Minori & Giustizia

I reati minorili? Sono come la pioggia

Il livello di consapevolezza dell'adolescente autore di reato «è simile a quello che abbiamo rispetto al tempo: prendiamo atto del fatto che ci sia il sole o la pioggia, ma non ne siamo responsabili». In dialogo con lo psicologo giuridico Mauro Grimoldi sulla criminalità giovanile, partendo da “Adolescence”

di Ilaria Dioguardi

Cosa succede nella mente dei giovani e giovanissimi autori di reati? «L’adolescente trasforma la realtà in un teatro, trasforma la sua presenza nel mondo nel luogo in cui può mettere in atto un gesto, un agito, di cui non è del tutto consapevole, ma che ha un’importante valenza simbolica», dice Mauro Grimoldi, psicologo giuridico, consulente del giudice Tribunale di Milano, Monza, Piacenza.

Non solo Adolescence. Le cronache ci riportano preoccupanti episodi di violenze e omicidi commessi da giovani e tra giovani, tra gli ultimi in ordine di tempo un sedicenne accoltellato a Frascati da un quindicenne, per un debito di poche decine di euro. È vero che in Italia nell’ultimo report della Polizia criminale le segnalazioni totali di minori, denunciati o arrestati sono calate: segnano infatti un -4,15%. Colpisce però che negli ultimi due anni si sia registrato un incremento dell’8,25% dei reati per violenza sessuale. «C’è qualcosa di profondamente scandaloso nel reato commesso da un quasi bambino», dice Grimoldi.

Il suo ultimo libro Dieci lezioni sul male. I crimini degli adolescenti (Raffaello Cortina Editore) è un viaggio nella mente dei ragazzi violenti per riflettere sulle origini del male e sulle sue conseguenze.

Il libro è una riflessione che viene da quasi vent’anni di lavoro con i minori autori di reato. Nelle dieci lezioni sul male ho condensato cose che mi sono arrivate da casi su cui ho lavorato e che raccontano di adolescente che sono spesso diversi da come gli adulti si aspettano che siano. Per esempio, è molto interessante la serie Adolescence uscita recentemente, di cui parlano tutti.

Perché?

Possiamo partire da questa serie per fare dei ragionamenti su un tema estremamente difficile, che è quello della criminalità adolescenziale. C’è qualcosa di profondamente scandaloso nel reato commesso da un quasi bambino. Adolescence prende le mosse da un reato gravissimo, un omicidio, commesso da un bambino di 13 anni, all’inizio dell’adolescenza. E, per l’Italia, sotto l’età minima di imputabilità, quel ragazzino in Italia non sarebbe stato condannato. Lo è, invece, nel luogo in cui la serie è ambienta, in Inghilterra: lì viene arrestato.

Quando ci troviamo di fronte a un reato grave commesso da un adolescente, noi spesso non riusciamo a mettere insieme la gravità del fatto, vediamo un contrasto tra questo e l’umanità del soggetto autore del reato, nella sua fisicità, magari non importante, spesso minuta, in questo volto che ci ricorda da vicino il bambino che è stato fino a poco tempo prima. Il tema è: come può essere stato possibile?

Questa è la ragione per cui tutti i crimini minorili sono molto interessanti anche per i media.

Esattamente. Perché è lo scandalo, la dimensione di un agito che è fuori senso. Ci si chiede come sia possibile che questo quasi bambino abbia fatto una cosa del genere, che richiede una forza, un coraggio, una competenza, un’adultità, una quantità di cose che normalmente un adolescente (o un preadolescente) non può possedere. Ed effettivamente l’enigma si pone in modo molto importante. Scopriamo qualcosa di estremamente interessante, che diversi psicologi ed autori, soprattutto gli psicoanalisti di orientamento psicodinamico, nel tempo hanno pensato, facendo delle riflessioni sulla criminologia minorile, a partire da Donald Winnicott, Tommaso Senise, in tempi più recenti Arnaldo Novelletto e Gustavo Pietropolli Charmet.

L’adolescente trasforma la realtà in un teatro, trasforma la sua presenza nel mondo nel luogo in cui può mettere in atto un gesto, un agito, di cui non è del tutto consapevole, ma che ha un’importante valenza simbolica

Mauro Grimoldi

Questi autori hanno notato che alcuni adolescenti che vivono una crisi evolutiva non riescono a pensare il malessere, il disagio, a mettere in parole o in una dimensione simbolica il loro malessere, ma si fermano ad un livello in cui questa crisi evolutiva è senza parole. Allora questi ragazzi cosa fanno? Compensano ciò che gli manca agendo nel mondo qualcosa.

