Famiglia
Papà, grazie per le castagne
La più grande lezione me lha data raccontandomi un episodio che custodiva una lezione di vita.
Non sono certo i figli, i più adatti a parlare dei propri padri. Questo lo so bene. Troppo intimo il rapporto – privato, appunto. Troppo segnato da quel viluppo di affetti, conflitti, responsabilità, legami ?biologici? e ?emotivi? che sprofondano nel cuore della famiglia come ?mondo a parte?. Diviso l?uno – il padre – tra affetto e autorità; combattuto l?altro – il figlio – tra dedizione e ribellione, senso dell?appartenenza e bisogno di emancipazione. Come ha scritto Alessandro Galante Garrone in quello splendido libro intitolato, appunto, Padri e figli (Meynier, 1986), dedicato in buona parte al rapporto tra Piero Calamandrei e il figlio Franco, «tra padri e figli, è un rapporto complesso: talora di aspra rivolta, talaltra di fedele continuità. Un filo si spezza, ma poi qualche volta si riannoda; oppure si prolunga ma assottigliandosi o aggrovigliandosi». Per questo i padri sono spesso più ?veri? se raccontati dagli altri, apparentemente meno prossimi e meno coinvolti in quel rapporto ?indicibile? con le parole della comunicazione pubblica.
Non parlerò dunque di mio padre. E del nostro rapporto (sempre forte). Ne uscirebbe un quadro troppo parziale. Lo vorrei ricordare piuttosto con un episodio, uno dei tanti, che forse lascia trapelare qualcosa di lui. E di noi. Avevo una decina d?anni. Facevo, credo, l?ultimo anno delle elementari. E a scuola, probabilmente nel decimo anniversario della Liberazione, ci fu richiesto di fare un tema sulla Resistenza. Non un tema qualsiasi: uno scritto destinato a una valutazione speciale, con una settimana di tempo. Per me era una piccola tragedia. Sentivo una particolare responsabilità, come fossi chiamato a una sorta di prova del fuoco: avevo in casa un pezzo di quella storia. La sentivo quasi tutti i giorni. Potrei dire che mi pesava un po’ addosso, con un padre così grande, così ?impegnativo? e visibile, che quegli eventi li aveva vissuti e ?prodotti?. Sapevo che non potevo fallire. E mi avvitavo nella dimensione epica. Nella ricerca di parole all?altezza dei fatti, di fatti all?altezza delle aspettative. Come rappresentare adeguatamente la ?grandezza? di ciò di cui mi sentivo, in qualche modo, come un ?rappresentante? obbligato? Poi decisi di chieder consiglio a mio padre. E lui mi raccontò un episodio.
Parlava di un rastrellamento. Nell?estate del 1944. Un rastrellamento duro, fatto come al solito dai tedeschi e appoggiato dai fascisti a fare i lavori sporchi, a bruciare le case, minacciare, intimidire, talvolta impiccare. Avevano combattuto duramente, camminato per ore e ore sulle montagne aspre dell?alta Valle Stura. Erano stanchi, affamati, provati, accampati per una breve pausa ai margini di un bosco, quando comparve, uscendo da una baita poverissima, di pietre e paglia, una vecchina, curva, fragile, vestita di nero. Aveva in mano un piatto di castagne lessate – per molti montanari il principale alimento di un?alimentazione poverissima -, e una tazza di latte. L?offriva loro per ristorarsi. Mi disse, mio padre, che fu allora che capì che avrebbero vinto. E che era quel tipo di solidarietà, da parte di persone come quella vecchia montanara, più che non le armi, o la capacità tattica, o la stessa organizzazione militare, la chiave della lotta partigiana. Mi è rimasto impresso, quell?episodio, perché dentro c?era un po? tutta la filosofia di mio padre: l?odio per la retorica, per i miti d?invincibilità e di potenza, per l?arroganza dei ?signori della guerra?. E l?attenzione, spinta fino al senso di un debito contratto e inestinguibile, per la popolazione contadina del Cuneese. In particolare della campagna e della montagna povere, cui poi dedicherà Il mondo dei vinti e L?anello forte. Non ricordo più come fu valutato il mio tema. Ma quel discorso di mio padre – che la Resistenza era un pugno di castagne e una tazza di latte – non l?ho più dimenticato. E, devo confessarlo, me ne rende dolce il ricordo.
Nelle foto in alto, Marco (a sinistra) e Nuto Revelli
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