Idee Lavoro sociale
Non può esserci libertà nella società dell’angoscia
Oggi più che mai c’è bisogno di progettare, promuovere e realizzare processi per il supporto e l’accompagnamento della vita delle persone. Il lavoro sociale non dà solo servizi ma aiuta a costruire speranza, cioè la capacità di immaginare il futuro, in un'epoca segnata dal cinismo. Dove domina l'angoscia infatti non può esserci libertà
di Vanna Iori

Quelli che stiamo vivendo sono gli anni della paura e dell’incertezza. Ce ne accorgiamo ancora di più oggi con una guerra alle porte dell’Europa di cui non si intravede la fine, un conflitto drammatico in Medio Oriente, l’aggressività della presidenza americana che sembra voler avviare una guerra commerciale neoimperialista dagli esiti incerti e drammatici, nuove povertà, crisi giovanile diffusa, catastrofe climatica… solo per citare alcuni dei fenomeni che stanno agitando questa epoca così fragile. Le persone si trovano ad affrontare grandi complessità e nuove paure, peraltro, dopo una pandemia che ha già sconvolto e trasformato le nostre società.
Vivere o sopravvivere
Cerchiamo ogni giorno di uscire da un trauma, di fare i conti con l’orrore, di guarire dalle nostre ferite, immersi dentro il tempo critico e doloroso di uno shock collettivo che sembra non lasciare scampo. Vivere si trasforma in sopravvivere. Lo psicoanalista Wilfred Bion parla di “cambiamento catastrofico” per descrivere un tempo di riassestamento dell’organizzazione psichica di fronte ad uno scenario impensato. Del resto l’identità degli individui si forma nella capacità di affrontare le crisi, le improvvise rotture rispetto a tutto quello che fino a un momento prima era la continuità quotidiana; paure e drammi che precipitano l’essere umano nell’angoscia e nell’incertezza. Per questo dobbiamo avere la forza di non cercare rifugi nel tempo dell’incertezza ma individuare dei varchi per abitarlo con rinnovata speranza: solo così potremo avere la forza di vivere la paura – che è un sentimento fortemente penetrante questa epoca – senza esserne sopraffatti e, altresì, non cercare soluzioni improvvisate e inutili, spesso dannose e non curative.
Dobbiamo avere la forza di non cercare rifugi nel tempo dell’incertezza, ma di individuare dei varchi per abitarlo con rinnovata speranza
Distinguere l’essenziale
In questo contesto di precarietà un altro elemento diventa centrale: la capacità di distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è, imparando a cogliere la bellezza dei momenti, vivendo di speranze tangibili anche nell’abisso dell’ inquietudine. Mi è capitato di leggere in questi giorni un magnifico saggio del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, dal titolo Contro la società dell’angoscia, in cui si traccia una strada che in molti miei scritti ho affrontato: in un presente sempre più ossessivo e frammentato, in una quotidianità caratterizzata dall’ansia da prestazione, un flusso incessante di informazioni e isolamento sociale, dobbiamo riscoprire la comunità e la speranza. Una speranza che non deve essere intesa come attesa passiva, ma come forza vitale e rivoluzionaria.
Dobbiamo trasformare le nostre città non solo in luoghi blindati e sorvegliatissimi, ma innanzitutto in spazi di solidarietà e fiducia, dove nessuno si senta solo e dove il futuro non sia solo una minaccia, ma un’opportunità
Riscoprire la comunità
Come comunità, dobbiamo trasformare le nostre città non solo in luoghi blindati e sorvegliatissimi, ma innanzitutto in spazi di solidarietà e fiducia, dove nessuno si senta solo e dove il futuro non sia solo una minaccia, ma un’opportunità. Questo significa tessere reti per le comunità territoriali, a partire dai vicini, ricostruendo rapporti e relazioni. Il territorio è il luogo che dovrebbe rispondere alla riorganizzazione della rete di vicinato e comunità al fine di configurare un modello di offerta territoriale capace di garantire la presa in carico di tutti. Nelle nostre città c’è bisogno di luoghi fisici reali di condivisione che consentano di prendersi cura delle persone. Dobbiamo far fronte a un disagio oscuro e profondo di cui facciamo fatica a parlare; ci sono persone che hanno perso progetti e prospettive e non hanno nessuno che li aiuti a guardare avanti e credo che dentro le reti di vicinato, nella costruzione della comunità, nelle agenzie territoriali si possa trovare una risposta.
Riscoprire la cura
Ma è necessario anche far fronte al calo spaventoso di persone disponibili a lavorare nei servizi riferiti alla cura delle persone, nei servizi sociali e socio-educativi, poiché si tratta di lavori indispensabili che, purtroppo, nessuno vuole più fare. Non si trovano educatori, assistenti sociali, Osa, Oss; i giovani non desiderano più intraprendere professioni che li facciano occupare più di persone fragili, a partire dagli anziani e dai bambini. Oggi più che mai c’è bisogno di progettare, promuovere e realizzare processi per il supporto e l’accompagnamento della vita delle persone. Abbiamo urgenza di costruire relazioni di cura, accoglienza e responsabilità per prevenire le attuali situazioni di isolamento e solitudine, soprattutto, nelle aree territoriali culturalmente e socialmente più fragili sul piano relazionale. E questo, in un’epoca segnata dal cinismo e dalla sfiducia, aiuterebbe a riscoprire la speranza, riappropriarsi del potere di immaginare e costruire un futuro migliore e libero, perché dove domina l’angoscia non possono esserci libertà e democrazia, non possono costruirsi empatia e solidarietà. Solo la speranza rende possibile il cammino.
Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano. Foto d
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