre una narrativa più allineata allo spirito dei tempi. Come noto, non siamo in presenza di fenomeni recenti, piuttosto risale alla fine degli anni ’70 l’inaridimento delle spinte riformatrici, che hanno avuto massima espressione nel Concilio Vaticano II e, nei Paesi di matrice latina, con l’affermazione della teologia della liberazione. Tali movimenti si sono andati ad esaurire durante il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, che fu un fiero oppositore di Boff e compagni, e spese la prima parte del suo pontificato a disarticolare ciò che restava del potere sovietico nei paesi del Patto di Varsavia.
Il breve papato di Ratzinger sancì plasticamente la lontananza tra la Chiesa e un’ampia porzione dei credenti, che difficilmente potevano immedesimarsi nell’algido teologo tedesco. Per questo, come disse Bergoglio quella sera del 13 marzo, i colleghi cardinali andarono a prenderlo “quasi alla fine del mondo”. Serviva qualcuno che potesse restituire “movimento” alla chiesa di Pietro, riportandola nelle pieghe della società. Padre Jorge era la persona adatta a svolgere quella difficile missione: abile comunicatore, estremamente empatico, dotato di quella pungente ironia che contraddistingue gli abitanti di Buenos Aires. Un uomo in apparenza semplice, lontano dalla solennità del suo predecessore: la croce di ferro, le scarpe consumate, la passione mai nascosta per il San Lorenzo, la squadra di calcio del suo quartiere. Sufficientemente lontano in quanto non europeo, ma non troppo distante per le sue origini piemontesi.
Il rapporto col peronismo, senza le lenti eurocentriche
Di Bergoglio, però, non si può afferrare a pieno lo stile di “conduzione” e la riflessione teorica se non comprendiamo il suo rapporto con il peronismo. E qui è necessario un ulteriore caveat: provare a leggere il peronismo senza le tradizionali lenti eurocentriche destra-sinistra, autoritarismo e democrazia. Il peronismo, al pari di altri movimenti di emancipazione non europei, ha rappresentato il fattore che ha facilitato l’irruzione nella storia delle classi subalterne in Argentina, i figli delle popolazioni autoctone, per i quali le élite bianche avevano programmato un destino da condurre nell’ombra. Il peronismo produsse una rottura profonda nella storia argentina e lo fece non solo a livello istituzionale, sino al colpo di Stato che decreterà nel 1955 la caduta di Peron, quanto a livello simbolico, spiegando così la sua persistenza nel dibattito pubblico. All’interno di questo piano simbolico agiscono diversi temi: la giustizia sociale, gli ultimi, la centralità del lavoro, un capitalismo “giusto”, che sappia generare valore in un quadro redistributivo. Temi che, quasi carsicamente, riemergono in occasione di tutto il magistero di Francesco. In un’intervista di qualche tempo fa, Jorge Fontevecchia, giornalista argentino noto per le sue posizioni conservatrici, chiese a Papa Francesco: «Le viene attribuito di essere un Papa peronista, lei si percepisce come peronista?». Bergoglio rispose: «Quando mi fanno questa domanda, le confesso una cosa: me la pongono con un tono tale come se mi stessero chiedendo: Lei è una cattiva persona?». Nel proseguo dell’intervista, Francesco raccontò la storia politica della sua famiglia, tracciando una linea di continuità tra il peronismo e l’altra grande famiglia politica argentina: il radicalismo. Una continuità che chiaramente ci riporta al tema della giustizia sociale.
La giustizia sociale
Grazie a questa lente possiamo leggere controluce l’enciclica Fratelli Tutti, dove il termine giustizia torna 49 volte. L’autentica sorpresa, rispetto al Bergoglio “laburista”, la troviamo nella Laudato si’, con la ricomposizione tra Uomo e Natura che avviene nell’ecologia integrale che, come ha scritto Francesco, è “inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale”. Laudato si’ non è solo il tentativo di esaurire il paradigma dualistico, da un lato la società umana, dall’altro la natura, il Creato, quanto piuttosto una fortunata operazione di posizionamento culturale, attraverso cui riallacciare il dialogo con parti della società, progressivamente distanziate dalla Chiesa.
Movimentista e di governo
Il Francesco “movimentista”, quello che alla prima giornata mondiale della gioventù come Papa, si rivolge ai partecipanti chiedendo loro: “hagan lio”, ovvero “fate casino”, “voglio che ci sia casino nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade”. Infine, il Papa di “governo”, spesso tacciato di scarsa efficacia nel dirime le questioni, eppure capace di immettere nel corpo stanco di Santa Romana Chiesa una nuova classe dirigente, che sarà impegnata nelle prossime settimane nella scelta di chi raccoglierà la pesante eredità di Francesco.
Di certo, mancherà la sua voce, il suo costante richiamo alle vite di scarto prodotte dal capitalismo, ai rischi dell’avanzata dei nazionalismi, l’attenzione prestata alla tragedia di Gaza, la questione dei migranti, l’incessante richiamo alla pace. Buon viaggio Padre Jorge da chi, come me, non crede, ma ti ha sempre sentito vicino nella faticosa ricerca di un mondo più giusto.
In questi 12 anni Papa Bergoglio è stato un punto di riferimento costante per il lavoro del nostro giornale e per tutto il mondo che a VITA fa riferimento. Per questo abbiamo messo a disposizione di tutti il numero di VITA che ha celebrato i primi dieci anni del pontificato di Francesco. Puoi scaricare il magazine gratuitamente da qui, semplicemente registrandoti.
In foto, Papa Francesco alla Giornata Mondiale della Gioventù del luglio 2013 a Rio de Janeiro, in Brasile. È qui che per la prima volta disse ai giovani il suo “hagan lio”.
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