Welfare

Carcere, porte aperte al mentore

Isfol e ministero del Welfare hanno avviato un progetto di supporto ai detenuti fondato sul mentoring

di Redazione

Oltre 35.200 detenuti condannati in via definitiva, circa 17.000 carcerati tossicodipendenti, alcooldipendenti o in trattamento metadonico, 37.685 persone interessate da misure di pena alternative (affidamento in prova, semiliberta’, detenzione domiciliare) e 2.500 sottoposte a misure di sicurezza (liberta’ vigilata e sanzioni sostitutive) oltreche’ detenuti stranieri e donne e mamme che hanno bisogno di un sostegno al reinserimento familiare: possono essere tutti questi i potenziali utenti di un percorso di mentoring in carcere. Di questo particolare servizio sociale si e’ parlato in un convegno organizzato dall’Isfol che assieme al ministero del Welfare ha avviato un progetto in materia di mentoring nell’ambito di interventi promossi e finanziati dal Fondo sociale europeo. Ma cosa e’ il mentoring? Con questo termine in via generale si intende quel processo in cui l’individuo piu’ anziano, o piu’ esperto, si rende disponibile a uno piu’ giovane, o meno esperto, come fonte di apprendimento o sostegno. La sfera d’azione e’ molto ampia andando dall’aiuto ai bambini all’accompagnammento degli studenti universitari a rischio di dispersione fino ad arrivare appunto al recupero dei detenuti. Chi sceglie di dare una mano al prossimo in questo modo e’ volontario e lavora pressoche’ gratuitamente, salvo un rimborso spese o crediti formativi nel caso si tratti di studenti universitari. Nel caso il mentore sia inserito in un’azienda rimane la volontarieta’ ma e’ prevista una retribuzione. Non esistono comunque ‘professionisti’ di mentoring visto il carattere fortemente umano su cui si basa questa attivita’: per imparare a svolgere bene il compito vale soprattutto l’affiancamento e l’esperienza sul campo. Attenzione pero’ -avvertono all’Isfol – a non fare confusione: il mentore e’ una guida, un amico, una persona che sa ascoltare, un esperto che sa rispondere, un punto di riferimento ma non va mai scambiato per un salvatore, un genitore adottivo, un terapista o un coach. Il ruolo che puo’ svolgere in carcere e’ soprattutto finalizzato a favorire il recupero e il reinserimento sociale dei detenuti (accompagnandoli, per esempio, e seguendoli nei primi giorni di lavoro), ma non solo. ”Ho conosciuto Ugo – racconta Maria, mentore in un penitenziario – in carcere. Deve scontare l’ergastolo, ma usufruisce del beneficio della semiliberta’ e quindi, ha opportunita’ di lavoro offerte da una rete di volontariato. Il rapporto di fiducia che ha con me continua anche all’esterno: Ugo ha una figlia, che ha sofferto molto per la sua assenza, e ha bisogno di aiuto per ricostruire un positivo rapporto genitoriale. Parliamo molto, ho conosciuto la figlia e poiche’ anch’io ho dei figli coetanei di questa ragazza, condividiamo situazioni, racconti di vita quotidiana. Ugo e’ molto coinvolto e pensa di poter imparare da un rapporto genitoriale vissuto in serenita’, a fare il padre, a indirizzare nel modo giusto la figlia nelle sue scelte di studio e di vita. Chiede consigli, aumenta la sua fiducia e si fa strada in lui anche il desiderio di riabilitarsi riconciliandosi con le vittime dei suoi reati”.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA