Volontariato

Artoni, Citigroup, Enel… A furor di etica

La “business ethics” attira sempre di più. E fa breccia anche in Italia. Dove il colosso energetico ha conquistato la fiducia della finanza responsabile.

di Francesco Maggio

L?etica nella finanza vola, l?etica è la nuova parola d?ordine dell?economia. Mai come in questo frangente si parla di etica e affari e gli affari sembra risultino possibili solo se ?subordinati? all?etica. O si è etici o picche: non si vince sui mercati, non si diventa competitivi, non si attirano capitali. Insomma, si resta al palo. Quando va bene. Si va dritti dritti in galera quando si esagera, come dimostra il caso Parmalat approdato nelle aule giudiziarie. L?etica va a convegno Ormai non c?è convegno che non affronti il tema. Prendiamo, per esempio, quello recente dei giovani imprenditori a Capri: «L?etica della trasparenza» ha detto in apertura la grintosa presidente Anna Maria Artoni, «deve diventare il faro di strategie e comportamenti della politica, delle amministrazioni, delle imprese. Non è solo un imperativo morale. è l?unica strada possibile per garantire un futuro all?Italia. è da qui che dobbiamo ripartire». O il convegno internazionale della Federazione internazionale dei direttori finanziari, svoltosi nei giorni scorsi a Firenze (al quale hanno partecipato, tra gli altri, Luca Cordero di Montezemolo e il Nobel per l?economia, Robert Mundell), dove le relazioni sui temi dell?etica e dell?indipendenza, con un intervento seguitissimo di padre <>, sociologo dell?Università gregoriana, sono stati centrali. Oppure, prendiamo un gigante del sistema finanziario, anzi la più grande concentrazione finanziaria al mondo con quasi 300mila dipendenti sparsi in 104 Paesi e una capitalizzazione di Borsa nel 2003 pari a 250 miliardi di dollari: Citigroup. Scottato dai troppi scandali (da Enron a Worldcom, a Parmalat, per citare i più famosi) per i quali dovrà sborsare una montagna di soldi a titolo di risarcimento, il numero uno di Citigroup, Charles Prince ha realizzato che, evidentemente, così non si poteva andare più avanti, che i suoi dirigenti devono cambiare musica, diventare meno ?spregiudicati?, altrimenti la baracca a lungo non può reggere. E ha quindi deciso di rimandarne ben 30mila a scuola. Sì, ma di business ethics. Enel superstar Che dire poi di Enel che in questi giorni colloca sul mercato la sua terza tranche, che ha tra i possessori di quasi il 10% del capitale ben 41 fondi etici e che a settembre è entrata a far parte del benchmark etico Dow Jones sustainability index? «La strada maestra per recuperare la fiducia», ha sottolineato il presidente Piero Gnudi, «è aumentare la trasparenza nella gestione, migliorare la corporate governance, recuperare valori etici, rendere efficace il sistema dei controlli». Gli fa eco il consigliere di amministrazione Mauro Miccio, che dichiara: «Il rapporto di un?azienda con i suoi stakeholders, soprattutto se quotata, non può che ispirarsi a valori etici. E ciò vale ancor di più per un?azienda come l?Enel che con i suoi 2milioni e 321mila azionisti è di gran lunga l?azienda con il capitale più parcellizzato, seguita a molte lunghezze da Telecom Italia che ne ha 800mila. Da anni», aggiunge Miccio, «si è scoperto che tra gli asset intangibili di un?azienda c?è la reputazione. Oggi la reputazione assume ancora più importanza alla luce dei noti scandali finanziari, per cui l?etica diventa un fattore strategico nel valutare le opportunità di un investimento. E la circostanza che il nostro gruppo sia partecipato da oltre 40 fondi socialmente responsabili non può che renderci molto orgogliosi». L?etica dunque va. Se ne parla sempre più spesso, ma altrettanto frequentemente assume una connotazione molto concreta e specifica. Una crescita clamorosa Come quella dei fondi etici che hanno eletto l?Italia patria d?elezione. Con 2,2 miliardi di euro di asset gestiti, il Belpaese è ormai secondo solo al Regno Unito. Ma se ci fosse un secondo pilastro previdenziale sufficientemente sviluppato, probabilmente lo insedierebbe molto più da vicino perché una crescita del socially responsible investing made in Italy di più del 100% in un anno non può che considerarsi clamorosa. «Sull?aggettivo sarei più cauto», esordisce Donato Masciandaro, docente di finanza all?università Bocconi e di Lecce e probiviro della Borsa italiana, «nel senso che l?aggettivo è corretto ma sono prudente sull?orizzonte temporale perché questi sono stati anni di forte oscillazione sui mercati. Io registrerei, invece, due fenomeni molto positivi: una maggiore presa di coscienza da parte dei gestori del fatto che non esiste l?investimento ?migliore? ma l?investimento più adatto e la maggiore consapevolezza del risparmiatore che nell?allocazione del proprio risparmio non tutto si gioca in termini di rendimento netto». «Detto questo», aggiunge il professore, «mi preme aggiungere che non credo che la strada per far crescere il mercato dei fondi etici sia quella di convincere tutti che i fondi etici sono i migliori. È invece importante veicolare il messaggio che esistono degli strumenti finanziari che sanno soddisfare al meglio le esigenze di ogni tipo di risparmiatore». E come giudica l?assenza di titoli italiani tra i primi venti preferiti dai fondi etici? «Non ne traggo conclusioni particolari», risponde Masciandaro, «robuste analisi economiche mostrano come, a parità di condizioni, la composizione dei portafogli non è neutrale alla nazionalità dei titoli e, poiché gran parte dei portafogli internazionali non sono gestiti da investitori italiani, non mi meraviglio di certe assenze». Rimane tuttavia aperta una questione cruciale, dal cui esito dipende in modo non secondario il futuro degli investimenti socialmente responsabili, l?approvazione del disegno di legge sul risparmio che da mesi langue in Parlamento. Regole, sistema perfettibile «Sono appena tornato dagli Stati Uniti», sottolinea Masciandaro, «e lì il dibattito economico ruota attorno agli effetti che sta producendo la Sarbanes-Oxley (la legge bipartisan sulla trasparenza varata dopo i noti scandali finanziari, ndr). C?è chi continua ad esserne uno strenuo difensore e chi la critica apertamente. Dico questo perché la lezione di questi mesi è che i mercati che si modificano chiedono leggi che si modifichino. Negli Usa subito dopo gli scandali sono state cambiate le regole, ma ogni sistema di regole è perfettibile e oggi si discute di come migliorarle. In Italia ci troviamo in una palude impressionante che impedisce ogni previsione sui tempi di approvazione del disegno di legge sul risparmio». Insomma, la solita solfa: l?etica vola, l?etica è la nuova parola d?ordine dell?economia, ma chi dovrebbe, almeno in parte, provare a ?codificarla?, visti i benefici effetti che apporta ai mercati, sembra non accorgersene?


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