Volontariato

I colossi del farmaco rincorrono la svolta. Insensibili in via di guarigione.

Concessioni su prezzi e brevetti delle medicine nei Paesi in via di sviluppo. Attenzione al territorio, incentivi al volontariato per i dipendenti.

di Ida Cappiello

«Negli ultimi anni le farmaceutiche hanno dovuto fronteggiare molti problemi, come la bassa produttività della ricerca, in particolare nella genetica, i costi troppo alti dei farmaci, la conseguente pressione dei generici. I molti casi la risposta è stata lungimirante, come nel caso delle concessioni sui prezzi e la sensibilizzazione di molte società sull?accesso ai farmaci nei Paesi poveri». Sulla trasparenza, molto importante per il benchmark ?laico? cui si rifà Pioneer Investments (il FTSE4Goodglobalindex), Andrea Salvatori cita il caso del Vioxx: «La casa produttrice di questo farmaco, Merck, l?ha ritirato completamente dal mercato, dopo che essa stessa aveva finanziato lo studio che ne ha rivelato i rischi». Il settore farmaceutico è presente, anche se meno in forze, anche nei prodotti finanziari di Aletti Gestielle (gruppo Banco Popolare di Verona e Novara), che pure è vincolato dall?ispirazione cristiana. Spiega Lorenzo Campori, il gestore: «Il nostro comitato etico ha come riferimento la morale cattolica, per questo utilizziamo un benchmark coerente, elaborato dall?agenzia E-Capital Partners. Escludiamo le imprese produttrici di contraccettivi, e analizziamo in profondità chi lavora sulle cellule staminali per individuare i rischi di danni agli embrioni. Accettiamo invece gli ogm, in coerenza con la linea espressa dalla Chiesa, ma solo in presenza di dossier dettagliati sui progetti di ricerca». Su questa base si innesta un confronto continuo tra comitato etico, advisor e gestore. Il risultato, oggi, è un peso del farmaceutico in media dell?8%, «non da leader ma nemmeno irrisorio, visto che partiamo da un universo investibile molto selezionato. Questo perché valutiamo sempre i comportamenti virtuosi di singole aziende, secondo l?approccio best in class», conclude Campori. Un approccio che riesce a spiegare bene l?apparente contraddizione tra critiche del pubblico e simpatie degli investitori etici. E le corporation? Alla caccia di una legittimazione sociale tutt?altro che scontata, le grandi multinazionali hanno capito da tempo che chiudersi a riccio è controproducente, e si sono impegnate a rispondere alle domande più scottanti. Emblematico il caso di Roche: per meritarsi di entrare nel Dow Jones sostenibile ha bloccato la registrazione di nuovi brevetti anti Aids nei Paesi meno sviluppati. Dario Francolino, responsabile immagine di Roche in Italia, aggiunge: «Sempre in quei Paesi, rinunciamo a qualsiasi azione legale contro produttori di generici in violazione di brevetti preesistenti, purché venduti sul mercato locale. Inoltre commercializziamo i nostri antiretrovirali a prezzo di costo». Anche un nome sotto tiro come Glaxosmithkline (accusata di illegalità nel rapporto con i medici italiani) è rimasta nel portafoglio degli etici, sia pure con qualche passo indietro in classifica. L?azienda è riuscita a rispondere alla domanda di trasparenza con un nuovo sistema di controllo interno che tratta i comportamenti illeciti come una componente del rischio d?impresa. Tutti i processi organizzativi di Gsk, inoltre, sono stati scandagliati per individuare le aree critiche e ridurre al minimo il rischio etico. «Per noi la reputazione sociale è importante», commenta il responsabile comunicazione di Glaxosmithkline, Massimo Ascani. «L?azionariato, ad esempio, è diffuso in Paesi ad alto senso civico, come il Regno Unito e i Paesi scandinavi. Anche i dipendenti spingono verso l?etica: sono a contatto con la sofferenza, anche facendo volontariato in associazioni impegnate nel volontariato sanitario, e premono perché l?azienda aumenti il coinvolgimento nella comunità».


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