Non profit

Fund raising: Università, a scuola di risorse.

In America è una consuetudine. In Italia gli atenei iniziano ora ad attrezzarsi. Bologna è la prima: ma dalla raccolta fondi dipenderà il futuro di tutti.

di Redazione

Le università italiane ?a scuola? di fund raising. I rappresentanti di un terzo degli atenei italiani hanno partecipato a due giorni di studio con cui The Fund Raising School ha aperto nel nostro Paese un nuovo percorso di specializzazione della raccolta fondi. Per il fund raising universitario il riferimento obbligato è quello delle università americane: queste, in tutto 4mila, lo praticano comunemente, attraverso aree dedicate, associazioni di ex studenti e fondazioni. Negli Stati Uniti i privati destinano all?università il 16,5% delle loro donazioni, 35 miliardi di dollari nel 2001. Questi contributi costituiscono l?8% delle entrate delle università pubbliche e ben il 14% di quelle private. Indicare come modello un sistema non solo profondamente diverso dal nostro, ma al suo interno altamente differenziato, richiede una certa attenzione. L?analisi del funzionamento del sistema Usa consente però considerazioni più complessive da cui trarre elementi di riflessione. La prima è che esistono meccanismi di finanziamento che, incidendo in maniera significativa sia sulla domanda che sullo sviluppo della ricerca, danno atto di una diffusa consapevolezza dell?importanza di investire in questi ambiti: la spesa per l?istruzione universitaria (pubblica e privata, inclusi i contributi alle famiglie) è pari al 2,3% del Pil, una quota superiore alla maggior parte degli altri Paesi (media Ocse 1,3%, Italia 0,9). Gli aiuti agli studenti, concessi in relazione alle condizioni economiche, sono proprio uno degli scopi a cui sono destinate le risorse raccolte, insieme alla ricerca, al finanziamento delle cattedre, al miglioramento delle strutture e dei servizi. Per citare alcuni esempi, Harvard nel 2002 ha ottenuto entrate pari a 2,4 miliardi di dollari, dei quali 477 milioni attraverso contributi di alunni e ?friends?; il Mit, su oltre 1 miliardo e mezzo di dollari, ha ottenuto 275,9 milioni di entrate sotto diverse forme di contributi privati e donazioni. Attraverso l??annual report? ogni istituto dimostra come ha utilizzato i contribuiti, stanziando risorse a sostegno degli studenti (nel caso di Harvard 298,4 milioni di dollari, nel caso del Mit 275,9 milioni di dollari), o traducendo i finanziamenti per la ricerca in entrate, spesso elevatissime, attraverso la vendita di brevetti, e relazioni con il sistema imprenditoriale. E l?Italia? Limitando l?analisi agli strumenti di fund raising, siamo solo agli inizi: secondo quanto rilevato dallo studio condotto da Goodwill e Fondazione Alma Mater per l?elaborazione di una strategia di fund raising per l?università di Bologna, nel 2003 su 77 istituti universitari solo cinque avevano creato un ufficio marketing, mentre erano nate 11 associazioni di ex alunni e 10 fondazioni universitarie. Il confronto di Bertinoro ha però messo in evidenza che la situazione, nell?arco di un solo anno, si è già modificata e che il fund raising è oggetto di molta attenzione, in un momento in cui gli atenei lanciano grida di allarme in merito ai loro bilanci. È una sfida significativa, che va ben oltre la sostenibilità del funzionamento dei singoli istituti, perché questa riguarda un percorso per sviluppare concrete strategie di coinvolgimento della società civile, del mondo imprenditoriale ed economico nel futuro dell?università, in nome di comuni e irrinunciabili prospettive di crescita, se è vero che l?innovazione e la capacità di attrarre talenti sono oggi i fattori alla base non solo dello sviluppo economico, ma della qualità della vita di un determinato contesto.

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