Ci spieghi meglio.

Noi adulti quando stiamo male sviluppiamo sintomi, una depressione, un sintomo ossessivo, delle allucinazioni, delle dispercezioni. Per fare questa operazione, all’adolescente occorre una certa capacità di mentalizzazione, una funzione di ragionamento astratto, una capacità di simbolizzazione che fa sì che riesca a produrre dei sintomi. Ma l’adolescente non è ancora in grado di fare questo.

E allora che cosa fa?

L’adolescente trasforma la realtà in un teatro, cioè trasforma la sua presenza nel mondo, nel luogo in cui può mettere in atto un gesto, un agito, di cui non è del tutto consapevole, ma che ha un’importante valenza simbolica. Quello che fa dice qualcosa di lui e di che cosa lo mette fortemente in tensione, in crisi. Il reato non è una cosa che possono compiere tutti: lo fanno quei ragazzi che hanno in quella modalità di commissione del reato una tematica aperta e che serve loro. Novelletto la chiama «fantasia di recupero maturativo», per superare attraverso la dimensione della forza, della sopraffazione, dell’agito, quello che è un tema di disagio. Pensiamo all’aggressione da parte di un gruppo di adolescenti verso qualcuno per l’appartenenza ad una specifica categoria.

Facciamo un’ipotesi.

Prendiamo l’ipotesi di un gruppo di adolescenti che aggredisca un compagno disabile nel bagno della scuola, fanno un video e lo postano su Instagram o TikTok. Fanno spesso un’operazione di messa in rete di un video che poi diventa l’oggetto di un’incriminazione, quindi anche un reato: non c’è accortezza nel fare ciò che si dovrebbe fare per mascherare il fatto di essere colpevoli di un reato, perché non c’è consapevolezza.

Il titolo del primo capitolo del suo libro è Il reato minorile, come la pioggia. Perché il reato è come la pioggia?

Il livello di consapevolezza che ha l’adolescente rispetto al proprio ruolo nella commissione di un reato è spesso simile alla consapevolezza che noi abbiamo rispetto al tempo atmosferico: prendo atto del fatto che ci sia il sole o la pioggia, ma non sono responsabile. Non è consapevole nemmeno del fatto di essere stato in un luogo, di essere responsabile di qualcosa, che essere lì non sia un caso. Ne prende atto, è successo. Un gruppo di adolescenti, qualche anno fa, ha commesso un omicidio in Sicilia: decisero di rendere testimonianza piena agli inquirenti. La cosa che stupisce l’adulto (ma non chi si occupa di questi reati) è che la sera, dopo che hanno reso piena testimonianza, chiedono se possono tornare a casa. Questa è la dimensione dell’inconsapevolezza.

L’aggressione a una persona, in quanto appartenente ad una categoria, ha sempre a che fare con una dimensione di fragilità individuale

Mauro Grimoldi

Un gruppo di adolescenti può aggredire un compagno disabile o omosessuale o sovrappeso, oppure una persona senza dimora: questa tipologia di reato, in cui l’aggressione non è nei confronti della persona in quanto tale ma per la categoria che rappresenta, gli americani la definiscono no human involved. Il patto sociale con adolescenti che commettono questi reati non funziona. Si tratta di una minoranza di ragazzi, che stanno dicendo al mondo, attraverso il video che postano: «Io non so esattamente chi sono, ma non sono questo. Io voglio dichiarare la mia diversità rispetto al mio compagno disabile, alla persona senza dimora». Chi aggredisce il senza dimora nel parco sotto casa non a caso non è mai un adulto e non è nemmeno un ragazzo da solo: è un adolescente o un giovanissimo adulto in gruppo.

Perché?

