Yuri Tuci

«Io, “autistico certificato”, guardo la normalità dallo specchietto retrovisore»

di Elisa Fusaro

Per interpretare una persona con autismo, la regista de "La vita da grandi", Greta Scarano, ha scelto una persona con autismo, questo 41enne, collaboratore scolastico a Prato, dove è nato. Si è avvicinato al teatro per fuggire l'angoscia e ora "sbrana il pubblico in un solo boccone". VITA lo ha incontrato

Yuri Tuci ha 41 anni, un talento naturale per la recitazione, un gatto di nome Tigre e un «segno particolare», come tiene a precisare lui, è «autistico vero, certificato con il bollino di qualità, mica come quelli che millantano». È di Prato, dove vive e fa il collaboratore scolastico, «un inserimento terapeutico nel lavoro per categorie protette».

La vita da grandi – nelle sale in questi giorni – è la sua prima esperienza sul grande schermo, il suo primo film da protagonista e l’esordio alla regia di Greta Scarano. Un bel mix di novità, insomma. Da dove mi parla adesso? Come sta andando il suo giro per l’Italia?

Oggi sono a Roma, nei giorni scorsi eravamo in Puglia, poi a Milano, in Emilia Romagna, andremo nelle Marche e in altre tappe di presentazione. Che meraviglia il Petruzzelli, tutto pieno per noi, incontrare il presidente Mattarella in persona e nelle scuole, non ti dico, che standing ovation! Anche ragazzini delle medie, che di solito non riescono a stare fermi, sono stati attenti per tutto il tempo, non hanno detto “pio”. E mi chiedo, cos’avrò fatto per riuscire in questa impresa? Io che non ci so fare coi bambini, non li so gestire, eppure…

La pellicola si ispira alla storia vera dei fratelli Tercon, Damiano e Margherita, che VITA ha intervistato (leggi): lui è autistico e sogna di sfondare nel mondo della musica, lei è la sua sibling, che in inglese vuol dire fratello o sorella, ma da noi ha preso il significato di fratello o sorella di persona con disabilità. Com’è stato lavorare con Matilda De Angelis, nel film sua sorella e coprotagonista?

Bellissimo, indescrivibile. Matilda ha molta più esperienza di me come attrice, è bravissima. Anche se mi ha confessato di essere un po’ introversa e di invidiare il mio coraggio. Nella finzione io mi chiamo Omar e vivo a Rimini con i miei genitori, lei è Irene, mia sorella minore, e sta a Roma ormai da tempo, ha un lavoro, un amore e progetti concreti da realizzare. I due si ritrovano da soli per qualche giorno nella casa di famiglia, perché papà e mamma si devono allontanare per un impegno improvviso. Irene, più piccola di Omar, si trova così a doversi prender cura di questo autistico grande e grosso, con tanti sogni inespressi nel cassetto, ma che, per realizzarli, ha bisogno prima di imparare a diventare davvero autonomo. Sarà lei ad aiutarlo in questa impresa. Da questa relazione, da questo patto fraterno, partono mille peripezie che non sto qui a raccontarvi, perché il bello è vederle al cinema!

Lo avrebbe mai immaginato, solo qualche anno fa, di diventare uno stimato attore?

Quando ero piccolo e battevo la testa al muro in preda all’angoscia, se qualcuno mi avesse detto “farai l’attore e verrai applaudito”, gli avrei riso in faccia, avrei dato una testata anche a lui. E oggi scopro di essere un Varenne, lo stallone favorito nella corsa. Sul set e a teatro mi chiamavano “il mastino”, perché, modestamente, imparo la mia parte in un attimo e il pubblico me lo sbrano con tutte le ossa e i capelli, in un sol boccone! A parte gli scherzi, pensavo che avrei avuto timore a lavorare così ad alti livelli. E invece è stata la cosa più facile del mondo. Non glielo saprei dire da dove mi viene questa energia, se dall’autismo, dal mio carattere. A un certo punto, come dicono qui a Roma, sticazzi, ho smesso di chiedermelo.

Pensi, che evoluzione! Comunque, è giusto ricordarlo, lei non è arrivato per caso fino a qui. Ha lavorato parecchio, su di lei prima e sulla recitazione poi ed ha incontrato persone che hanno creduto in lei. Una strada non certo in discesa.

