Volontariato

Studiare all’estero: una ricerca di ASF rivela cosa cambia

La presentazione Giovedì 13 gennaio 2005 ore 17,30 al Palazzo delle Stelline, c.so Magenta,61 Milano

di Carmen Morrone

?Lo sviluppo di competenze interculturale studiando all?estero: l?esperienza AFS?. E’ il tema della conferenza stampa a cui saranno presenti: Mitchell R. Hammer, docente di Studi sulla Pace e sulla Risoluzione dei Conflitti all?American University di Washington Roberto Ruffino, Segretario Generale di Intercultura Come cambia la visione interculturale di un diciasettenne dopo un?esperienza all?estero? A questa domanda risponde la ricerca condotta dal prof. Mitchell R. Hammer su 1500 studenti liceali di nove Paesi (Austria, Brasile, Cina, Costa Rica, Ecuador, Germania, Giappone, Italia, Stati Uniti) che, aderendo ai programmi di AFS Intercultural Programms di cui fa parte Intercultura, hanno trascorso un anno all?estero vivendo presso un famiglia e frequentando là un intero anno scolastico. Noto interculturalista, consulente a livello governativo in più situazioni di crisi (fra le tante ricordiamo l?identificazione di Ted Kaczynski autore del manifesto di Unabomber) e docente di Studi sulla Pace e sulla Risoluzione dei Conflitti all?American University di Washington, M. Hammer ha coinvolto in questo studio, oltre i ragazzi, anche le loro famiglie, le famiglie che li hanno ospitati all?estero e 638 compagni di scuola come gruppo di controllo. Il modello utilizzato per la ricerca è stato il Developmental Model of Intercultural Sensitivity (DMIS) creato da Milton Bennet, tra il 1986 e il 1993, per inquadrare le reazioni delle persone di fronte alle differenze culturali e quindi l?evoluzione dei loro atteggiamenti e comportamenti quando esposti a ad interazioni con culture diverse. Già una precedente ricerca, condotta fra il 1980 e il 1985 da Cornelius Grove e Betsy Hansel, aveva evidenziato che i borsisti AFS si distinguevano nettamente dai compagni di scuola rimasti a casa, non solo per la capacità di comunicare efficacemente in una lingua straniera, ma anche per la maggiore l?adattabilità a situazioni nuove ed inattese, l? atteggiamento meno materialistico, il minor conformismo e l?accresciuta capacità di comunicare anche in pubblico. Lo studio attuale, che si è protratto per due anni e sei mesi dopo il rientro a casa dei ragazzi coinvolti, ha permesso di investigare proprio gli aspetti interculturali che riguardano la crescita di un ragazzo di 17 anni durante l?anno all?estero. In particolare si è voluto evidenziare l?impatto di questa esperienza sulla sua: capacità di affrontare situazioni interculturali ansietà di fronte a situazioni culturalmente diverse conoscenza delle variabili culturali efficacia comunicativa in una lingua straniera abilità ad interagire con persone di altri Paesi rete di amicizie con gente straniera. I risultati ottenuti hanno evidenziato, non solo quanto aumenti la confidenza con la lingua straniera (ben il 12% degli studenti ha raggiunto un livello di bilinguismo perfetto, mentre un altro 35% la parla la lingua in modo fluente), ma anche e soprattutto quanto l?esperienza all?estero favorisca il passaggio da una fase di etnocentrismo, in cui si trova la maggioranza dei diciassettenni e che si manifesta come negazione o rifiuto delle differenze culturali, ad una fase di universalismo, in cui si tende a minimizzare le differenze tra le culture e come tale cambiamento sia più marcato negli studenti che partono da condizioni di maggiore marginalità e di etnocentrismo più sostenuto. Oltre ciò, dalla ricerca che il prof. Hammer ha condotto in modo del tutto indipendente, emergono altri dati interessanti che mettono in rilievo i diversi elementi della crescita interculturale a favore degli studenti AFS rispetto ai compagni del gruppo di controllo rimasto a casa, dati che convalidano ulteriormente quanto AFS e Intercultura sostengono da tempo: che un?esperienza di vita e scuola in un altro Paese in età adolescenziale contribuisce a ridurre i pregiudizi, gli stereotipi, le discriminazioni ed a creare una base comune per una risoluzione dei conflitti culturali. Per la dimensione del campione studiato, la novità della metodologia applicata e l?indipendenza del ricercatore, lo studio di Mitchell Hammer costituisce una tappa molto importante, su cui si potranno utilmente confrontare e misurare le ricerche future sull?educazione ai rapporti internazionali ed alla mondialità.


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