Accoglienza
Senza medico e senza scuola: i diritti calpestati dei minorenni nei Cas per adulti
Dal 2023 i minori stranieri non accompagnati possono eccezionalmente essere accolti in strutture dedicate a maggiorenni. Accadeva anche prima. Ma questo contesto li priva di un pezzo fondamentale di assistenza - scuola, sanità, conoscenza dell'italiano - lascia spazi per la criminalità e segna in maniera indelebile il loro percorso. Il racconto di cinque tutori volontari che hanno seguito alcuni di questi ragazzi

Ci sono minori stranieri non accompagnati che non hanno gli stessi diritti degli altri. E non per una colpa: non loro, almeno. Un responsabile, però, c’è: il sistema di accoglienza italiano, che dal 2023 permette ai minorenni di età superiore i 16 anni di essere ospitati nei Centri di accoglienza straordinaria – Cas per adulti. A fine gennaio erano 85, secondo i dati forniti a VITA dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ma secondo il rapporto in Limine di Asgi erano 700 a fine 2023.
«In queste strutture non ci può essere quell’assistenza, quell’attenzione e quella protezione che invece garantisce il Sai, che ha un numero di operatori presenti su 24 ore molto diverso, prevede servizio di consulenza psicologica, insegnamento dell’italiano, consulenza legale», dice Carmela Zoppi, tutrice volontaria dell’associazione Obiettivo Fanciullo di Isernia, che ha seguito ben quattro minori passati attraverso i Cas per adulti. «Si tratta di realtà totalmente inadeguate per i minorenni: quando mi è stata data la tutela di questi ragazzi, non avevano nemmeno l’assistenza sanitaria, quando c’era un’urgenza dovevano dare il nominativo di un’altra persona per farsi assegnare i medicinali. Non erano iscritti a scuola. Quando poi abbiamo presentato domanda d’asilo, ho scoperto che uno di loro era vittima di tratta: lasciare questi adolescenti abbandonati a loro stessi è gravissimo».
Questa situazione non è limitata al Molise: ci sono tutori provenienti da tutta Italia che raccontano esperienze simili. «Fino alla fine di gennaio sono stata tutrice di un ragazzo egiziano che era accolto in un Cas adulti qui a Ferrara», racconta Paola Scafidi, presidente di Tutori in rete, il network nazionale delle associazioni di tutori volontari. «La prassi di accogliere minorenni nelle strutture per adulti, di fatto, esisteva già precedentemente alla norma che l’ha legalizzata. E, ancora oggi, capita che i minori siano accolti lì anche per tempi più lunghi rispetto a quelli stabiliti dalla legge».
Il Decreto-legge n.133 del 5 novembre 2023, quello che ha introdotto la possibilità che i minorenni stiano nei Cas per adulti, stabilisce che i ragazzi possano stare nei centri solo per 90 o – in caso di proroga – 150 giorni. Le testimonianze dei tutori, però, confermano la tendenza a prolungare questo periodo ben oltre i termini prescritti dalla legge. Il minore che aveva in affido Scafidi, per esempio, nel Cas è rimasto sei mesi; altri ci sono stati nove mesi o addirittura un anno.
«La mia esperienza risale al 2021», ricorda Valeria Pecere, vicepresidente dell’associazione Tutori minori msna Puglia, attiva sui territori di Brindisi e Lecce. «Ero tutrice di due ragazzi tunisini, che sono rimasti nel Cas adulti finché uno dei due è stato trasferito perché ha avuto il proseguo amministrativo, mentre l’altro è scappato. Tra l’altro, la situazione di questi adolescenti era identica: non riesco a capire perché per uno il proseguo sia stato accordato e per l’altro no».
Una rete di esclusione
Anche nel caso in cui operatori e responsabili di struttura si adoperino al meglio per assistere i ragazzi che si trovano a dover accogliere – a volte capita addirittura che facciano più ore del dovuto per insegnare l’italiano, per esempio – la vita nei centri per adulti non è certo adatta a dei ragazzi così giovani: la libertà è eccessiva, non ci sono orari, non ci sono lezioni di italiano, non ci sono attività di inclusione. Soprattutto, non c’è la separazione tra minorenni e maggiorenni che la norma stabilisce.
«Il Cas in cui era inserito il minore che seguivo era organizzato in microappartamenti sul territorio», racconta Marzia Spagnolo, tutrice della Val di Susa dell’associazione Tutrici e tutori volontari di msna Piemonte e Val d’Aosta, «quindi non c’era l’aspetto della promiscuità legata ai grandi numeri, ma, al contempo, dipendeva molto dal gruppo dei residenti. Il ragazzo di cui ero tutrice è arrivato in Italia a fine luglio, in una Torino deserta, senza scuola, senza parlare italiano. Era abbandonato a se stesso; la dotazione organica per la gestione dei Cas è risicatissima, quindi, nella migliore delle ipotesi, nel nostro caso prevedeva un passaggio di un’ora al giorno». Il giovane seguito da Spagnolo era in appartamento con uomini molto più grandi di lui, che facevano gruppo ed erano tutti della stessa nazionalità. «Facevano del nonnismo verso gli adolescenti, che erano due», continua la tutrice, «e non hanno certo funzionato come rete di inclusione, semmai di esclusione».
