Raccolta fondi
Ddl beneficenza: e se il Parlamento adesso ascoltasse il Terzo settore?
È partito alla Camera, in X Commissione, l'esame del ddl nato sull’onda del caso Ferragni-Balocco. Serve davvero? Per Michela Gaffo, presidente di Assif, «le regole a tutela del consumatore e del cittadino esistono già. Se fosse un tema, direi: bello lo spunto, è lo svolgimento che va aggiustato»

È del dicembre 2023 il “pandoro gate”, il caso che coinvolse l’azienda Balocco e l’imprenditrice e influencer Chiara Ferragni. A quasi un anno e mezzo dalla vicenda che è diventata persino un caso studio all’università (VITA ne ha scritto qui), è appena iniziato alla Camera (in X Commissione) l’esame del decreto con cui il Governo in quattro e quattr’otto reagì a caldo a quell’onda nera.
“Disposizioni in materia di destinazione di proventi derivanti dalla vendita di prodotti”: recita così il disegno di legge che porta la firma della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Il testo (lo ha presentato nei dettagli Edoardo Patriarca qui) introduce norme più stringenti a tutela dei consumatori e maggiore trasparenza nella pubblicità e nelle pratiche commerciali in relazione alla promozione e alla vendita di prodotti i cui proventi sono destinati a enti del Terzo settore e associazioni. Sulla questione c’è chi ritiene non ci sia un vuoto legislativo da colmare e chi al contrario teme un carico di adempimenti per le realtà che ricevono fondi da contratti di sponsorizzazione con le aziende. Sull’importanza della trasparenza, ovviamente, non ci sono dubbi.

Ne abbiamo parlato con Michela Gaffo, presidente di Assif, l’Associazione italiana fundraiser che da oltre vent’anni unisce i professionisti del settore. «È proprio su questo punto», sottolinea, «che si dovrebbe porre l’accento. Non tanto su una nuova norma, piuttosto su un nuovo impegno per accrescere la consapevolezza delle norme a protezione del consumatore e del cittadino».
Il ddl è composto da sei articoli che riguardano gli obblighi, le sanzioni, la tipologia di enti a cui possono essere destinati i proventi, l’etichettatura dei prodotti e la comunicazione preventiva all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. C’è chi pensa che le regole sulla beneficenza esistano già e che una nuova normativa possa risultare ridondante. Come stanno le cose?
Di fatto esistono norme in grado di proteggere il consumatore e il cittadino da tutto ciò che è considerato pubblicità ingannevole. Non credo che manchino le tutele legali e formali per la parte più debole della transazione, cioè l’acquirente finale. Temo invece che, come spesso accade in Italia, si tenti di medicare una situazione di scarsa consapevolezza e scarsa conoscenza delle regole che già governano questo tipo di iniziative, con un aggravio burocratico. Nel nostro ordinamento, quando emerge una criticità molto spesso la risposta è quella di aggiungere ulteriori regole e nuovi adempimenti. Immaginiamo in questo modo di tutelare di più e meglio, e invece il supplemento normativo si traduce in un aggravio di incombenze, in questo caso a carico delle organizzazioni che promuovono, a scopo benefico, partnership con aziende. Se fossimo tutti più consapevoli, non credo ci sarebbe bisogno di discutere una nuova legge. Quello che manca è una solida conoscenza anche da parte di tutte le persone che operano nel Terzo settore di ciò che occorre mettere in campo per la costruzione di iniziative di sostenibilità: cos’è una raccolta fondi e cos’è una operazione commerciale, come devono essere sottoscritti gli accordi, che cosa si deve prevedere a livello di comunicazione e come costruire correttamente il rapporto tra azienda e organizzazione. Anche senza volerlo, oggi si rischia di incorrere in situazioni critiche perché in anticipo non si sa valutare la portata di questo tipo di partnership.
In Italia spesso quando emerge una criticità la risposta è quella di aggiungere regole e adempimenti. Immaginiamo in questo modo di tutelare di più e meglio. Invece il supplemento normativo si traduce in un aggravio di incombenze, in questo caso a carico delle organizzazioni
Michela Gaffo, presidente Assif
Quindi non si tratta di un vuoto legislativo, ma di costruire cultura?
Vedo un problema di consapevolezza, formazione e strutturazione corretta di un’iniziativa. Poniamo tanta cura nell’organizzare un evento di piazza, sotto tutti i punti di vista: dobbiamo sapere che anche per queste iniziative serve la stessa cura nella definizione degli accordi a livello formale e legale con l’azienda con cui si collabora. Come Assif, ci preoccupiamo costantemente di diffondere una cultura del dono e del fundraising. Il Codice del consumo è già un buon punto di partenza, così come le regole esistenti in ambito contrattuale. Occorre definire correttamente i ruoli, la comunicazione e i messaggi sulla destinazione dei fondi.
Cosa c’è di buono nel ddl e cosa invece sarebbe deleterio?
C’è un’intenzione che ritengo buona: porre l’attenzione sul fatto che la comunicazione e gli accordi debbano essere resi molto chiari e molto evidenti a tutte le parti. In una parola, trasparenza. L’aspetto negativo è la scelta di inserire norme su altre norme, a tutela del consumatore: il timore è sempre lo stesso, che si aggiungano procedure burocratiche in capo agli enti che già fanno difficoltà a costruire relazioni con le aziende e operazioni di sostenibilità. Se fosse un tema, direi: bello lo spunto, è lo svolgimento che va aggiustato.
Se fosse un tema, direi: bello lo spunto, è lo svolgimento che va aggiustato
Il disegno di legge è nato a caldo dopo il pandoro gate, in un’ondata di indignazione che ha travolto l’opinione pubblica al punto che l’enciclopedia Treccani ha inserito l’espressione tra i neologismi 2024. Quale riflessione possiamo fare a distanza di tempo?
Di quella spinta emotiva, in questo momento, è rimasto poco: si è esaurita sia nel consumatore sia nelle organizzazioni. E soprattutto non si è creato l’effetto domino che in tanti avevamo temuto (ne ha scritto Sara De Carli qui, ndr): il caso non ha avuto un grande impatto nel fundraising né nelle relazioni tra associazioni e aziende. Quello che ha insegnato a noi fundraiser ha a che fare proprio con la consapevolezza: dobbiamo essere sempre più preparati. In particolare, quando si tratta di collaborazioni, occorre avere chiaro in mente il riflesso che ogni rapporto riverbera sul consumatore e sull’opinione pubblica. Da un punto di vista legislativo, sappiamo che una risposta sull’onda dell’emotività non è mai una cosa buona. I tempi del legislatore per fortuna sono più lunghi e meditati rispetto alle reazioni. Quello che auspico nel caso specifico è una riflessione organica, in cui la politica si confronti a livello di pensiero strategico con le organizzazioni che rappresentano il Terzo settore, i professionisti della raccolta fondi e della comunicazione. Gli interventi normativi non sono negativi a prescindere, ma devono avere una visione che derivi da un dialogo costante con le organizzazioni: possiamo essere utili al decisore politico e al legislatore per scrivere norme più strategiche.
In apertura, Chiara Ferragni in una sfilata a Parigi (fotografia Panoramic/LaPresse)
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