Bill Drayton

Il fondatore di Ashoka: «La libertà più grande è la libertà di cambiare il mondo»

di Stefano Arduini

L'intervista a Drayton dopo aver ricevuto il prestigiosissimo Global Treasure Award, il riconoscimento, consegnato in occasione dell'annuale Skoll World Forum di Oxford, che premia le persone il cui lavoro ha avuto un impatto trasformativo sulla società

L’arcivescovo Desmond Tutu, l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, Sua Santità il 14° Dalai Lama, Tenzin Gyatso, l’attivista Malala Yousafzai, The Elders, il musicista Bono, l’attivista umanitaria e per i diritti delle donne e dei bambini Grace Machel. Sono alcuni dei nomi che in passato hanno ricevuto il Global Treasure Award. Il riconoscimento, consegnato in occasione dell’annuale Skoll World Forum di Oxford, in Inghilterra, premia le persone il cui lavoro ha avuto un impatto trasformativo sulla società. A promuoverlo è la Skoll Foundation, che attraverso lo Skoll Centre for Social Entrepreneurship, con sede presso la Saïd Business School dell’Università di Oxford, ha l’obiettivo di accelerare l’impatto dell’imprenditoria sociale unendo il mondo accademico, le imprese e l’innovazione sociale. Quest’anno il premio è andato a Bill Drayton, fondatore e ceo di Ashoka, l’organizzazione nata nel 1981 che in questi anni ha sostenuto oltre 4mila imprenditori sociali in tutto il mondo, Italia inclusa. 

Il Global Treasure Award viene assegnato a personaggi che “stanno facendo cose straordinarie per affrontare i problemi più urgenti del mondo”. Come “si diventa” Bill Drayton, quali sono i suoi valori e la sua visione del mondo?

Sono cresciuto a Manhattan, New York. Da bambino non sopportavo il latino e la matematica. Fin dalle elementari mi sono invece concentrato sulla fondazione di un giornale. Dovevo trovare pubblicità e lavorare con ragazzi di scuole diverse. Molti anni dopo, quando mia madre morì, seppi quanto questa mia attività la preoccupasse. Vi leggo un passaggio da una lettera che inviò al preside della mia scuola, il signor Huball. Mia mamma domandava: «Perché nostro figlio spesso non è nè a scuola, nè a casa?». La sua risposta: «Bill se lo può permettere, non deve essere ansiosa». Il signor Huball mi ha aiutato a capire che col mio giornale potevo essere un artefice del cambiamento. Non c’è dono più grande. 

Alla fine dell’adolescenza, dopo aver partecipato ad altre  startup e aver incontrato il movimento gandhiano per i diritti civili, non vedevo l’ora di andare in India. Alla fine ci sono stato con tre amici del liceo, ispirati da Bayard Rustin, il cofondatore della Southern Christian Leadership Conference (Sclc) di Martin Luther King Jr. In quei mesi ho imparato ad amare l’India e Gandhi. Fu allora, erano negli anni 60, che nacque l’idea di fondare Ashoka. Qual è la forza più potente del mondo? Sono le idee che cambiano i sistemi. E questo vale in ogni campo, dall’ambiente all’elettronica. Questa fu la prima lezione, da cui partì tutto.

Ashoka viene fondata nel 1981…

Come dicevo l’idea di Ashoka risale agli anni 60. Tuttavia, solo alla fine degli anni 70 abbiamo intuito che il momento storicamente giusto stava arrivando. Le generazioni post-indipendenza in tutta l’Asia (due terzi del mondo) stavano maturando e potevano accogliere una proposta come quella che avevamo in mente. Lo stesso valeva per l’America Latina dopo la stagione delle giunte militari. E poi il 20 gennaio 1981, con la sconfitta di Jimmy Carter, avevo concluso il mio lavoro all’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti. Ero pronto per una nuova sfida. 

Perché quel nome?

Ashoka fu un sovrano dell’impero Maurya, figura centrale del buddismo indiano. Le ragioni di questa scelta sono molteplici: Ashoka è stato una fonte di innovazione in quasi tutti i campi sociali. È stato un imperatore sempre votato alla pace, piuttosto che alla guerra. E ancora: nel suo ideale di società non c’è spazio per la violenza. 

Ashoka nasce per diffondere la cultura dell’imprenditorialità sociale. Come definirebbe questo concetto? 

Gli imprenditori sociali sono coloro i quali hanno grandi idee che mettono al servizio del cambiamento per il bene comune. E lo perseguono per tutta la vita, ascoltando, imparando, creando e poi ascoltando di nuovo. E non si fermano finché la loro visione di un mondo strutturalmente migliore non diventa realtà. 

Quali sono i principi su cui si basa questa visione?

Il diritto umano per eccellenza è il diritto a contribuire al bene comune. È questa la leva per diventare “changemaker”. Un termine che abbiamo creato noi proprio nel 1981, a Bombay. Da allora abbiamo selezionato circa 4mila leader dell’imprenditoria sociale  in tutto il mondo. Ogni anno selezioniamo nuovi imprenditori sociali con idee che cambiano il modello della società. E quasi sempre queste idee hanno una dimensione economica. Le faccio un esempio. Abbiamo 1.400 fellow che si occupano di minori in circa un milione di scuole in tutto il mondo. Lo fanno affidando responsabilità concrete ai ragazzi. In questo modo crescono i voti nelle materie di studio e diminuiscono gli atti di bullismo. E soprattutto questi studenti hanno un assaggio di cosa significhi essere changemaker. Cresceranno e matureranno un sogno di cambiamento. Quando un ragazzo o una ragazza di 12 o 14 anni scopre di aver sognato, costruito una squadra e trasformato il proprio mondo, ha ottenuto il suo “dottorato” per affrontare la vita nella nuova realtà. Saranno persone felici e positive. Qualsiasi società che aumenti la percentuale di giovani con queste caratteristiche migliora la qualità della vita dell’intera comunità. E una comunità composta da attori del cambiamento, diventa una calamita. 

Come vive il non violento Bill Drayton nel mondo in guerra dei nostri tempi?

Il mondo di oggi soffre di quella che chiamiamo “la nuova disuguaglianza”; il 40% della popolazione è di fatto esclusa dalla vita sociale e dalla possibilità di partecipare attivamente al cambiamento. Questo è crudele e profondamente distruttivo. Nelle contee americane a con una bassa presenza di changemaker, la fascia di popolazione degli esclusi ha un’aspettativa di vita di quattro anni inferiore rispetto alle contee ad alto tasso di cambiamento. Nel 2000 il Pil pro capite era quasi lo stesso se si confrontavano le contee ad alto e a basso tasso di changemaking. Venti anni dopo, la proporzione della ricchezza è diventata 71 a 29. E la forbice è destinata ad allargarsi. Finché non aiuteremo queste persone a sviluppare la capacità di contribuire attivamente al nuovo mondo, in costante trasformazione e sempre più interconnesso, ne pagheremo tutti le conseguenze. E loro finiranno per cercare qualcuno da incolpare.

In questa cornice, il compito di Ashoka è quello di garantire che ognuno possa essere agente del cambiamento.  Dobbiamo supportare le giovani generazioni, affinché possano mettersi in gioco, vivere un’esperienza che gli cambi la vita: avere sogno, creare la propria squadra, cambiare il mondo! Il mondo del business e l’intera popolazione coinvolta nell’economia devono cambiare. Dobbiamo cambiare, e dobbiamo aiutare anche chi ci sta intorno a cambiare. Il dono più grande è quello di poter mettersi al servizio degli altri.

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