Cultura

Microcredito: rischi pochi, risultati assicurati.

Le banche devono imparare che il microcredito è come un prodotto fisiologico del sistema. Aiuta a diffondere la cultura dell’autoimpiego.

di Carlo Borgomeo

Il microcredito, cioè la possibilità di consentire a soggetti anche deboli finanziariamente di mettersi in proprio e avviare un?attività autonoma, è importante innanzitutto sotto due aspetti: a livello di singole persone, che così possono vivere uno straordinario processo di affrancamento dal disagio, fiducia in se stessi e anche di acquisizione di piena responsabilità; a livello generale, perché uno sviluppo basato sulla diffusione tra più soggetti della responsabilità dello sviluppo, come dimostra ormai ampiamente l?esperienza, è certamente meno effimero. Tra l?altro questo spiega perché oggi tanti giovani si candidano a lavorare nel settore del microcredito e, più in generale, nella promozione dello sviluppo a dimensione locale.
Infatti in tale dimensione è possibile coniugare competenze professionali e motivazioni in modo del tutto nuovo e fortemente gratificante. Nel nostro Paese le esperienze di microcredito rispondono a due motivazioni di fondo, in parte distinte. Da una parte il microcredito viene vissuto e promosso come occasione di inclusione per i soggetti più deboli: basti pensare alle diverse iniziative che si riferiscono ai lavoratori immigrati, ai soggetti diversamente abili o molto poveri, in territori particolarmente degradati. Dall?altra parte negli ultimi anni l?attenzione agli strumenti capaci di promuovere l?autoimpiego e l?autoimprenditorialità deriva anche dalla crisi del lavoro stabile e sicuro: a ciò si rifà l?esperienza del prestito d?onore, nato alla a metà degli anni 90 come opportunità per i giovani del Sud in cerca di lavoro e rivelatosi uno degli interventi pubblici più efficaci a livello europeo per la promozione di lavoro autonomo.
Per consolidare il microcredito in Italia occorrerà, a mio avviso, lavorare su due versanti. Da una parte bisognerà alimentare le esperienze in cui il microcredito concretizza ipotesi di promozione di inclusione sociale: si potrebbe dire che il microcredito diventa uno strumento che favorisce la piena cittadinanza. Dall?altra parte è importantissimo lavorare perché il microcredito diventi un prodotto ?ordinario? delle banche: è cioè necessario affermare un modello per cui il prestito a un soggetto che non ha garanzie non sia necessariamente da individuare come uno strumento di politica sociale, ma come un prodotto come tanti altri del sistema creditizio.
In questo percorso bisogna prendere atto delle difficoltà, affrontare in modo realistico e professionale i problemi che, per le banche, sono soprattutto problemi di costo e non di rischio. Inoltre, andrebbero coinvolti gli enti locali che potrebbero, sul fronte delle politiche attive del lavoro, piuttosto che sostenere in maniera acritica interventi di mero sostegno del reddito, promuovere interventi che diffondono cultura di autoimpiego. Sono consapevole del fatto che ci sia molto lavoro da fare, ma io penso che il percorso sia ormai definitivamente tracciato, e che sia molto utile realizzare un benchmark delle esperienze migliori per trasferirne i risultati e consolidare i progetti.
Oggi non è più un?utopia pensare che il credito sia un diritto e non un privilegio. In fondo tutta la tensione e l?attenzione che si registrano nei confronti di queste esperienze di microcredito segnano anche la percezione, spesso implicita, dei limiti di un modello di sviluppo che fino ad oggi sembrava assolutamente inattaccabile.

In cammino verso l?ultimo della fila
Il 2005 è stato proclamato dall?Onu, anno internazionale del microcredito. Dottor Salviato, lei è sempre dello stesso avviso che il microcredito possa rivelarsi utile anche nei Paesi cosiddetti ?ricchi??
Ritiene che l?impulso di questa ricorrenza si rivelerà determinante per una maggior diffusione del microcredito nel mondo?
Paolo Massacesi, Frosinone

L?aver dedicato, da parte dell?Onu, il 2005 al microcredito rappresenta la legittimazione ufficiale di uno strumento di sviluppo promosso sia dai movimenti di autosviluppo che dalle organizzazioni non governative (ong) alternativo ai grandi piani di cooperazione promossi invece dagli stati e dagli organismi sovranazionali (Fmi; Banca mondiale ecc.).
Viene, in pratica, riconosciuto il valore dell?intuizione che una efficace emancipazione dalla povertà deve partire inevitabilmente dal basso, stimolando e aiutando il singolo e/o la famiglia a intraprendere un percorso anche di produzione di reddito, in una ottica di collaborazione tra persone che condividono le stesse situazioni e condizioni. Non è un caso che ogni programma di microcredito sia accompagnato anche da processi di autoeducazione e di formazione che allargano l’orizzonte della persona e lo fanno sentire artefice del proprio destino e membro di una comunità civile. Grazie a questo riconoscimento, le stesse reti di microcredito potranno avere come partner non solo gli enti di finanza etica ma anche intermediari istituzionali più sensibili ai problemi dello sviluppo nelle aree povere ma anche rassicurati dall?effettivo valore economico del microcredito.
In quest?ottica, lo strumento del microcredito perde la sua caratterizzazione ?sudista? (Sud del mondo) ponendosi al servizio di una nuova progettualità che mira a coinvolgere, nello sforzo di migliorare le condizioni vita delle fasce più deboli della popolazione, soggetti pubblici e privati nella consapevolezza, riprendendo le parole di Yunus, che di vero sviluppo si può parlare solo quando l?ultimo della ?fila? vede tutelati i suoi diritti e garantito l?accesso ai beni e ai servizi essenziali.
Concludendo questa breve riflessione, mi auguro che il microcredito perda un po? alla volta quell?alone di strumento marginale di credito, alimentando invece una nuova ?filosofia? bancaria che si fa carico delle esigenze anche dei più deboli senza venir meno al suo ruolo di intermediario creditizio e di garante del risparmio affidatole.

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