I buchi in cui si infila la malavita
Una grossa mancanza, per i minori nelle strutture per adulti, è legata alla vigilanza: è proprio nei buchi della rete di assistenza e di inclusione che si può addirittura infilare la mala vita, per intercettare anche i giovanissimi, lasciati a sé stessi da un sistema che li ha dimenticati. Colmare le lacune non può e non deve essere compito esclusivo dei tutori, che spesso invece si sono ritrovati – come ha fatto Spagnolo – a vegliare sui ragazzi, addirittura svegliandoli se avevano un appuntamento. Quando – e se – finalmente i minori entrano in un Sai, si trovano in difficoltà ad adeguarsi alle nuove regole, più stringenti: prima erano abituati a entrare e uscire dalla struttura a qualsiasi ora, senza alcun controllo e ora si trovano ad avere orari fissi, operatori che li incalzano.
Salute, scuola, italiano: lesi i diritti di base
Pietro Guastamacchia, dell’associazione Tutori msna Puglia, ha avuto la tutela di due ragazzi che sono rimasti sei mesi al Cara di Borgo Mezzanone, a metà strada tra Foggia e Manfredonia, in una situazione di promiscuità con gli adulti. «In questi adolescenti ho colto un grave ritardo, è come se avessero vissuto in una situazione di deprivazione sensoriale», dice. «Oltre ai problemi linguistici – dopo metà anno in Italia non sapevano ancora dire una parola nella nostra lingua – c’erano ritardi relazionali, mancanze educative, assenza di scuola. L’accoglienza iniziale in strutture per adulti segna indelebilmente i percorsi successivi degli adolescenti, perché viene ritardata al presa incarico di qualità».
A venire lesi, anche i diritti di base. «Nei sei mesi in cui il ragazzo di cui ero tutrice è rimasto nel Cas per adulti, il responsabile della struttura non è riuscito a fargli ottenere il permesso di soggiorno per minorità, che è semplicissimo, e che spetta a qualsiasi minore straniero non accompagnato», afferma Scafidi. «Io sono stata nominata a settembre, a dicembre è stato spostato in una comunità per minori. Nel frattempo, mi sono occupata di fargli avere il codice fiscale, la tessera sanitaria, il permesso di soggiorno, l’iscrizione a scuola. Tutte cose che avrebbe ottenuto a marzo, al suo ingresso nel sistema di accoglienza, se fosse stato in una struttura per minori. Questi ritardi hanno prodotto come risultato una perdita di occasioni concrete».
Addirittura, a qualcuno è mancato anche un supporto a livello sanitario. «Il minore di cui sono tutrice, arrivato a fine luglio dello scorso anno, ha avuto un medico di base a marzo, poco tempo fa», dice Spagnolo. «Mio marito è medico, quando il ragazzo stava male gli faceva una specie di diagnosi al telefono, poi lo andavamo a trovare e gli portavamo i farmaci. Però se un adolescente sta male – anche solo un’influenza – e non c’è nessuno pronto ad accoglierlo si possono creare dei traumi. Se un ragazzo ha qualcosa di grave va in pronto soccorso, certo, ma manca tutto l’aspetto della cura, che per una persona così giovane è fondamentale». Nel periodo della pandemia, poi, l’abbandono era totale. «Quando li ho conosciuti, i ragazzi di cui ero tutrice avevano 17 anni e mezzo», afferma Pecere, «e non erano mai andati a scuola. Il Cas non aveva procurato per loro la didattica a distanza nel periodo del Covid».
Il primo impatto con un nuovo Paese è fondamentale, perché delinea l’idea che un ragazzo ha del viverci. L’autonomia che viene concessa in un Cas per adulti è eccessiva, per un minore in generale ma soprattutto per un minorenne che è doppiamente fragile, a migliaia di chilometri da casa, con un passato faticoso, che non padroneggia la lingua e non ha nessuno strumento per difendersi.
«Non è giusto», conclude Scafidi, «è incostituzionale. C’è anche un cortocircuito tra le norme: la Legge Zampa afferma che i minori stranieri hanno gli stessi diritti dei minori italiani, ma un minore italiano verrebbe mai accolto in un centro per adulti? Perché poi un minore che ha 16 anni dovrebbe avere meno diritti di uno che ne ha 15?».
In apertura, foto di Gianfranco Ferraro per Save the Children
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