Economia

Caso Trentino. Una ricerca svela che sette occupati su 10 non cambierebbero.

L’università di Trento ha indagato il settore cooperativo del Centro Nord. Scoprendo il “paradiso” dei lavoratori: quasi 9 su 10 sono lì per scelta, il 70% è felice.

di Francesco Agresti

Preferiscono le dimensioni ridotte, stanno cercando di affrancarsi dalla pubblica amministrazione, hanno una forza lavoro con un elevato livello di scolarizzazione e fanno sempre più ricorso a contratti di lavoro a tempo indeterminato. Queste, in sintesi, le caratteristiche delle imprese sociali del Centro Nord secondo quanto emerso dalla recente ricerca condotta da Issan, per conto di Isfol. Lo studio del centro di ricerca trentino, diretto da Carlo Borzaga, ha preso in esame 300 imprese sociali attive in sette regioni del Centro Nord: Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Liguria, Emilia Romagna e Toscana. il 48% del campione era costruito da coop sociali, il 39% da associazioni sia riconosciute che non, il 5 da fondazioni, il resto da altre forme organizzative. Tutte le organizzazioni avevano in comune la presenza di almeno 3 dipendenti, lo svolgimento di un?attività di produzione e vendita di servizi e la costituzione avvenuta dopo il 1995. La ricerca ha indagato in particolare due aspetti: il primo relativo alle organizzazioni, il secondo al personale in esse impegnato. Attenti alla formazione Le imprese sociali, a differenza delle organizzazioni non profit tradizionali orientate prevalentemente verso i servizi assistenziali, hanno ampliato il loro ambito di intervento, rivolgendo sempre più spesso l?attenzione alla formazione professionale e l?inserimento lavorativo, alla cultura, l?ambiente e i servizi di consulenza e promozione sociale. Svolgono inoltre contemporaneamente più attività, pur limitando territorialmente la loro azione. Il 43% non va oltre la provincia di residenza, l?11% opera in tutta la regione e il 21 a livello nazionale o internazionale. La maggioranza del campione ha un fatturato inferiore ai 260 mila euro, anche se il 24 % supera la soglia dei 500mila euro. I servizi erogati sono generalmente rivolti a famiglie, minori e adolescenti, disabili e le persone che vivono in condizioni di marginalità. Uniti dagli stessi ideali «Quello che emerge da questa ricerca», spiega Carlo Borzaga, «è che le imprese sociali stanno ampliando il loro ambito di intervento diventando sempre più ?customer oriented?: il 68%, infatti, svolge regolarmente attività di monitoraggio sulla soddisfazione degli utenti e sta cercando di sperimentare un?operatività in ambiti finora esclusi dal raggio di azione del non profit». Ma chi sono gli imprenditori sociali e soprattutto perché hanno deciso di intraprendere questa attività? Le imprese studiate sono quasi esclusivamente di origine privata: un terzo di esse è nato per iniziativa di un gruppo di cittadini, soprattutto per realizzare un progetto a favore di soggetti diversi dai promotori; un altro terzo è stato fondato da un singolo che ha riunito altre persone con gli stessi ideali; il 24% era un?organizzazione già attiva, mentre solo un?impresa sociale su 100 è sorta su sollecitazione di un ente pubblico. I dati sulla compagine sociale, al termine del primo anno di attività, sono piuttosto eterogenei: nelle coop di tipo A il 41% dei soci è composto da lavoratori, il 37% da volontari e il 14 da sovventori; in quelle di tipo B i lavoratori sono il 36% dei soci, i volontari il 7 e i sovventori il 35; nelle fondazioni prevalgono i volontari e i generici sovventori, nelle associazioni riconosciute, invece, l?81% è composto da utenti e famigliari mentre in quelle non riconosciute ci sono soprattutto volontari. «La forza lavoro impiegata nelle imprese sociali è prevalentemente concentrata nelle coop sociali di tipo A (48%), ed è giovane e donna: le donne rappresentano il 65% del totale, l?età media è compresa tra i 30 e i 39 anni, il 46% ha un diploma di scuola media superiore, il 27 un titolo universitario e tra questi il 66 svolge un?attività coerente con gli studi fatti. La retribuzione media netta di un lavoratore part time è di 672 euro, quella di un full time 1.040 euro. Tra le forme contrattuali più diffuse prevale il contratto a tempo indeterminato; elevato, soprattutto per le donne, il ricorso al part time (quattro su dieci se ne avvalgono), molto diffusa anche la flessibilità degli orari di lavoro (54%). Il 75% degli occupati ha già avuto esperienze lavorative, l?85% ha abbandonato la precedente occupazione per scelta personale. Il 75% dei lavoratori delle imprese sociali proviene da un ambito diverso da quello del non profit: il 34% da imprese for profit, il 23 da enti pubblici e un altro 23% da cooperative non sociali. Donne tra lavoro e famiglia «Le imprese sociali», commenta Borzaga, «attirano le risorse umane che attribuiscono minore importanza agli incentivi monetari o alla possibilità di accedere a ruoli dirigenziali, mentre ritengono essenziali, e connaturati alla soddisfazione, altri elementi legati a dimensioni qualitative». L?attuale posizione lavorativa si rivela migliore della precedente per la maggioranza dei lavoratori, mentre cresce anche il numero di coloro che lavorando nel non profit hanno migliorato anche lo stipendio (54,6%). «Gli incentivi offerti dalle imprese sociali», conclude Borzaga, «sono ottimi: i lavoratori hanno migliorato quasi nel 70% dei casi sia i rapporti con superiori e colleghi, che la propria soddisfazione morale per quanto realizzato sul lavoro. Un giudizio positivo, inoltre, riceve la flessibilità, di cui soprattutto le donne sono soddisfatte, perché riescono a conciliare professione e famiglia. Per tutti, in generale, i livelli di soddisfazione sono elevati quanto a rapporti umani, compatibilità con altri impegni, riconoscimenti, coerenza con la propria formazione, crescita formativa e professionale». E non è certo cosa da poco.


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