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Ma io non scenderò a patti coi talebani

Gino Strada, il chirurgo di Emergency, ha avuto un incontro con gli integralisti al potere, che hanno giudicato il suo ospedale una struttura troppo promiscua e l'hanno chiuso

di Benedetta Verrini

Che i talebani non fossero tipi con cui si scende a patti, lo avevano già dimostrato nel marzo scorso, quando distrussero i Buddha giganti di Bamiyan senza fare una piega davanti agli appelli e alle condanne della comunità internazionale.
La settimana scorsa i “puri di Allah” hanno replicato, facendo irruzione nell’ospedale di Emergency, appena inaugurato nella capitale Kabul. In venticinque hanno scavalcato il muro di cinta dell’ospedale e sono entrati con la forza, armati di kalashnikov e fruste e, dopo aver imposto a tutto lo staff di inginocchiarsi, hanno picchiato alcuni di loro e arrestato tre persone. Il capo d’accusa è di aver violato la sharìa, la legge islamica sulla separazione dei sessi, poiché nella struttura italiana era stata allestita una mensa per il personale in cui uomini e donne erano separati “solo” da una tenda.
L’ospedale è stato chiuso in via cautelativa per decisione dello stesso Gino Strada, fondatore di Emergency: «O loro mi garantiscono l’inviolabilità della struttura o io lo tengo chiuso anche per diciotto anni», ruggisce al telefono il chirurgo. Vita lo ha raggiunto proprio in Afghanistan, dove si è recato per incontrare le autorità locali e decidere se è possibile riprendere le attività. E mentre nella difficile trattativa si è inserito anche il ministero degli Esteri («speriamo che l’ospedale possa riaprire presto», ha detto il sottosegretario Ugo Intini), Strada spiega le sue prossime mosse.
Vita: Cosa intende fare, dottore?
Gino Strada: Sto avendo una serie di incontri con i rappresentanti del governo. Voglio ricevere precisi impegni, altrimenti l’ospedale resterà chiuso. I talebani devono garantire condizioni di rispetto per il nostro staff e i pazienti, e impegnarsi formalmente a considerare l’ospedale come un luogo inviolabile, dove non si può entrare armati e con intenzioni di violenza. L’Onu ha speso miliardi a fare comunicati di condanna nei confronti degli eccessi del fondamentalismo islamico, ma in fondo non ha mai fatto nulla di concreto. In questa circostanza credo che sia giusto dare ai talebani un segnale di fermezza.
Vita: In questo modo, i primi a subire le conseguenze della chiusura sono i malati.
Strada: Lo so bene, ma non si può mandare avanti una struttura come quella con la minaccia di essere assaliti. I degenti che erano ospitati nell’ospedale sono stati trasferiti o dimessi. A Kabul tutte le strutture ospedaliere sono ormai fatiscenti: questo ospedale è il solo a poter garantire alla popolazione un’assistenza medica e chirurgica gratuita.
Vita: Questo attacco è frutto di un’iniziativa di pochi fanatici o si è trattato di una decisione governativa?
Strada: È stata una presa di posizione ufficiale. Gli uomini che hanno assaltato l’ospedale erano funzionari del ministero per la Prevenzione del vizio e la salvaguardia delle virtù, una polizia religiosa, agli ordini del mullah Mohammed Omar, che in Afghanistan non rende conto a nessuno. Quello che mi stupisce è che due giorni prima di questo attacco il primo ministro aveva visitato l’ospedale e non aveva avuto nessun tipo di obiezione da fare.
Vita: Quando avete deciso di aprire questo ospedale, proprio a Kabul, non avete tenuto conto di questa intransigenza?
Strada: Avevamo preso precisi accordi sulla struttura e sulla gestione del personale con il ministero della Sanità talebano, lo scorso dicembre, e questi accordi erano stati sottoscritti da entrambe le parti. Noi li abbiamo rispettati. Il fatto è che questi estremisti sono ossessionati dal principio di segregazione delle donne: non tollerano l’idea che possano essere viste, o in qualche modo scoperte. Ma all’interno di un ospedale io, medico, mi rifiuto di visitare una donna ferita alla pancia osservando solo il foro d’entrata della pallottola, senza poter visitare la persona.
Vita: Forse non vi hanno perdonato la costruzione di un altro ospedale ad Anabah, nella regione del Panshir, che si trova sotto il controllo del ribelle Massoud…
Strada: Questo non lo posso dire: l’altro ospedale funziona regolarmente e ai nostri operatori è sempre stato consentito di entrare e uscire dai confini senza problemi. Credo, piuttosto, che l’irruzione di venerdì scorso sia nata da un’improvvisa ostilità contro una struttura dove pazienti e personale potevano ricevere, una volta tanto, un trattamento dignitoso.
Info: www.emergency.it

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