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Quel clamore per Eluana era proprio fuori tema

Il padre di una ragazza in coma da anni aveva chiesto di sospendere le cure. Che non significa staccare la spina...

di Redazione

Ricordate Eluana Englaro? La sua storia era finita nel calderone mediatico alla voce “eutanasia” perché questa ragazza di Lecco dal 18 gennaio ‘92 è in stato vegetativo permanente in seguito a un incidente d’auto. La sua corteccia cerebrale è staccata dal resto del cervello: la differenza dal coma profondo è che Eluana respira senza ausili meccanici. Ma la diagnosi non le dà molte speranze. La sua vicenda fece clamore la primavera scorsa, perfino Veronesi intervenne nel dibattito quando il padre della ragazza, nominato suo tutore, chiese alla Corte d’Appello di Milano l’autorizzazione a interrompere il nutrimento artificiale per Eluana, che la tiene in vita. La richiesta non fu accolta, ma pochi si accorsero che l’eutanasia, in quel dramma, non c’entrava. Lo spiega l’avvocato Maria Cristina Morelli, legale di Beppino Englaro fino alla sentenza del dicembre ’99: «L’eutanasia è un comportamento attivo di aiuto a morire, nel caso di Eluana si tratta di stabilire se lei possa, come tutti, accettare o rifiutare le cure. E se i trattamenti che le vengono impartiti (nutrizione e idratazione) siano atti terapeutici, dunque rifiutabili, o non terapeutici e quindi sempre dovuti. Nella prima ipotesi sarebbe un accanimento terapeutico, vietato dal nostro ordinamento, mentre nella seconda non lo si potrebbe interrompere. All’estero è entrata nella prassi la prima interpretazione, nel caso di pazienti vegetativi, da noi invece è al lavoro una commissione che stabilirà come inquadrare il nutrimento artificiale». Niente “dolce morte”, «è la dialettica medico-paziente: nessuno è obbligato a farsi curare», conclude l’avvocato. «Eluana è incapace: poiché il padre è suo tutore, potrebbe decidere per lei. Con le dovute autorizzazioni».


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