L’aggressione al senza dimora ha a che fare con la stessa tipologia di motivazione del ragazzo disabile: c’è sempre un reato in cui metto fuori da me qualcosa rispetto a cui sto dichiarando la mia estraneità. Il ragazzo vive il senza dimora nel parco sotto casa come un’aggressione a quello che vuole sia il suo stile di vita, sta dicendo che quella persona non deve stare vicino al suo luogo. Per lui quella è una realtà ontologicamente percorribile, è una possibilità, potrebbe succedere a lui. Nel momento in cui “ripulisce” il parco dal senza dimora, ripulisce il suo futuro dalla possibilità che si possa verificare una circostanza di quel tipo. Il ragazzo che lo aggredisce ha paura della dimensione di povertà, di inconsistenza, di poca sicurezza che quella persona dimostra con la sua esistenza.

Mauro Grimoldi

Quindi, l’aggressione a una persona, in quanto appartenente ad una categoria, oltre all’inconsapevolezza ha sempre a che fare con una dimensione di fragilità individuale. La forma che assume questa aggressione è molto tipica, si tratta, dal punto di vista immaginario, di cancellare quell’esistenza, spesso con il fuoco, che distrugge tutto.

Lei ha detto che il decreto Caivano è stato «un’occasione persa».

Il decreto Caivano è frutto dell’esigenza, nell’immediato, di dare un “giro di vite”, di voler mostrare i muscoli. Ma in modo sbagliato. Il nostro sistema è governato dal Dpr 448/88 che regolamenta il penale minorile, costruito su una base generale che riguarda il fatto che si è data maggiore rilevanza alla possibilità di recuperare il minore autore di reato, rispetto all’esigenza punitiva. Il decreto del 1988, tra le righe, dice che, poiché si ha a che fare con un autore di reato minorenne, se si capisce la ragione che sta alla base del reato che ha commesso e si fanno le cose giuste, si ha una buona possibilità che non commetta più reati in futuro. Il numero di minori in carcere è inferiore ad uno su 100 rispetto a quelli che hanno commesso dei reati: su 100 reati commessi in Italia – sono 60mila che ogni anno commettono reati in Italia da minorenni – meno di uno finisce in carcere. Che vuol dire? Che sugli altri stiamo facendo una scommessa di altro tipo. Ma per vincerla dobbiamo avere delle risorse a disposizione, dobbiamo fare le cose giuste. Questa è la cosa più importante rispetto alla sicurezza sociale: non lo diciamo per essere buonisti.

Cosa vuole dire?

Il costo sociale di una persona che, a 14 anni, comincia a commettere reati e va avanti tutta la vita in una carriera criminale… è una cifra inaccettabile. Noi con il Dpr 448 abbiamo scommesso sul recupero. Gli psicologi che si occupano di questo (che spesso sono pagati male o malissimo) continuano a fare questo lavoro per decine di anni perché vedono ragazzi che, in un tempo brevissimo, se si capisce qual è la dinamica e si agisce in quella direzione, cambiano nel giro di un tempo molto breve: assistiamo a dei fenomeni di desistenza dall’atto criminoso molto frequenti.

Se si agisce bene, si recupera il 50% dei minori che commettono reati. Il decreto Caivano è stata un’occasione perduta perché con i ragazzi abbiamo bisogno di un’attività anzitutto diagnostica, dobbiamo sapere il perché un ragazzo ha commesso un reato

Quanto frequenti?

Se si agisce bene, si recupera circa il 50% dei minori che commettono reati. Il decreto Caivano è stata un’occasione perduta perché noi in Italia abbiamo un problema di fondo: per applicare correttamente il principio del Dpr 448 abbiamo bisogno di un’attività anzitutto diagnostica, dobbiamo essere sicuri del perché un ragazzo ha commesso un reato. Se invece andiamo fare un “giro di vite” sul piano retributivo, per esempio, prevedendo che la messa alla prova non l’applichiamo più a fronte di certi reati, per esempio gli abusi sessuali, se facciamo delle operazioni spot, noi non abbiamo compreso il senso del Dpr. Noi dovremmo andare verso un’altra direzione.


In quale direzione?

Per esempio, dicendoci che ci sono minori che agiscono reati, non nella modalità descritta prima, ma come degli adulti. Ci sono minori che programmano scientemente il reato, lo agiscono non sulla base di una fantasia di recupero maturativo, cioè di un collasso del sistema simbolico interno, ma sulla base di qualcosa di molto più simile a quello che accade negli adulti. E sono quei casi che io, per esempio, chiamo casi di “ipermaturità”, commettono reati in una dimensione di consapevolezza. È abbastanza raro, ma succede. Lì si poteva andare nella direzione del decreto Caivano, anche se pur sempre restando all’interno di un orizzonte di senso che è quello del Dpr 448. Così però rischiamo di non poter applicare delle misure che funzionerebbero nel recupero sociale di questi minori perché applichiamo qua e là, “a macchia di leopardo”, una logica completamente diversa e incoerente con il sistema.

