Famiglia

Intervista a Francesco Compagnoni: responsabilità sociale, troppa teoria fa male.

Per il rettore della Pontificia università l’idea di csr in voga negli Usa è astratta. Il modello europeo, invece, è legato al territorio.

di Selena Delfino

«Le aziende, grandi e piccole, costituiscono la rete vitale delle nostre economie, e come tali, rivestono un ruolo fondamentale. È giusto quindi che si prendano le responsabilità che questa veste comporta». È questo il pensiero di Francesco Compagnoni, rettore della Pontificia università degli studi San Tommaso d?Aquino di Roma che, per il secondo anno consecutivo, ha dato il via al master di primo livello in Management e responsabilità sociale d?impresa. Un percorso di studi che si affianca ora al progetto di ricerca Etica e responsabilità sociale d?impresa, partito in questi giorni. Così Compagnoni rincara la dose: «L?importante è non cadere nell?errore di considerare la csr una semplice astrazione». Come? Dandosi delle regole e, soprattutto, rispettandole. Ma non basta: «Prima di tutto è necessario chiedersi chi sono i destinatari del concetto di responsabilità». E&F:Professor Compagnoni, il vostro progetto di ricerca vede, oltre alla collaborazione della St. Thomas University del Minnesota, anche l?appoggio del Progetto culturale dei vescovi italiani. Enti che danno un?impronta forte, si direbbe. Francesco Compagnoni: Lo scopo di queste partnership, sia per il master che per il programma di ricerca, è quello di non analizzare l?argomento in modo confessionale o seguendo i dettami di una ?scuola? precisa. Infatti ci rifaremo soprattutto al programma Global Compact, promulgato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che permette una base etica solida e universale, indipendente dai particolarismi. Per quanto riguarda il master, prevediamo 300 ore nelle quali analizzare le dieci regole che costituiscono questo importante fondamento e capire, assieme agli allievi, come si è arrivati all?idea di corporate social responsibility. E&F:Un argomento che può essere trattato da molti punti di vista. Su quali vi soffermerete? Compagnoni: Considero molto importante distinguere la csr europea da quella americana. E questa sarà una linea guida sia per il master che per il biennio di ricerca. Non per differenziare i due aspetti, entrambi necessari, ma per trovare un punto di convergenza che offra un modello veramente universale per le buone pratiche d?impresa. E&F: Quali sono, dunque, gli aspetti che differenziano i due modelli? Compagnoni: Nell?area dell?euro siamo molto legati ai rapporti fra le imprese e la società civile, che fa da ambiente di riferimento. Gli americani, invece, pongono molta più attenzione ai rapporti interni delle aziende e al tema della trasparenza, pratica nella quale sono molto più avanti di noi. Il loro limite è però costituito dal fatto di essere troppo ?tecnicizzati? e promulgatori di un?idea di trasparenza che spesso non si sofferma a considerare chi sono i beneficiari di queste pratiche. E&F: Gli Usa, quindi, rischiano di spingere sull?esercizio della teoria, tralasciando la pratica? Compagnoni: Sì, anche se devo ammettere che a questo rischio non siamo immuni nemmeno noi europei. Troppo spesso la responsabilità sociale si è trasformata in mera tecnica di marketing o in un sistema di teorie che poi non trovano applicazione. E&F: Come evitare che questo succeda di nuovo? Compagnoni: Inutile dire che è indispensabile una solida preparazione culturale. È necessario poi portare chi si occuperà di queste tematiche a capire pragmaticamente come la csr viene applicata in azienda. Per questo credo sia ottimo il fatto che i nostri studenti del master abbiano la possibilità di effettuare uno stage negli Stati Uniti, dove potranno confrontarsi con alcuni esponenti del top management americano. E&F: Crede, dunque, che quello americano sarà il modello nel quale si evolverà il concetto di corporate social responsibility europeo? Compagnoni: Penso di no. Sono due approcci diversi. Ma sono altrettanto convinto della necessità che essi convergano, per poter avere dei risultati tangibili. Gli americani sono molto ?aziendalisti? e tecnici, hanno molto ben presente il loro codice deontologico. Noi, invece, siamo specializzati in pratiche radicate sul territorio e basate su quella che io chiamo ?relazionalità sociale?. Sono due aspetti che devono essere sviluppati di pari passo per poter parlare veramente di responsabilità sociale. È però ovvio che per fare questo, è necessario conoscerli veramente a fondo?


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