Famiglia

Indonesia: lo tsunami non ferma la guerra civile

Anche dopo il maremoto non si sono fermati gli scontri armati tra i guerriglieri del Gam e l'esercito

di Carmen Morrone

Il devastante maremoto del 26 dicembre sembra aver posto tragicamente fine alla guerra civile che dal 1976 si combatte nella regione di Banda Aceh, dove lo tsunami ha provocato oltre 100mila morti. L’esercito indonesiano, che da anni non si permetteva di varcare se non per incursioni armate il confine demarcato dai guerriglieri indipendentisti del ”Movimento per Aceh libera” (Gam), adesso e’ sbarcato in forze per prestare soccorso alla popolazione decimata. ”In zona abbiamo dispiegato 31mila soldati” ha annunciato il portavoce dell’esercito, colonnello Ahmad Yani. I segnali che giungono dal terreno sono tuttavia discordanti. I ribelli del ”Gam” venivano stimati prima dello tsunami in non piu’ di 5000 uomini, anche se grazie al perfetto controllo del territorio, e alla giungla che aveva loro offerto una protezione strategica, si erano dimostrati capaci di tenere in scacco per 26 anni l’intera armata indonesiana. Ora fonti militari a Giakarta ritengono che la devastazione del 26 dicembre abbia cancellato la struttura armata dell’organizzazione indipendentista, sebbene la sua leadership sia al sicuro in Svezia dove vive da anni in esilio. All’indomani della catastrofe il comandante dell’esercito indonesiano generale Endriartono Sutarto ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale. Posizione confermata anche dal comandante dei ribelli, Hasan Tiro, dal 1979 riparato a Stoccolma dove ha ottenuto addirittura la nazionalita’ cosi’ da impedire l’estradizione ripetutamente sollecitata da Giakarta. Negli ultimi cinque giorni, tuttavia, l’esercito indonesiano ha denunciato almeno due scontri a fuoco avvenuti in piena emergenza umanitaria. L’ultimo episodio e’ di ieri quando da bordo di un’imbarcazione uomini armati ritenuti vicini al ”Gam” avrebbero sparato contro una pattuglia di soldati. L’incidente e’ accaduto sulla spiaggia di Lhok Nga, nell’immediata periferia di Banda Aceh. La ripresa delle ostilita’ in un momento cosi’ drammatico per il Paese non appare insomma scongiurata, tanto da spingere un rappresentante delle Nazioni Unite ad ammonire: ”guai se la tregua finisse” ha dichiarato Jan Egeland, coordinatore delle operazioni di soccorso dell’Onu a margine della conferenza mondiale per il piano di aiuti tenuta ieri a Giakarta. ”Se il conflitto dovesse riprendere – ha aggiunto – noi non saremmo piu’ in grado di assistere gli sfollati”. Egeland oltre alla situazione di Banda Aceh, ha citato anche lo Sri Lanka dove il movimento indipendentista Tamil ha giafi intimato alle forze governative di ritirarsi dalle sue zone del nord-est devastate dallo tsunami e di affidare il controllo dei campi profughi ai propri guerriglieri. I 26 anni di guerra civile che hanno provocato a Banda Aceh oltre 10mila morti soprattutto fra la popolazione civile, hanno scavato un solco di odio che difficilmente l’emozione generata da questa tragedia potra’ ricolmare. Organizzazioni non governative hanno accusato le forze armate indonesiane impegnate nelle operazioni di soccorso di discriminare nella distribuzione dei viveri i civili ritenuti parenti o amici dei ribelli del ”Gam”. Anche per questo Hasballah Saad, membro della Commissione indonesiana dei diritti umani, ha chiesto di affidare la gestione degli aiuti ad un organismo indipendente ”che tenga conto delle sensibilita’ e della cultura locale precedenti al disastro”. I ribelli del nord, di rigorosa fede islamica, rivendicano la piena indipendenza della regione respingendo le offerte di autonomia che il governo di Giakarta e’ invece disposto a concedere. In gioco non sono soltanto i valori religiosi che il ”Gam” intende tutelare rispetto al resto dell’Indonesia che vive un islam piu’ emancipato, ma anche i grandi giacimenti di gas e di petrolio di cui Banda Aceh e’ ricchissima. Il timore adesso e’ che superato lo stordimento seguito alla tragedia, fede e denaro tornino ad essere il detonatore dell’odio e, quindi, di una ripresa della guerra.


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