Percorsi di autonomia

Alzheimer, la libertà è una casa affacciata sul salotto

A Luserna San Giovanni, in Val Pellice, in due edifici lontanissimi dall’idea che abbiamo di ospedale o struttura residenziale, vivono persone con Alzheimer o decadimento cognitivo. Un contesto libero, in cui la flessibilità è massima, non ci sono orari e ci si prepara i pasti proprio come a casa. Un modo nuovo per affrontare la demenza che nasce da un’amicizia di lunga data con una struttura gemella in Belgio

di Daria Capitani

Sulla bacheca della portineria c’è un calendario giallo. Si legge la data esatta: giorno, numero, anno. Dalla finestra si vedono le montagne, ha nevicato da poco, e nel grande prato sotto il terrazzino stanno pascolando le pecore. Fuori dalla porta c’è una buca delle lettere con accanto un campanello. Casa è la prima parola che mi viene in mente. Eppure, oltre il cancello di ingresso, la dicitura era chiara: Rifugio Re Carlo Alberto, una struttura pensata per ospitare persone parzialmente e non autosufficienti, con Alzheimer e altre demenze nei diversi stadi della malattia.

La facciata di ingresso del Rifugio Re Carlo Alberto.

Di libertà e di cura

Per capire dove siamo serve una cartina, e anche un po’ di storia. Il paesaggio bucolico qui non è un’eccezione: la Val Pellice è una valle dolce, di verde e di vette, che guarda alla Francia e si nutre della cultura secolare del popolo valdese in luoghi simbolo di persecuzioni e resistenza. A febbraio si accendono i fuochi per la libertà, proprio come nel 1848, quando Carlo Alberto concesse i diritti civili e politici ai valdesi. Di libertà, in effetti, da queste parti si discute e ci si interroga anche dove non te lo aspetti, per esempio in una rsa.

Marcello Galetti, responsabile del servizio Innovazione Sviluppo dell’area Servizi Salute della Diaconia Valdese.

«C’è un confine sottilissimo tra libertà e sicurezza, controllo e cura, protezione e autonomia». È una riflessione a cui Marcello Galetti ritorna spesso, ripercorrendo le tappe che hanno portato a realizzare in questa struttura due nuclei abitativi quasi unici in Italia in cui l’ospite con decadimento cognitivo è detentore del proprio tempo. Ex direttore del Rifugio, è il responsabile del servizio Innovazione Sviluppo dell’area Servizi Salute della Diaconia Valdese: «Tutto è iniziato ormai più di dieci anni fa. Nel 2014 abbiamo intercettato l’Efid, un fondo costituito da un gruppo di fondazioni europee con l’obiettivo di premiare progetti virtuosi per la demenza. Dal 2000 era attivo un centro diurno per l’Alzheimer, ci siamo candidati e abbiamo ricevuto un primo riconoscimento».

Belgio chiama Italia (e viceversa)

È il primo ingresso nella rete, continua Galetti: «Un patrimonio collettivo (è arrivata a contare 35 realtà da 14 Paesi europei) che da sempre promuove la creazione di società inclusive per le persone con e senza demenza, e si batte affinché la loro esperienza di vita vissuta sia valorizzata a beneficio di tutta la comunità. Negli anni, abbiamo stretto un’amicizia con le strutture più simili a noi, due rsa pubbliche della amministrazione di Kortryk, una città belga di 75mila abitanti, nella provincia delle Fiandre occidentali». È nato uno scambio di pensieri e buone pratiche, incontri e racconti.

Federica Dotta, direttrice del Rifugio Re Carlo Alberto.

«Ci siamo stati in vacanza con i nostri ospiti, rompendo tutti gli schemi dei protocolli tradizionali e scoprendo che fuori dalle strutture l’approccio del paziente cambia, e a volte anche la malattia sorprende», racconta Federica Dotta, l’attuale direttrice del Rifugio Re Carlo Alberto, all’epoca responsabile infermieristica. «Il direttore Jan Goddaer era qui ieri al nostro Caffè Alzheimer: ci confrontiamo spesso, ma i suoi consigli sono stati fondamentali soprattutto quando, nel 2016, la Diaconia Valdese ha destinato al Rifugio un contributo straordinario dell’8 per mille».