Quali sono i minorenni che oggi finiscono in carcere?

I minori che finiscono in carcere sono quelli ai quali non si possono applicare delle misure alternative che possono permettere di recuperarli: non si applica la messa alla prova, non si può applicare il perdono giudiziale, non si possono applicare altre misure che invece sarebbero più coerenti con l’esigenza di agevolare il recupero. Oggi in carcere ci sono moltissimi minori stranieri non accompagnati, è un problema sociale enorme. Sono completamente esposti al mondo senza alcun tipo di aiuto, di protezione. Non si può scommettere sulla recuperabilità, se la scommessa è già persa in partenza. E poi ci sono autori dei reati gravi e gravissimi in cui effettivamente si ritiene che l’applicazione di un sistema non retributivo non sia opportuna. Il carcere ha un problema, è un’istituzione totale.

Il carcere è un luogo che non aiuta a smettere di commettere reati. È un posto in cui, se io ho commesso un furto e un’altra persona ha commesso un’aggressione, lei vale più di me. Non è facile sperare di uscirne senza essere criminali

Ovvero?

In carcere si vive all’interno di un luogo in cui la cultura che prevale è quella della forza o della sopraffazione. A meno che succeda qualcosa di molto particolare, un incontro con un educatore, un’esperienza, è un luogo che non aiuta a smettere di commettere reati. È un posto in cui, se io ho commesso un furto e un’altra persona ha commesso un’aggressione, lei vale più di me. Se io ho rubato una mela e un altro detenuto un’auto, lui vale più di me. Se io ho picchiato una persona e un ragazzo ne ha uccisa un’altra, lui vale più di me. Questa è la cultura carceraria. Non è facile sopravvivere psichicamente stando lì dentro e sperare di uscirne senza essere criminali.

Gli adolescenti attuali sono più fragili di quelli degli anni passati?

Abbiamo sempre avuto, più o meno, lo stesso numero di reati commessi da minorenni ogni anno. Però i reati di oggi hanno a che fare con la maggiore fragilità dell’adolescenza rispetto ad un tempo passato. Negli anni è successo che la famiglia normativa ha lasciato il posto a una inclinazione più affettiva, in cui lo scopo del genitore non è tanto quello di addestrare il piccolo essere umano alle regole della società, ma di costruire dei bambini felici. Questo fa sì che certe frustrazioni, che non possono essere evitate, si siano concentrate all’inizio dell’adolescenza. I grandi “no” della vita arrivano in adolescenza e sono soprattutto nella forma dell’incontro con la scuola della valutazione, che interviene a partire dalle scuole medie e soprattutto con le superiori. L’altra grande esperienza è il momento in cui il corpo, dopo aver attraversato la pubertà, incontra il desiderio dell’altro, che può darti un rifiuto. Un tempo, l’infanzia era contraddistinta da una maggiore abitudine alla frustrazione perché l’educazione era più rigida.

Oggi sono indispensabili gli psicologi nelle scuole. L’ascolto competente degli adolescenti è sicuramente utile, per non dire necessario

Su cosa occorre concentrarsi oggi?

Quello su cui occorre oggi concentrarsi è sapere quali sono i pregi, ma anche i limiti del nostro sistema, dove dobbiamo concentrare gli strumenti per aiutare i ragazzi ad una crescita in cui non ci sia bisogno del reato. Da qui, un’attenzione all’adolescenza che oggi è necessaria, e non lo era così tanto negli anni ’80-‘90. A differenza di allora, oggi secondo me sono indispensabili gli psicologi nelle scuole. L’ascolto competente degli adolescenti è sicuramente utile, per non dire necessario. Quest’ascolto deve essere fatto da qualcuno che non può essere il genitore, perché la madre o il padre è il soggetto dal quale l’adolescente, nella fase di separazione, di individuazione, deve prendere delle distanze dal punto di vista simbolico.

Foto di apertura di Efkan Senturk su Unsplash. Foto dell’intervistato

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