Potevano essere 10mila metri quadri di magazzini abbandonati in un triangolo industriale infilato tra i binari, a sud Lingotto, a nord la stazione di Porta Susa. E invece Toolbox è lo specchio di una Torino che inventa, un futuro che cresce in un angolo della città dove una scrivania è una finestra sul mondo.
«Su questa lavagna non si può scrivere. E io scrivo comunque». La calligrafia sbrigativa di uno studente del Politecnico lascia il segno della creatività che spinge. Tra un corridoio e un ascensore in stile film horror grazie all’intuizione di colorarlo di giallo, nascono barche a vela e razzi, droni che studiano le traiettorie dei satelliti, schede open source e biciclette a idrogeno che puntano al record del mondo. Intanto, nelle serre allestite nei sotterranei, presto si raccoglieranno fragole grazie a tecniche di coltivazione idroponica. Via Agostino da Montefeltro 2, quartiere Crocetta: dal lunedì al venerdì c’è un universo di idee che s’incontrano e zaini che si sfiorano, il tempo di un caffè. Un laboratorio con quasi quindici anni di storia (la festa di compleanno sarà ad aprile), che è anche il ponte tra le due vite di Aurelio Balestra, oggi amministratore delegato del primo spazio co-working nato a Torino, un’esperienza pionieristica in Italia e in Europa.

Ti viene qualche idea?
In origine era una fonderia. Chiusa negli anni Settanta e rilevata da un’azienda di distribuzione di marchi di abbigliamento uomo e donna: «Gestivamo 400mila capi l’anno», ricorda Balestra, che di quella ditta, fino al 2008, è il direttore generale. Una serie di vicissitudini conducono l’azienda al trasferimento, lasciando la struttura vuota. Balestra, che all’epoca ha 47 anni, insieme al proprietario dello spazio si trova di fronte a una specie di Sliding Doors. «Lui aveva a disposizione questi 10mila metri quadri di immobili, circondati da altri 50mila abbandonati. Io ero senza lavoro. A un certo punto mi chiese: ti viene qualche idea?».

Un’idea, in effetti, Balestra ce l’ha. «Erano gli anni in cui negli Stati Uniti il co-working stava nascendo come riutilizzo di capannoni ex-industriali. Iniziava a farsi strada l’esigenza di uno spazio di lavoro flessibile, con le grandi corporate mondiali e italiane in crisi che licenziavano e dismettevano. In un clima di sfiducia, qui non potevamo pensare a un business di tipo tradizionale. Ma nel frattempo, aumentavano i freelance». L’8 aprile 2010, Toolbox inaugura: mille metri quadri, 44 postazioni e il progetto di aggregare persone attorno a dei significati. «Le persone erano frizzate, congelate in un senso di impotenza molto forte. Per contro, si stavano sviluppando una serie di fenomeni che parlavano di futuro. Noi abbiamo iniziato a identificarli e a metterli al centro attraverso gli eventi. La sharing economy, il grande movimento dei makers con la rivoluzione delle stampanti 3D, le start up e i freelance days».
Parlare di futuro
Oggi sembra scontato, nel 2010 non lo era. «Tutto sembrava vecchio, antico. Le professioni della conoscenza non avevano più bisogno di un ambiente dedicato: all’ingegnere non serviva il tecnigrafo, al grafico il tavolone gigante, per tutti bastava un laptop. In fondo, una scrivania ce l’hanno tutti a casa. Che cosa potevamo offrire in più? Quello che di diverso c’era, e c’è tuttora, è l’aspetto sociale. Siamo creatori di condizioni per attivare relazioni». Attenzione, precisa Balestra: «Questo non è un villaggio vacanze, non facciamo “animazione”. Qui coltiviamo un contesto affinché persone che condividono gli stessi valori possano condividere anche un ambiente. E parlare di futuro».