Il nome di un condottiero

Galetti la definisce ancora oggi «un’occasione pazzesca, di cui da subito siamo stati consapevoli. Ci rivolgemmo alla direzione centrale, dicendo: se vi fidate di noi, qui possiamo fare davvero qualcosa di rivoluzionario. Andammo in Olanda e a Treviso, all’Istituto per servizi di ricovero e assistenza agli anziani, insieme all’architetto incaricato di progettare la nuova struttura, per prendere ispirazione e realizzare un edificio che mettesse al centro il paziente e la sua autonomia proprio come l’avevamo visto fare in Belgio». Progettazione partecipata, riunioni con gli operatori che nel nucleo lavorano ogni giorno: «Abbiamo ragionato per anni su come farlo funzionare».

Una giornata al nucleo Janavel.

Il risultato è la comunità Janavel. Inaugurata nel 2021, ha preso il nome dal condottiero che a fine Seicento preparò le istruzioni per il Glorioso rimpatrio dei valdesi: «Ci riconoscevamo in questa idea di andare controcorrente», ricorda Galetti. In effetti, a vederla oggi, nel giorno in cui si inaugura una seconda struttura gemella, Il Ciabot, grazie all’8 per mille valdese e alla donazione di un privato, questo agglomerato di piccole “case” che si affacciano su un grande salone centrale è un’immagine lontana dall’idea che abbiamo di ospedale o residenza per anziani.

In un contesto libero, per rallentare il decadimento cognitivo e ridurre al minimo le limitazioni, vivono 12 persone seguite da quattro operatori e infermieri a rotazione (altre sei entreranno presto al Ciabot). «La flessibilità è massima, assenza di orari e gestione autonoma della ristorazione, che significa che ci si prepara i pasti proprio come a casa: l’impostazione è basata sul funzionamento normale della vita, perché l’essere attivi si esprime nelle faccende domestiche, lavare i piatti e i vestiti, riporli negli armadi». C’è chi si occupa dell’orto e chi delle galline, con destrezza e senza aiuto, e ogni lunedì il gruppo ritira la spesa alla mensa del Rifugio: «Ho visto persone che cognitivamente hanno perso tanto, magari non riconoscono i propri figli, ma impastano per servire in tavola le tagliatelle fatte in casa», racconta Dotta.

Al lavoro, insieme, in cucina.

Lo stesso vale per la relazione con operatori e infermieri: «Nessuno indossa divise, i bambini sono ben accolti per un’interazione intergenerazionale in cui crediamo profondamente, e la giornata è una reale condivisione. Dalla doccia allo stretching per il mal di schiena alla gita con pic nic al parco».

Sottosopra

96 persone vivono al Rifugio Re Carlo Alberto: hanno tutte una diagnosi di decadimento cognitivo lieve, medio, grave o gravissimo. «In base al livello di deterioramento, alla personalità e alle abitudini di ognuno, decidiamo dove accoglierle: non per tutte un nucleo è la soluzione migliore».

Il nuovo nucleo Il Ciabot aspetta i suoi inquilini.

Mentre la cucina del Ciabot aspetta di riempirsi di profumi e ricette, a pochi metri di distanza, al Janavel, quattro donne giocano a carte e un signore sta guardando un film. La figlia di una operatrice socio sanitaria apre le porte per farci entrare nel salotto: ha confidenza con gli anziani, ci salutano. C’è una piccola libreria al centro della stanza: una decina di faldoni con su scritto nomi di Paesi lontani stanno accanto a romanzi e libri di montagna. Una delle inquiline di questa casa ha viaggiato molto: India, Nepal, Etiopia. Qualcuno ha appeso un disegno accanto all’orologio: è diviso a metà, sopra c’è un arcobaleno verde, sotto un giardino azzurro come il cielo. Se lo giri al contrario, s’invertono le posizioni ma il senso dell’immagine non cambia.

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Le fotografie sono della Diaconia Valdese o dell’autrice dell’articolo

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