L'arte della cura

Emma, Ester e la Pietà Rondanini: la nostra fragilità diventata confidenza

Per Emma Ciceri l'arte è una resistenza esistenziale: «Per non essere travolta da una vita così complessa, ho bisogno di osservarla e di rielaborarla». Dentro la sua arte, Emma porta la sua realtà di caregiver della figlia. Ai piedi della Pietà Rondanini, con Ester ha capito che «la vita e la morte sono molto più vicine di quello che ci raccontiamo e che dentro i gesti della cura può esserci l'infinito»

di Sara De Carli

Nascita Aperta 2021 di Emma Ciceri

La schiena di Maria, curva sul figlio, nella Pietà Rondanini di Michelangelo. La schiena di Ester, accarezzata, massaggiata, lavata dalle mani di mamma Emma. I dettagli dell’opera di Michelangelo visti da terra, dal medesimo punto prospettico di Ester. E poi gli occhi di Ester, così magnetici, pieni di vita, di altro. Emma Ciceri (1983), vive e lavora Bergamo. A lungo ha affiancato alla ricerca artistica l’insegnamento presso alcune Accademie di Belle Arti, da qualche anno invece insegna al liceo. «Sempre di più l’arte si è fusa con la mia vita». Ester, sua figlia, ha dieci anni. Le loro vite sono intrecciate da necessari, quotidiani gesti di cura che – con tutte le domande che spalancano – sono al centro di Nascita Aperta (2021) e Studio di mani (2024).

Com’è che da un dialogo con la Pietà Rondanini – che rimanda ad una madre che stringe tra le braccia un figlio morto – i gesti della cura che uniscono lei e sua figlia diventano qualcosa che mette a tema la nascita?

Io non sono certa che l’opera di Michelangelo rappresenti una madre con un figlio morto. O meglio: guardando quei due corpi quello che mi arriva è l’enigma, il non sapere chi sostiene chi e in che modo lo fa. C’è voluto coraggio per avvicinarmi a quest’opera esponendomi in questo abbraccio di madre con mia figlia, però quella domanda c’è da sempre nella relazione con Ester e ho voluto darle spazio: in questo nostro abbraccio necessario che è abbraccio di cura, di sostegno, di incontro, di comunicazione, di un corpo che incontra l’altro non solo per il piacere di farlo ma per vivere… qual è il confine tra i nostri corpi? Dove finisci tu e dove inizio io? Chi è più vivo tra noi due? Chi sostiene chi? Stando accanto alla Pietà Rondanini – quindi non a priori o teoricamente – tutte queste domande si sono amplificate. Chi insegna di più? Chi apprende di più? Io cerco di insegnare a Ester a rotolare e lei mi sta insegnando a mettere un limite tra me e lei. Davanti alla Pietà Rondanini mi sono sentita totalmente accolta, compresa, come non mi era mai successo con le persone. Con certe opere questa cosa accade, di sentirsi dentro un flusso vitale che non è più la definizione di chi è vivo e chi è morto, chi sostiene e chi è sostenuto e che non è nemmeno di Michelangelo, mio o di Ester, ma è nostro, di altri figli, madri, padri… La vita e la morte sono molto più vicine di quello che ci raccontiamo. In una storia come quella di Ester, se la nascita fosse totalmente contenibile dentro il momento della nascita, sarebbe un dramma. Invece il concepirla come una continua possibilità di nascita dentro gli incontri, anche con le opere d’arte… dà una possibilità di infinito.

Nel nuovo numero di VITA, La solitudine dei caregiver, otto artisti e intellettuali narrano la bellezza del gesto di cura. Se hai un abbonamento, leggi subito qui oppure abbonati per scoprire il magazine e tutti gli altri contenuti dedicati.

Emma ed Ester davanti alla Pietà Rondanini di Michelangelo per il progetto “Nascita Aperta

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