Dove? In un posto che i torinesi non conoscevano, «una sorta di buco nero nella città. C’era da affermare una presenza, si doveva creare un mondo. In questo, l’esperienza nel retail è stata fondamentale: adattare materiali poveri a nuovi utilizzi, esteticamente belli, sempre efficienti. Si riesce a essere molto produttivi in un ambiente sociale inclusivo soltanto se i servizi funzionano: la sala riunioni, la connessione, eccetera».
Il mercato somiglia sempre più alla vita
«Questo deve essere un posto da cui si parte e non dove si arriva. Un posto in cui sì, ti trovi bene, ma poi vai a conquistare il mondo». Le 44 scrivanie iniziali oggi sono diventate 800, 800 persone che lavorano contemporaneamente nello stesso spazio. La formula più flessibile costa 16,50 euro al giorno più Iva. «Il prezzo politico consente di abbassare l’entry level e di contaminare il contesto con attività ancora non troppo solide. Non per tutti è così: c’è chi ha bisogno di stabilità, di tenere la foto della fidanzata sulla scrivania. Ci sono piccole e medie aziende che affittano un ufficio per un anno o poco più: lo scambio porta creatività nella community». Perché tempi stretti? «Perché la vita è così, e il mercato somiglia sempre più alla vita, è fatto di orizzonti brevi». C’è un aspetto in più: «Il breve termine fa sì che qui ci sia gente molto contenta di esserci, nessun prigioniero. È un tassello fondamentale, genera una bella energia».

Tutto ciò che accade attorno
A pochi passi dalle scrivanie non c’è soltanto il caffè itinerante su una bicicletta o la mensa con i food truck a rotazione. «Abbiamo inserito nel modello di business elementi del non profit e soprattutto di innovazione sociale», racconta Balestra. «Ospitiamo gratuitamente dal 2012 il Fablab, un’associazione culturale che è un laboratorio di fabbricazione digitale e makerspace». Stampa 3D, taglio laser, fresa Cnc, Arduino: qui si possono frequentare corsi gratuiti per imparare le basi della prototipazione rapida. «La nostra è una comunità di comunità che, per guardare avanti, ha bisogno di significati. Questo è uno dei significati». Un altro si chiama Printclub: «Li abbiamo accolti nel 2015. Hanno dato vita a un hub di produzione creativa in cui lavorare, stampare e creare nuove produzioni. Il luogo ideale per sviluppare progetti editoriali in piccole o medie tirature, realizzare prototipi e autoproduzioni o valorizzare il proprio portfolio».

Anche Hackability ha trovato casa a Toolbox. È la principale non profit italiana per lo sviluppo di soluzioni innovative per l’autonomia. «Attraverso la metodologia Hackability Thinking, basata sul co-design, sviluppano oggetti e servizi accessibili e scalabili, promuovono l’inclusione e fanno emergere nuovi bisogni sociali, culturali, economici e tecnologici legati all’accessibilità. Questo approccio, adottato da imprese e istituzioni in Italia e all’estero, ha ricevuto una menzione d’onore al Premio Compasso d’Oro Adi nel 2020».

Poco distante dalla vetrata d’ingresso, gli scatti di Michele D’Ottavio raccontano le professioni viste dalla scrivania. Microcosmi disordinati e operosi, istantanee di scadenze appiccicate come post-it nella memoria. Che cosa rappresenta una scrivania oggi? «Scrivania qui è un luogo. Non è un parametro attraverso cui pagare una serie di servizi, è un ambiente. Toolbox non è una scrivania. È tutto ciò che accade attorno».
Mercoledì 19 marzo presenteremo il nuovo numero di VITA Magazine “Provate a fare senza” da Toolbox co-working a Torino. Vi aspettiamo alle 18,30 in via Montefeltro 2.

Le fotografie sono tutte di Stefano Borghi, fatta eccezione per quella che ritrae Aurelio Balestra, scattata dall’autrice dell’articolo
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it