Cultura

Il servaggio feudale sopravvive nel terzo millennio

Rapporto dell'Ilo: in aumento nel mondo i lavori forzati e il commercio di uomini sulle piazze del sesso

di Redazione

Lavori forzati e compravendita di uomini, donne e bambini sul mercato del sesso e dei lavori domestici: i numeri sono da capogiro e sempre in aumento. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) dell’Onu diffuso oggi a Ginevra. Insomma, in barba alle leggi nazionali e agli accordi internazionali contro il servaggio feudale, la barbarie resiste e aumenta in tutto il globo. “Il quadro che emerge – ha commentato il direttore generale dell’Ilo, Juan Somavia -, fatto di schiavitù, oppressione e sfruttamento dei membri più vulnerabili della società non fa parte del passato”. Le rotte del traffico di persone, si legge nelle 128 pagine del rapporto, sono complesse e variegate: così Paesi diversi come l’Albania, l’Ungheria, la Nigeria o la Thailandia possono essere allo stesso tempo luoghi di partenza, di transito o di arrivo, come lo è gran parte dei Paesi del mondo. I principali punti di approdo sono le capitali dei Paesi più ricchi – Amsterdam, Bruxelles, Londra, New York, Roma, Sydney o Tokyo – ma anche le grandi città dei Paesi in via di sviluppo. La schiavitù continua a essere praticata in Paesi devastati da gravi conflitti interni, come Liberia, Mauritania, Sierra Leone o Sudan, dove il fenomeno più preoccupante è il reclutamento di bambini per la guerra. Il lavoro forzato invece si presenta in altre forme in molte zone rurali, dove coloro che vengono impiegati nella piantagioni o nel servizio domestico soffrono condizioni simili alla schiavitù e alla servitù. Particolarmente colpite le popolazioni indigene, come i pigmei o i bantù in Africa, o gli enxet in Paraguay. L’Asia è ugualmente coinvolta in questo fenomeno, nelle forme più gravi in Birmania, ma anche in altri Stati come India, Nepal o Pakistan. Un fenomeno – analizza il rapporto Onu – dovuto a povertà,disoccupazione, conflitti interni, repressione politica e discriminazioni razziali.


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