Stati Uniti
Trump alla sbarra: quasi 200 cause legali contro le sue politiche
Dall'immigrazione, passando per la sanità e il lavoro. L'amministrazione americana è bersagliata da centinaia di cause legali. Un'arma di resistenza che indirettamente ne produce un'altra: lo scontro tra il presidente e i giudici

Se in campo economico l’opposizione alle politiche di Donald Trump la fanno i mercati, in tutti gli altri settori della vita pubblica la fa la società civile. Singoli cittadini, associazioni, comitati, ong, tutti imbracciano la stessa arma: la causa legale. Portare l’amministrazione in tribunale sperando nel verdetto favorevole di un giudice sembra infatti l’unica strada possibile per cercare di impedire a Trump di smantellare Usaid, di deportare i migranti, di restringere i diritti per le persone lgbt+ e così via. Uno scontro che, indirettamente, ne produce un altro: quello tra Trump e i giudici stessi. Il presidente, infatti, è sempre pronto a scagliarsi contro quei magistrati che emettono sentenze contro i suoi ordini esecutivi. Le richieste di impeachment per questi giudici sono numerose.
Secondo Just security (un media indipendente che si occupa di diritto che ha sede presso il Reiss Center on Law and Security della New York University School of Law), che col suo “Litigation tracker” monitora tutte le cause presentate contro l’amministrazione Trump, al 16 aprile sono 192 le procedure aperte dal 20 gennaio a oggi, comprese quattro concluse. Di queste, sono almeno 74 quelle che hanno portato almeno a un tro (temporary restraining order) o a una preliminary injunction. Entrambi bloccano il procedere di determinate azioni, conservando lo status quo, la differenza sta nella durata. Il primo è preso d’urgenza e resta in vigore massimo due settimane e serve di fatto al tribunale per prendere tempo prima di emettere un giudizio più completo. Il secondo, invece, rimane in vigore fino alla decisione finale. Una preliminary injunction, dunque, può seguire un tro, il quale però può anche essere ritirato e anzi ribaltato. A prescindere dall’esito delle cause, il loro moltiplicarsi di giorno in giorno è prova della volontà di molti americani di non arrendersi davanti alle spregiudicate politiche di Trump.
Cittadinanza e immigrazione
Tra i provvedimenti più discussi che Trump ha preso da quando è tornato padrone dello Studio Ovale ce n’è uno contro la “birthright citizenship”, quello che noi chiamiamo ius soli. Com’è noto, chi nasce negli Stati Uniti è cittadino americano, a prescindere dalla nazionalità dei genitori o dal fatto che essi si trovino lì solo temporaneamente. Ebbene, il 20 gennaio Trump ha firmato un ordine esecutivo con cui impediva la concessione della cittadinanza a quei bambini nati negli Usa ma senza almeno uno dei due genitori cittadino americano. Una norma che colpiva tanto i figli degli immigrati senza documenti quanto quelli di coloro che sono regolari, ma anche quelli di chi si trova negli Usa in vacanza o per lavoro. Le cause intentate (e per ora vittoriose) contro il provvedimento sono diverse e battono l’accento sull’incostituzionalità della norma trumpiana.
Nel mirino dei querelanti sono finite, ovviamente, anche le azioni di Trump in tema di lotta all’immigrazione. Si va da interventi contro le deportazioni di immigrati a cause per impedire lo smantellamento del sistema di accoglienza dei rifugiati. È del 15 aprile la notizia che un tribunale ha bloccato il tentativo di chiudere un programma voluto da Biden che riconosceva ai migranti da Cuba, Nicaragua, Venezuela e Haiti lo status legale per rimanere negli Usa e lavorare. Da quanto il programma è stato avviato, sono intorno a 500mila le persone che ne hanno usufruito.
Sul fronte immigrazione l’ultimo caso risale al 16 aprile, quando il giudice federale James Boasberg ha avvertito l’amministrazione che o si adegua all’ordine di sospendere le espulsioni oppure incriminerà i responsabili con l’accusa di oltraggio alla corte. Per tutta risposta, la Casa Bianca ha presentato ricorso.
Il taglia e (s)cuci di personale e finanziamenti
L’obiettivo di Trump è quello di risparmiare fino a tre trilioni di euro grazie a tagli al personale (a volte bloccati dai tribunali, a volte no) e alla spesa pubblica. A marzo, la Corte suprema ha respinto il ricorso di Trump contro l’ordinanza di un giudice federale che obbligava l’amministrazione americana a pagare quasi due miliardi di dollari a due organizzazioni non – profit per lavori già svolti, un finanziamento che Washington aveva però provato a sospendere. Il tentativo di bloccare dei fondi può anche essere dovuto a cause ideologiche. Il Dipartimento per l’Agricoltura, per esempio, ha bloccato i fondi per alcuni progetti educativi nel Maine a causa della partecipazione di atlete transgender in sport femminili. Secondo Washington, tale politica violerebbe una legge che proibisce la discriminazione sessuale nei programmi educativi che ricevono finanziamenti federali. Il Maine ha però fatto ricorso e il giudice ha bloccato il congelamento dei fondi senza entrare nel merito della discussione sulle persone transgender ma spiegando che il Dipartimento non aveva seguito la procedura corretta per interrompere i finanziamenti.
Il taglio dei fondi impatta direttamente settori specifici, come la sanità e la cooperazione internazionale, con rischi a catena in diverse aree del mondo. Per esempio, il congelamento di Pepfar, il programma per la prevenzione e la cura dell’Aids in tutto il pianeta, potrebbe far impennare sensibilmente i dati su nuovi malati e decessi di qui al 2030.
La crociata contro i diritti lgbt+
La lotta contro i diritti delle persone transgender è, del resto, al centro dell’agenda trumpiana. Sono almeno 14 le cause aperte in questo ambito e contestano diversi aspetti: dai tentativi di collocare donne transgender i carceri maschili a quelli di interrompere i trattamenti medici per la transizione di genere per i detenuti (bloccato da un giudice della corte distrettuale di Washington DC), ma anche quelli di escluderle dall’esercito o di sospendere i finanziamenti federali agli ospedali che offrono trattamenti di genere a pazienti di età inferiore ai 19 anni. In questo caso, già a febbraio un giudice del Maryland ha accolto il ricorso di sei persone transgender tra i 12 e i 19 anni, bloccando l’rodine dell’amministrazione Trump. Tra le più discusse azioni di Trump c’è quella che impedisce alle persone transgender di segnalare sul passaporto la propria identità di genere.
Si chiede anche la testa del Doge
Insieme al segretario di Stato Marco Rubio, l’altro principale luogotenente di Trump nella sua operazione di rimodulazione degli Usa è Elon Musk, posto dal presidente a capo del Department of government efficiency – Doge. Così, molte delle cause legali sono dirette contro di lui o contro il Doge. Si va da interventi contro il tentativo di smantellare Usaid a procedimenti contro lo stesso conferimento dell’incarico a Musk. La nomina dell’uomo più ricco del mondo, infatti, non è stata confermata dal Senato, come avviene per gli altri funzionari di rango analogo.
In apertura: una donna mostra un cartello con scritto Boo Trump durante una manifestazione a Wheeling, West Virginia (foto di Rosemary Ketchum/Pexels).
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