Stati Uniti

Battaglia all’ultimo comma: così ong e sindacati provano a salvare Usaid

L'unica strada per chi si oppone allo smantellamento del sistema degli aiuti esteri sembra essere quella del tribunale. Ma finora l'amministrazione Trump ha vinto tre volte su quattro

di Francesco Crippa

Il mondo della cooperazione allo sviluppo degli Stati Uniti non se ne sta con le mani in mano di fronte al tentativo di Donald Trump di smantellare tutto il sistema degli aiuti esteri, a partire dalla principale agenzia che se ne occupa, Usaid. Dal 20 gennaio, giorno in cui Trump ha ordinato un blocco di 90 giorni all’erogazione dei fondi per la cooperazione e lo sviluppo, sono almeno cinque le cause legali intentate contro l’amministrazione da ong, associazioni, sindacati. Quella della battaglia legale, del resto, è una delle poche strade, forse l’unica, tramite cui opporsi in maniera efficace alla cinica politica di Trump, che sull’altare del motto Maga (Make America great again) è disposta a sacrificare il sostegno a diversi Paesi in via di sviluppo e a popolazioni in stato di emergenza.

Non tutte le cause intentate vanno a buon fine, mentre altre sono ancora in attesa di un giudizio definitivo. La prima è stata presentata il 6 febbraio, l’ultima il 21 marzo. Si tratta di azioni che vanno contro diversi aspetti della linea del governo, dai licenziamenti al congelamento dei fondi a questioni specifiche su determinati tipi di contratti

Licenziamenti, prima lo stop e poi il via libera del giudice nominato da Trump

Il 6 febbraio, l’American foreign service association (l’associazione professionale di chi lavora nel settore degli esteri) e l’American federation of government employees (uno dei principali sindacati federali), rappresentate da Public Citizen e Democratic Forward, due associazioni che operano per la difesa dei diritti umani, hanno presentato una causa per chiedere un provvedimento che bloccasse la sospensione dei lavori di Usaid e un massiccio piano di licenziamenti attivato dalla stessa agenzia. Il 7 febbraio un’ordinanza del giudice Carl Nichols (nominato da Trump nel 2019) del tribunale distrettuale di Washington DC ha accolto in parte le richieste dei querelanti, sospendendo fino al 14 febbraio (poi ancora fino al 21) ulteriori licenziamenti e ordinando il reintegro di chi era già stato lasciato a casa, ma non intervenendo riguardo al blocco dei finanziamenti. Il 21 febbraio, però, Nichols ha rimosso la sua sospensione, affermando che le ragioni che lo avevano motivato (il fatto che l’improvviso licenziamento dei lavoratori all’estero e il rimpatrio potevano essere pericolosi) fossero in effetti «esagerate». Trump, dunque, ha potuto riprendere la sua campagna di licenziamenti.

La Corte Suprema: no al blocco retroattivo dei fondi

Se questa causa (per ora) non è andata a buon fine, un iniziale e parziale successo lo hanno riportato l’Aids vaccine advocacy coalition e il Global health council – Ghc in due separate cause presentate il 10 e l’11 febbraio. Entrambe erano volte a bloccare la sospensione di Usaid, ma quella del Ghc protestava anche contro il mancato pagamento di lavori già effettuati. Ebbene, il 10 marzo il giudice Amir Ali ha stabilito che il governo americano ha l’obbligo di onorare tutti gli impegni sottoscritti nel 2024. Prima di questa decisione, l’amministrazione Trump aveva tentato un ricorso presso la Corte Suprema, che però lo ha respinto. Abbiamo raccontato la vicenda nell’articolo qui sotto.

Anche Musk può intervenire nello smantellamento

Nella battaglia legale in corso è finito pure Elon Musk, che in qualità di capo del Department of government efficiency – Doge non solo si è limitato a rilanciare la narrativa trumpiana secondo cui Usaid sarebbe una «operazione psicologico-politica di estrema sinistra» come ha scritto su X, ma ha anche preso parte al processo operativo di smantellamento dell’agenzia. Motivo per cui il 13 febbraio in 26 tra attuali ed ex dipendenti hanno fatto causa a Musk e al Doge per le azioni intraprese, che avrebbero causato ai querelanti danni finanziari, stress emotivo ed eventuali responsabilità legali. Secondo i querelanti, il comportamento di Musk e del Doge sarebbe incostituzionale. Il 18 marzo il giudice Theodore Chuang ha accolto preliminarmente la causa, sostenendo che l’operato di Musk sarebbe «probabilmente» incostituzionale a causa della modalità della sua nomina, che è arrivata senza la conferma da parte del Senato americano.

Tre giorni dopo, il 21 marzo, il governo ha presentato ricorso chiedendo la sospensione della decisione di Chuang. La Corte di appello ha accolto la richiesta, ma con due motivazioni diverse. I giudici Marvin Quattlebaum e Paul Niemeyer (entrambi nominati da un presidente repubblicano, rispettivamente Trump e George H. W. Bush) hanno sostenuto che non c’è incostituzionalità perché Musk è un vero consigliere presidenziale e i suoi sforzi per tagliare i fondi a Usaid sono stati approvati da funzionari con autorità diretta sull’agenzia. Per il giudice Roger Gregory, di nomina democratica (presidente Bill Clinton) la nomina di Musk è invece incostituzionale. Tuttavia, ha accolto il ricorso dell’amministrazione perché i querelanti avrebbero dovuto fare causa non a Musk e al Doge ma a funzionari con autorità formale sull’agenzia.

Le altre cause e le prospettive della battaglia legale

Esito negativo ha avuto anche la causa presentata il 18 febbraio dal Personal services contractor association, l’associazione che riunisce i lavoratori non direttamente dipendenti di Usaid. Oggetto della causa la presunta incostituzionalità della disparità di trattamento nei licenziamenti rispetto ai lavoratori dipendenti, ma il giudice Carl Nichols (di nuovo lui) l’ha respinta sostenendo che, trattandosi di una questione contrattuale, si sarebbe dovuto sottoporre il caso a tribunali specifici e non alla Corte distrettuale.

Infine, l’11 marzo American Oversight ha citato in giudizio la stessa Usaid sulla base di alcune accuse pervenute all’agenzia. Secondo queste, Usaid starebbe distruggendo una notevole quantità di documenti, contrariamente a quanto previsto da leggi come il Federal records act o il Freedom of information act. La causa è pendente.

Tra ricorsi e contro-ricorsi, le vicende legate a ciascuna causa potrebbero protrarsi a lungo, senza contare che nuovi procedimenti potrebbero venire intentati nelle prossime settimane. Difficile, dunque, che Usaid cessi definitivamente di vivere nel breve periodo. Tuttavia, il bilancio tra querelanti e amministrazione Trump finora è una sola vittoria per chi fa ricorso e ben tre per il governo

AP Photo/Jacquelyn Martin/LaPresse

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