Mondo

Riuscirà la Somalia a diventare uno Stato?

Da 13 anni il Paese vive nel caos, diviso tra 24 diversi signori della guerra. Intervista a Mario Raffaelli.

di Emanuela Citterio

Il governo della Somalia esiste, ma è stato, per così dire, creato in vitro, nella capitale del Kenya, sotto l?ala della comunità internazionale. La notizia, il 1° dicembre, del varo del governo federale di unità nazionale somalo era arrivata quasi inaspettata, dopo 13 anni di caos istituzionale e decine di colloqui di pace – 14 negli ultimi due anni, sempre a Nairobi -. Il governo dovrebbe sbarcare a Mogadiscio entro la fine di gennaio, e i suoi equilibri sono il risultato di un lavoro di precisione della diplomazia internazionale. Su 31 ministri, 12 sono rappresentanti della società civile, messi a capo di alcuni dicasteri chiave – Esteri, Difesa, Finanze, Cooperazione – a compensare un?ampia presenza nel governo dei principali signori della guerra. Due le donne, una a capo del ministero per lo Sviluppo femminile, l?altra vice ministro. Un equilibrio, quello creato a Nairobi, che ha mostrato la prima fragilità dopo pochi giorni: il primo ministro, Mohammed Ali Gedi, uno dei rappresentanti della società civile, è ?decaduto? dalla sua carica l?11 dicembre, per mozione di sfiducia da parte del neo parlamento somalo. In gioco, nei prossimi mesi, c?è la ricostruzione di un Paese che dal 91 non è più uno Stato, il cui territorio è frammentato e controllato da almeno 24 principali signori della guerra, con il Putland (la parte nord della Somalia italiana) e il Somaliland (l?ex Somalia britannica) autoproclamatisi indipendenti, con il secondo che non era presente alle trattative di Nairobi. L?Italia è fra i Paesi europei che più ha seguito i colloqui di pace di Nairobi. Soprattutto attraverso il rappresentante speciale per la Somalia, Mario Raffaelli, che raggiungiamo a Nairobi fra un colloquio diplomatico e l?altro. Vita: Onorevole, come farà il governo creato a Nairobi a insediarsi in Somalia? Mario Raffaelli: Il primo passo sarà l?invio di missioni di ministri e rappresentanti dei vari clan, per parlare con la popolazione e preparare così un piano di dislocazione del nuovo governo. Sarà presto approvata una struttura internazionale, il Ccm – Comitato di coordinamento e monitoraggio congiunto, che avrà il compito di verificare che gli impegni presi in questa conferenza di pace vengano mantenuti. Vita: Da chi sarà composto il comitato di monitoraggio? Raffaelli: Fisicamente da 15 persone, cinque rappresentanti istituzionali somali e 10 internazionali. Sarà presieduto dalle Nazioni Unite e vi parteciperanno l?Unione africana, la Lega Araba e l?Igad, più alcuni Paesi donatori particolarmente coinvolti, sicuramente l?Italia e la Svezia e Paesi membri del consiglio permanente di sicurezza dell?Onu. Vita: Dopo 13 anni di anarchia, ci sono reali possibilità di cambiamento per il Paese? Raffaelli: Per la prima volta nel governo sono rappresentati tutti i principali war-lords, ma non nei ministeri chiave, e questa è una garanzia del passaggio verso la pacificazione e il disarmo. Vita: Non le sembra una contraddizione? A denunciarlo sono anche le organizzazioni della società civile somala: che garanzie da un governo a cui partecipano signori della guerra responsabili di pesanti violazioni dei diritti umani? Raffaelli: Senza di loro non c?era alternativa. Essendo esclusa la via militare, si è dovuta costruire una soluzione con chi realmente controlla il territorio. In questo quadro il massimo che si poteva ottenere era un minimo di cornice di legalità per ricostruire lo Stato. Da una parte puntando sulle forze anti war-lords, che esistono, e cercando di compensare con un?ampia rappresentanza della società civile. Dall?altra vincolando il supporto politico ed economico alla dichiarazione di principi che il governo somalo si è impegnato a rispettare. Vita: Il meccanismo appare piuttosto complesso? Raffaelli: Si basa, in realtà, su tre capisaldi. In primo luogo la dichiarazione sugli impegni che il governo somalo ha assunto per i prossimi cinque anni di transizione: stabilizzazione della politica interna con la creazione di uno Stato federale, rispetto dei diritti umani, sostegno alle organizzazioni della società civile. Come contropartita c?è la disponibilità da parte della comunità internazionale a mettere in campo rapidamente un programma di assistenza concentrato sulla sicurezza, il rafforzamento delle istituzioni, il supporto al disarmo. L?elemento chiave sarà il Comitato congiunto di monitoraggio, che vincolerà gli aiuti al rispetto degli impegni. La conferenza dei donatori guidata da Italia e Svezia sarà convocata solo sei mesi dopo che il governo sarà effettivamente operativo in Somalia. Vita: Chi gestirà gli aiuti? Raffaelli: Posso anticipare la proposta, che è quella di creare un comitato tecnico per la gestione diretta dei fondi, che dipenderà in ogni caso dal Comitato di monitoraggio. A questo sottocomitato parteciperanno l?Undp (l?organismo per lo sviluppo delle Nazioni Unite, ndr), la Banca mondiale, oltre alle organizzazioni non governative e della società civile. Vita: Il neo presidente della Somalia, Abdullahi Yussuf ha chiesto 15-20mila uomini per il mantenimento della pace in Somalia. Chi si occuperà dell?aspetto militare? Raffaelli: Le forze esterne saranno al massimo 4mila. E a occuparsi del disarmo in Somalia sarà l?Unione africana. In un seminario finanziato dall?Italia, che si è svolto all?inizio di novembre ad Addis Abeba, si è cominciato a discutere dell?aspetto della sicurezza. L?Ua presiederà il programma di disarmo, smobilitazione e reintegro. Si tratta di dare un?alternativa a una società intera, visto che due terzi della popolazione somala è armata. Non si tratta solo dei clan, ma anche di gruppi di uomini di affari, che in questi anni si sono dotati di guardie per tutelarsi, e di cittadini comuni che, in una situazione di perenne instabilità, si sono abituati a girare con un arma.


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