Famiglia

Italia, più che triplicato tra il 2013 e il 2022 l’utilizzo del congedo di paternità

I dati Inps, elaborati in collaborazione con Save the Children, mostrano un lento ma progressivo mutamento culturale. Ricorrono a questa misura (introdotta nel nostro Paese nel 2012) i padri che vivono al Nord e hanno rapporto di lavoro stabile. L'oviettivo? Estendere il congedo a tutti i lavoratori e non solo ai dipendenti

di Redazione

Il carico di cura dei figli, in Italia, continua a registrare un forte squilibrio tra i generi, con evidenti ripercussioni sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Tuttavia, qualcosa sta cambiando nell’atteggiamento dei padri, anche se lentamente. Per esempio, il ricorso al congedo di paternità è più che triplicato nel periodo tra il 2013 e il 2022. Il quadro emerge dall’elaborazione Inps sui dati dei propri archivi, in un report elaborato in collaborazione con Save the Children in vista della Festa del Papà. Il ritratto del genitore di sesso maschile che usufruisce del congedo di paternità è presto fatto: vive prevalentemente al Nord, ha un rapporto di lavoro stabile e un reddito che oscilla tra i 28mila e i 50mila euro.

«Sul congedo di paternità registriamo un trend positivo che evidenzia un cambiamento culturale in atto», conferma il presidente dell’Inps, Gabriele Fava. «Tuttavia, circa il 35% dei padri aventi diritto ancora non ne usufruisce. È una misura su cui faremo ulteriori iniziative di sensibilizzazione. Promuovere il congedo di paternità produce effetti concreti: favorisce un legame precoce tra padre e figlio, con benefici duraturi sulla loro relazione, e contribuisce a una distribuzione più equilibrata delle responsabilità familiari e della conciliazione vita-lavoro delle donne. Un passo essenziale verso una reale parità di genere nelle famiglie italiane».

Introdotto in Italia nel 2012, il congedo di paternità ha come scopo quello di favorire la condivisione della cura e il legame tra padri e figli. Si è gradualmente allungato fino ad arrivare agli attuali 10 giorni. Anche il suo utilizzo è cresciuto nel tempo, passando dal 19,2% dei padri aventi diritto nel 2013 al 64,5% nel 2023: una crescita che è stata più marcata nei primi anni e più contenuta negli ultimi, con una differenza di soli 0,5 punti percentuali tra il 2022 e il 2023. Sono quindi più di tre padri su cinque a utilizzarlo, ma con notevoli differenze che dipendono sia dal territorio dove si risiede, sia dalla dimensione aziendale e dal tipo di contratto lavorativo.

«Nonostante i segnali positivi che i dati sulla fruizione del congedo di paternità ci mostrano, c’è ancora molto da fare per favorire un’equa condivisione della cura tra madri e padri», sottolinea Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro. Eppure, la genitorialità condivisa migliora il benessere di bambini e bambine e tutela il loro diritto fondamentale a una crescita serena in un contesto affettivo ed educativo protetto. In questo senso è essenziale investire nel rafforzamento di questa misura per tutti i lavoratori, non solo quelli dipendenti. Un congedo più lungo, inoltre, contribuirebbe al bilanciamento tra responsabilità genitoriali, promuovendo una visione più paritaria tra uomini e donne e favorendo il consolidarsi di modelli culturali liberi da stereotipi di genere».

Ad usufruire maggiormente del congedo sono i padri che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato (circa il 70%), a fronte di quanti ne hanno uno a tempo determinato (il 40%) o di quelli con contratti a termine, come gli stagionali (il 20%). Il tasso di utilizzo più alto si osserva tra i padri che hanno un reddito compreso tra i 28mila e i 50mila euro (83%), mentre cala leggermente tra quanti hanno un reddito annuo superiore ai 50mila euro (80%). Tra i redditi più bassi, scende ulteriormente, attestandosi al 66% tra quanti hanno un reddito compreso tra i 15mila e i 28mila euro annui. Anche la dimensione aziendale sembra influire sull’utilizzo del congedo di paternità: la percentuale dei padri che ricorrono a tale strumento è infatti doppia tra quanti lavorano in aziende con più di 100 dipendenti (80%), rispetto a chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti (40%).

L’uso del congedo di paternità non è omogeneo sul territorio nazionale. Al Nord viene utilizzato dal 76% dei padri aventi diritto, una percentuale quasi doppia rispetto quella osservata al Sud e nelle Isole (44%), mentre al Centro lo utilizza il 67% di loro. A livello regionale, la sua fruizione va dalla percentuale più bassa della regione Calabria a quella più alta della regione Veneto.

Al Nord, le regioni presentano tutte tassi di utilizzo uguali o superiori al 70% (Veneto 79%, Friuli Venezia-Giulia 78%, Emilia-Romagna 76,5%, Lombardia 76,4%, Trentino Alto Adige 75,9%, Piemonte 74,6%, Valle d’Aosta 70%), ad eccezione della Liguria che registra il 64,3%. Al Centro è il Lazio la regione che segna il tasso più basso (63,2%), mentre Umbria (73,7%), Marche (71,6%) e Toscana (70,8%) presentano percentuali vicine a quelle delle regioni settentrionali.  Al Sud e nelle isole, l’uso del congedo di paternità supera il 50% in Abruzzo (64,9%), Sardegna (58,1%), Basilicata (56,5%), Molise (54,1%), Puglia (51%), mentre tassi decisamente più bassi si osservano in Sicilia (39,4%), Campania (39,1%) e Calabria, con quest’ultima fanalino di coda (35,1%).

Credit: foto di Josh Willink su Pexels

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