Il valore della cura
Quella fragilità che ci rende davvero umani
Il Pontefice ha risposto a una lettera del direttore del Corriere della sera, parlando della sua condizione di persona fragile, condizione che gli permette di vedere ancora meglio quanto sia assurda la cultura della violenza. Secondo la pedagogista Luigina Mortari «quando ci prendiamo cura dell'altro realizziamo appieno la nostra umanità»

«La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide». Nella sua lettera al direttore del Corriere della sera, il Papa dice parole che fanno riflettere e che ci riportano al cuore del nostro essere umani, bisognosi dell’altro e della cura. E, secondo la filosofa e pedagogista Luigina Mortari, mettono in luce le debolezze di una società fondata sulla forza.
Cosa ci insegna la fragilità che il Papa sta vivendo in questo momento?
La nostra cultura si è costruita su un’idea forte dell’essere umano, come cittadino autonomo, indipendente, capace di badare a se stesso. In questa visione c’è un tradimento ontologico di base, perché non comprende la fragilità e la vulnerabilità, che sono qualità costitutive della condizione umana. La fragilità che sta vivendo adesso il Santo Padre si rende evidente in alcune situazioni, quella della neonatalità – quando i piccolini hanno bisogno di tutto – nelle condizioni di malattia e di disabilità; però c’è una fragilità più sottile, che accompagna tutta la vita umana e che non viene tenuta in considerazione dalla politica, che organizza il welfare pensando che ce ne sia bisogno solo in alcuni momenti particolari. Invece la vita è sempre fragile. Siamo fragili nel corpo, perché l’equilibrio biofisico può venir meno da un momento all’altro, e lo siamo nella mente perché possiamo perdere nostra capacità di pensare – di formulare quelli che Edith Stein ha definito “atti liberi” – in qualsiasi punto della vita, indipendente dalla cura. C’è una fragilità anche nel cuore, che è evidente quando il nostro sentire, per effetto degli eventi che accadono, assume tonalità negative, e una dell’anima, quando il nostro esserci entra in crisi.
Quindi la politica dovrebbe dare attenzione alla fragilità, andando verso una società più attenta alla cura?
In questo momento in cui la nostra società presenta demograficamente un’alta percentuale di anziani, una buona cultura della cura dovrebbe avere un’attenzione particolare per questi cittadini; tra l’altro, è una condizione che interesserà tutti noi man mano che procediamo nella vita. Invece questa società altamente competitiva, votata all’efficienza, trascura le reali capacità e le condizioni di fragilità delle persone più avanti negli anni. Così come accade per gli adolescenti.

Il Papa parla anche di una fragilità che ci rende più lucidi.
Quando si è più fragili – dice giustamente il Papa – è come se lo sguardo interiore diventasse più acuto e noi fossimo capaci di vedere la realtà in un altro modo. Allora alcune cose che avvengono normalmente e alle quali non diamo attenzione di solito prendono un’evidenza forte. La guerra, per esempio, ma ancor prima della guerra i comportamenti violenti che attraversano la nostra società e ai quali spesso siamo indifferenti. Infatti, quando il Santo Padre dice «Disarmiamo le parole», dà un’indicazione molto forte, perché ci induce ad andare in una direzione contraria rispetto a quella violenza che sta rovinando le relazioni umane con le persone vicine e le relazioni internazionali, che diventano belliche
A volte sembra che essere forti significhi non aver bisogno di nessuno e bastare a sé stessi, ma forse a volte per mostrarsi fragili ci vuole molto più coraggio.
Certamente. Essere fragili vuol dire mostrarci per quello che siamo; la fragilità, però, è vista in maniera negativa dalla nostra società e quindi fatichiamo a farla vedere perché questo provoca un sentimento di vergogna. È per questo che ci vuole un cambio radicale di paradigma, perché il singolo da solo non riesce a mostrarsi come realmente è, se questo può portare all’esclusione dal contesto sociale in cui vive.
Quando ci prendiamo cura degli altri – e di noi stessi – stiamo dentro a quella che chiamo “l’obbedienza alla necessità del bene. Siamo dove la vita ci chiede di essere, perché è così che realizziamo appieno la nostra umanità
C’è della bellezza nel prendersi cura dell’altro?
Nella cura c’è il senso profondo dell’esserci; tutti noi abbiamo bisogno di cura e quando ci prendiamo cura degli altri – e di noi stessi – stiamo dentro a quella che chiamo “l’obbedienza alla necessità del bene”. Siamo dove la vita ci chiede di essere, perché è così che realizziamo appieno la nostra umanità. In questo senso parliamo di bellezza. L’ho visto nelle ricerche che ho condotto: coloro che agiscono secondo questo principio sentono un piacere etico dentro che è nutrimento profondo per l’anima.
Quindi essere caregiver può arricchire.
Certo, ma bisogna mettere in evidenza anche un altro lato della questione. Le attività di cura portate avanti per un tempo lungo possono rendere più fragile il caregiver, anche se ne trova nutrimento. C’è bisogno di sostegno: per questo necessitiamo di una politica della cura, non si può pretendere dal singolo che si spinga oltre i limiti e la giusta misura.
Foto La Presse: Papa Francesco nella sua stanza al Gemelli di Roma
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it