Eh, il passato ogni tanto “sanguina ancora” quando mi fermo a pensare. Torna su come la peperonata. Ho scoperto solo a 18 anni di essere autistico. I primi segnali mi hanno raccontato i miei genitori che si sono presentati attorno ai 18 mesi. Nell’infanzia non ti accorgi molto, sei più incosciente. L’adolescenza una vera schifezza, almeno per me lo è stato. Ero una mina vagante, iperattivo, manesco, un terremoto vivente. Un ricordo che mi fa molto male, il mio passato da autistico, con l’autolesionismo, le crisi, le difficoltà relazionali. Ovviamente non lo facevo apposta, non sapevo gestirmi; stavo male, ma non sapevo spiegare il motivo. E fortunatamente al suicidio non sono portato, un po’ come al nuoto.. Tante volte la mia mamma è scappata in soffitta a piangere, per non farsi vedere. Può essere molto traumatico per i genitori e per le persone attorno, che non sanno come aiutarti.

Un frame dal film

Però, tutto sommato, tanti compagni delle scuole ancora oggi sono miei amici. Se non sono scappati forse non ero poi così male. Oggi sto bene con me stesso. Conosco i miei limiti e cerco di superarli, andar sempre avanti. Partendo da uno abisso clamoroso, grazie ai miei genitori, a una neuropsichiatra che mi ha seguito fin da piccino e al teatro, ho fatto uno scatto in avanti, doppiando la “normalità” che ora guardo con sufficienza dallo specchietto retrovisore. Ho fatto vedere io chi comanda, tiè! L’importante è non perdersi mai d’animo, affrontare le paure e soprattutto non lasciare che nessuno ti dica: non ce la puoi fare.

Forse proprio a teatro è iniziata la sua rinascita, con lo spettacolo “Out is me” del 2018, un monologo potente e psichedelico dove racconta la sua storia e il suo autismo con molta autoironia, ma anche tanta spietatezza.

Confermo, lì tutto ebbe davvero un nuovo inizio, anche grazie ad alcuni amici come il Clem (Lorenzo Clemente, nella foto sotto con Tuci, ndr): il mio manager, portavoce, socio, bodyguard, autista, social media manager e molto altro, che mi ha praticamente scoperto. È stato uno di quelli che ha creduto in me perché ha intravisto il mio talento, che evidentemente non vedeva l’ora di esplodere come un fuoco d’artificio. Anche oggi è al mio fianco e mi accompagna in questa nuova avventura. Nella vita reale io purtroppo sono figlio unico, a differenza del personaggio di Omar che interpreto nel film, il Clem si può dire che sia un po’ “la mia Irene”; mi ha insegnato tanto della vita da grandi. Detto fra noi, l’ho beccato piangere giorni fa. Lui dice che è allergia al polline, secondo me è commozione, ma non lo ammetterà mai.

Yuri Tuci e Lorenzo Clemente, foto di Claudia Gori

Senza spoilerare nulla, colpisce ne La vita da grandi il rapporto del protagonista con i suoi genitori, che per proteggerlo tendono a sotto una campana di vetro, a non esporlo alle frustrazioni. Cosa ne pensa e com’è invece il rapporto con i suoi genitori?

L’atteggiamento iper protettivo delle famiglie non fa bene a nessuno. Per non parlare di quelle che addirittura si vergognano di avere un figlio “non allineato” alle aspettative del mondo. I miei genitori mi hanno sempre aiutato, nonostante le difficoltà. Mia madre (Maria detta il Maresciallo) è la mia prima fan. Mio padre (Stefano detto Dario, perché è il sosia di Dario Argento) mi raccontava tante storie da piccolo, allenava la mia fantasia, anche se sotto sotto resta un po’ un outsider. Quando ha visto la prima volta il film è andato a dire alla regista “pensavo peggio”. Poi l’autistico sarei io!

Yuri Tuci con i fratelli Tercon e Matilda De Angelis

Parlando di vita da grandi, noi siamo praticamente coetanei, possiamo dire che anche il tabù sul sesso quando si parla di disabilità, intellettive e non, non è più accettabile.

C’è ancora tantissimo da fare sull’educazione sessuale e nel trattare i sentimenti delle persone cosiddette disabili. Non siamo mica “angioletti”, pure noi abbiamo diritto a voler fare le cosacce e a innamorarci. Uh, non mi far parlare! Ecco, se c’è una cosa che mi fa paura è pensare che magari non troverò mai la donna giusta per me, che mi accetti davvero per quello che sono. Sì, la solitudine mi fa paura: la libertà della solitudine è una sepoltura a cielo aperto. Le volte che mi sono innamorato camminavo in aria. L’amore è molto meglio degli psicofarmaci.

La sensazione a volte è che anche le persone intorno, forse per paura di dire qualcosa di sbagliato, di offendere, trattino i neurodivergenti come se fossero di cristallo o degli eterni bambini da proteggere.

È proprio così. Io penso che non ci sia nulla di più sbagliato. Il messaggio è: vi dovete rilassare ragazzi! Prendeteci come siamo e facciamoci una risata insieme. A tal proposito, vi aspetto tutti al cinema!

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