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Francesco: non abbiamo salutato solo un pontefice, ma un leader mondiale

Cosa ci mancherà di Papa Bergoglio? Il suo essere vescovo di Roma e guida della Chiesa cattolica? Sì. Ma anche il suo essere stato la coscienza mondiale del terzo millennio. Le sue telefonate alla parrocchia di Gaza come un'enciclica dei gesti. Muore inascoltato sui migranti. E mentre ci chiediamo "che ne sarà di noi?" guardiamo al suo ultimo libro-invito "Spera"

di Angelo Moretti

È difficile dire cosa mancherà di più di Papa Francesco ma, indubbiamente, si può sottolineare che Bergoglio non ha svolto solo il compito di Vescovo di Roma e di guida della Chiesa Cattolica. Per la sua autorevolezza morale, infatti, è stato anche un vero leader, riconosciuto, a livello mondiale, sia dai Capi di Stato sia dall’umanità laica, appartenente ad altre fedi ed atea.

Come Egli stesso ha detto ironicamente di sé a proposito della Evangelii Gaudium («ho plagiato Paolo VI e l’ho arricchito con i testi dell’Apparecida»), Francesco non ha scritto pagine sorprendentemente originali nel suo magistero, né ha voluto modificare l’impianto di regole secolari della Chiesa, fatta eccezione per l’importante semplificazione dei processi di riconoscimento della nullità dei matrimoni cattolici (nel testo Mites Iudex) e per il completamento delle riforme del Vaticano avviate da Benedetto XVI; Francesco non ha tolto la regola del celibato dei sacerdoti, non ha rivisto la condanna dei metodi contraccettivi, non ha aperto al sacerdozio delle donne ma, con la sua stessa vita, ha fatto sì che la voce della Chiesa fosse “più in uscita” che rivolta a se stessa. 

Ha lavorato contro i mali della Chiesa di potere

Ad “intra”, Bergoglio ha lavorato molto contro i mali di una Chiesa di potere lontana dallo spirito del Vangelo, con invettive importanti rivolte alle sciagure delle curie arriviste, dell’inciucio, della mondanità, del clericalismo, che rendono “putrida” la sposa di Cristo; ad “extra”, Francesco ha aperto la sua azione pastorale universale, ha parlato al cuore di chiunque non avesse una fede affinché si mettesse al centro di ogni scelta di vita il rispetto dell’umanità e la gioia di vivere, sopra lo spirito mortifero del consumismo (che lui amava a definire come “cultura dello scarto”). 

Grazie a questa sua continua premura di avere un sano dialogo con tutte e tutti, era certamente il “politico” più citato, tanto che sarà difficile avere statistiche su quante fossero le citazioni che sia i non credenti che i leader mondiali facevano delle sue affermazioni e dei suoi testi, restando un fatto notorio che citare Papa Francesco nei documenti importanti era ormai diventato un “must” di ogni consesso, come mai avevamo visto accadere nel rapporto tra Chiesa e mondo. 

Social e telefono per l’evangelizzazione

L’utilizzo dei social, delle pubblicazioni su testi laici (come il caso eccellente della prefazione ai libri di Petrini), del telefono, era per Lui la necessità concreta di avvalersi di ogni mezzo per l’evangelizzazione, ed anche una concreta “azione di vicinanza”. Francesco ha vissuto la stessa urgenza dell’Apostolo: far arrivare in ogni contesto di vita, soprattutto in quelli più sofferenti, una parola di conforto del Papa. 

Passeranno alla storia le sue conversazioni con politici e pensatori che erano alfieri del laicismo di stato, come Pannella e Scalfari, e i suoi interventi a sorpresa sulle testate giornalistiche non cattoliche di ogni Paese, come le sue interviste televisive. Mai, come con il suo pontificato, la figura del Santo Padre si era così tanto “abbassata” al dialogo tra pari, portando il papato fuori dall’aurea dell’irraggiungibilità e dell’inaccessibilità che contraddistingue quello status di “primus inter pares” che da secoli definisce il Vescovo di Roma, non solo in occidente.

L’enciclica dei gesti

Evangelii Gaudium, Laudato Si’, Fratelli Tutti, Dilexit Nos, sono certamente pietre miliari del magistero della Chiesa Cattolica, ma si ha fin da ora l’impressione che, se Giovanni Paolo II passò alla storia per il suo impegno verso l’Est, per la condanna alle mafie e per l’intuizione profetica delle giornate mondiali della gioventù.

Se Benedetto XVI ha lasciato il segno per la profondità dei suoi testi, per la lettura analitica della complessità della società contemporanea e per quella scelta rivoluzionaria delle dimissioni, Francesco ha fatto la storia con quella che il vaticanista Mimmo Muolo ha definito “enciclica dei gesti”: le videochiamate con centinaia di giovani ucraini nel febbraio 2025 e con i giovani cattolici russi nel 2024, le telefonate quotidiane alla parrocchia di Gaza, la visita ripetuta nei luoghi dei naufragi colpevoli nel Mediterraneo, la porta santa aperta a Rebibbia. 

Fino alla fine, fino al saluto-testamento di questa Pasqua.

Francesco ci ha salutato con il massimo della sua debolezza fisica e sentimentale; muore mentre implora inascoltato di accogliere i migranti, di migliorare la vita dei detenuti, di far cessare il fragore delle armi, dando così al Papato la veste inedita della paternità fragile: quel padre che soffre e spera, ma che nulla può contro il male dell’odio e dell’indifferenza.

Mentre Francesco si spegne, le violenze sono ancora più accese di ieri, il populismo sovranista diventa un’opzione politica più diffusa di dodici anni fa, quando egli iniziò il Suo cammino al soglio di Pietro, le carceri peggiorano in tutto il pianeta. 

Dunque, egli esce di scena come un perdente della storia? No. Dobbiamo dire di no. 

Una voce persistente nella società umana

Oggi, il suo esempio di vita non è solo un testamento per la Chiesa, è soprattutto una voce persistente nella società umana, che non verrà meno per la fine della sua vita terrena. Da ora in poi, non sarà possibile non fare i conti con quella voce della nostra coscienza che ci chiede cosa avrebbe detto o fatto Papa Francesco in questa occasione, perché Papa Francesco ha cambiato la storia dell’umanità pur non cambiando l’umanità nella storia. 

Oggi celebriamo il lutto di due perdite: del Papa e del maggiore leader della coscienza mondiale del terzo millennio. Domani non sappiamo cosa accadrà, ma sappiamo che Lui ci ha lasciati con un messaggio chiaro: questo è il tempo della speranza. «La speranza è la risposta offerta al nostro cuore, quando nasce in noi la domanda assoluta “Che ne sarà di me?”», disse una volta.

Il suo ultimo libro-invito “Spera”

Oggi, orfani di Francesco e in un mondo pieno di guerre e dolori, ci chiediamo sofferenti “che ne sarà di noi?”. E non troveremo risposte nella razionalità e nella chiarezza dei suoi scritti, ma nell’invito ad agire dei suoi gesti quotidiani, e in quel suo ultimo libro-invito Spera

Nella pratica della speranza, che non è attesa ma è fede che può accadere ciò che è buono e giusto se i fratelli e le sorelle lo desiderano insieme, lo re-incontreremo quale guida spirituale, credenti e non credenti.

Nell’immagine in apertura Papa Francesco l’8 luglio del 2013 a Lampedusa – AP Photo/Alessandra Tarantino

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