Cultura

Un maremoto di promesse… e di azzardi

Sei miliardi di euro da tutto il mondo. La Germania ne promette 500 milioni. L'Italia punta sulla trasparenza (perché di soldi non ne ha)... e anche noi, a rischio di passare per cinici

di Giulio Leben

Si dovrà prima o poi mettere i puntini sulle ?i? di donazioni. E allora proviamoci a mente fredda e cuore bollente. Lasciamo perdere per il momento le donazioni di chi non dice come, e con che tempi, devolverà i fondi raccolti, ma che nell?imperativo emozionale di questi primi giorni del 2005, ha semplicemente aperto un conto corrente in favore dell’emergenza maremoto. Sorvoliamo pure sull’operazione “sms” dello Stato italiano. E concentriamoci su qualche cifra.

Secondo gli ultimi dati disponibili, con la promessa di uno stanziamento pubblico di 70 milioni, l’Italia è risalita nella graduatoria dei contribuenti europei. La classifica è guidata dalla Germania, dove il governo di Gerhard Schröder ha messo sul piatto 500 milioni. Al secondo posto c’è la Norvegia, con 134 milioni. Al terzo la Gran Bretagna (70,5 milioni), subito seguita dall’Italia (70). Quindi la Danimarca (56,5), la Svezia (55), la Spagna (50) e la Francia (49,8). Fra i contribuenti mondiali, la Germania è invece al secondo posto, superata soltanto dall’Australia (575 milioni di euro) e davanti al Giappone (380 milioni), Canada (327 millions di euro) e agli Stati Uniti (263 milioni). L?Unione europea e i 25 paesi si sono impegnati a donare 1,5 miliardi di euro. Nel mondo, sono complessivamente 6 i miliardi di euro promessi per la catastrofe in Sud est asiatico.

Insomma, per chi volesse pensare male (e a pensar male si fa peccato, ma si indovina sempre, dicunt), un?ottima occasione – colta al volo dall?west – per controllare ancora per qualche decennio il famoso Far East. Lo si legge in controluce osservando con una certa sorpresa la disponibilità della Germania che, in questo modo, non è da escludere abbia investito per qualche voto in più sul suo ingresso al Consiglio di sicurezza dell?Onu. Ma lo si legge anche ripensando alla freddezza con cui sono state affrontate le tragedia in Africa (pensiamo solo al Ruanda nel 1994: 3milioni di morti) o più vicino all?attuale catastrofe, geograficamente e temporalmente, all?alluvione in Cina nel 1998 (1.300 morti). Lo si legge infine nell?invadenza (leggi: protagonismo) dello Stato (non solo in Italia) nella questione donazioni. E si coglie nella discrepanza fra le promesse e i dati di fatto. Il coordinatore delle operazioni d’emergenza delle Nazioni Unite Jan Egeland, in occasione della riunione a Ginevra fra i maggiori donatori di oggi, ha precisato che il versamento immediato è sceso di 545 milioni di euro.

Qual?è dunque il problema? Che il Far East fa paura. Una questione geopolitica: paesi come la Cina, l?India, la Corea, l?Indonesia, la stessa Thailandia, solo per citarne alcuni, hanno infatti una potenzialità economica e culturale capace di surclassare l?arrancante West in pochi anni. Lo si è capito a suo tempo, quando si è deciso di bloccarlo: si diceva la ?crisi asiatica?, ricordate? O quando la new economy ha mostrato in tutta evidenza come in questo settore (quello dell?informatica, del soft e dell?hard-ware), l?Oriente non avesse competitor, se solo gliene si fosse data l?occasione. Sarà, ma adesso l?occasione l?ha colta l?Occidente. Che per i 6 miliardi di euro che, forse, arriveranno in sud est asiatico, chiederà qualcosa in cambio ai Paesi beneficiati: in politica e nel business non si fa niente per niente, non è mica volontariato. In politica si promette, e si incassa.

Qualcuno a questo punto potrebbe direbbe Che fare?. Ecco, non quello. Ma certamente essere coscienti di quel che accade. Di non abbandonarsi all’emotività: tuttora evitando le raccolte fondi che non specificano come e a chi devolveranno i soldi. E dall’altro senza abbandonarsi al cinismo con cui gli Stati rischiano di interpretare la politica. Insomma: credere a qualcosa di nuovo e di possibile. E discuterne, perché il silenzio non prenda il sopravvento e nasconda ciò che non vogliamo sentire.

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