Scuola

Più contenuti, meno metodo: l’istruzione che attende i nostri figli

Il ministro Valditara ha pubblicato le nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione: punto di partenza per avviare una consultazione con il mondo della scuola. Una prima lettura del documento con Valentina Chinnici, presidente di Cidi e Ezio Delfino, presidente di Disal mette a tema il ruolo della famiglia, del latino e dei (tantissimi) contenuti suggeriti

di Rossana Certini

Giuseppe Valditara

Che scuola emerge dal nuovo testo delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione? La bozza di 153 pagine è stata pubblicata lo scorso 11 marzo sul sito del ministero dell’Istruzione e del Merito dalla commissione incaricata della loro redazione. La pubblicazione è preliminare ad una fase di consultazione che coinvolgerà le associazioni professionali e disciplinari, i rappresentanti di genitori e studenti e le organizzazioni sindacali della scuola.

L’enfasi su famiglia

«Leggendo le Indicazioni la prima cosa che colpisce è che, dopo la premessa culturale generale è stato inserito il titolo “Persona, scuola, famiglia”, mentre nelle Indicazioni del 2007 e del 2012 la premessa era “Cultura, persona, scuola”. Dunque ora la parola “famiglia” sostituisce quella “cultura“. Una scelta che, a nostro avviso, non è di poco conto», sottolinea Valentina Chinnici, presidente del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti-Cidi, un’associazione che, dal 1972, riunisce insegnanti di tutti gli ordini di scuola e di tutte le discipline, con l’obiettivo di contribuire alla creazione di una scuola democratica, culturalmente più attrezzata e più vicina agli interessi di ragazze e ragazzi.

Prosegue la presidente Chinnici: «Non passa inosservato come il ruolo della famiglia è enfatizzato in tutto il documento. Per esempio, a pagina 8 si legge che: “scuola e famiglia costituiscono, in ragione delle grandi valenze educative e affettive l’una e per l’azione sistematica e intenzionale di istruzione l’altra, le due colonne portanti del percorso di apprendimento di bambini e adolescenti”. Certamente anche noi riconosciamo fondamentale il dialogo tra scuola e famiglia, ma ciò che colpisce è una possibile separazione tra “educazione” e “istruzione” che si intravede in tutto l’impianto del documento. Mentre come Cidi siamo convinti che a scuola l’educazione debba necessariamente passare attraverso l’istruzione. Le discipline, infatti, possiedono in sé un valore formativo».

Contenuti più che metodo. Perché?

Chiara è anche la volontà della commissione di indicare con esempi puntuali, sia nei diversi gradi di istruzione sia nelle singole discipline, i contenuti da proporre ai ragazzi: autori, testi e temi specifici. Una scelta che sembra stridere con l’autonomia amministrativa, didattica e organizzativa che dal 2000 è in capo alle istituzioni scolastiche. Inoltre sempre in quell’anno, con il decreto ministeriale 234, “Regolamento recante norme in materia di curricoli nell’autonomia delle istituzioni scolastiche“, è stato introdotto il concetto di curricolo, riconoscendo così la professionalità di docenti e dirigenti. Questi non sono più visti come semplici esecutori dei programmi scolastici – che per altro con il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche sono stati sostituiti con il Piano dell’offerta formativa che è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche – ma sono considerati come ricercatori, capaci di visione, progettualità e di collaborare in sinergia con i colleghi.

In tal senso sottolinea Ezio Delfino, presidente nazionale Disal- Associazione professionale di dirigenti scuole autonome e libere: «Il ministero», prosegue Delfino, «ha scelto di non includere più nella commissione esperti delle singole discipline, ma pedagogisti e accademici. Non posso negare che ci sia una necessità di restituire alla scuola una forte connotazione pedagogica, ma non sono sicuro che escludere chi insegna nelle scuole sia la scelta giusta». Sottolinea ancora Delfino: «È un po’ come se, a seguito dei risultati emersi dalle prove Invalsi o dall’indagine internazionale Pisa Ocse, che evidenziano le difficoltà degli studenti italiani nella comprensione del testo, nella conoscenza del lessico e nella struttura grammaticale, la commissione avesse deciso di correre ai ripari, fornendo indicazioni precise su quali contenuti proporre agli studenti per ogni materia».

È come se, a seguito dei risultati emersi dalle prove Invalsi o Pisa Ocse che evidenziano le difficoltà degli studenti italiani nella comprensione del testo, conoscenza del lessico e struttura grammaticale, la commissione avesse deciso di correre ai ripari, fornendo indicazioni precise su quali contenuti proporre agli studenti per ogni materia

Ezio Delfino, presidente Disal

Provocatoriamente, si potrebbe pensare che la scelta sia quella di concentrarsi sui contenuti anziché sul metodo, nel tentativo di arginare quelle che si ipotizzano essere le conseguenze dell’autonomia scolastica, che, sostituendo i programmi con il Piano dell’offerta formativa e il curricolo, potrebbe aver portato a risultati di apprendimento meno soddisfacenti. Ma è davvero così?

«Da una rapida lettura, questo dubbio emerge», prosegue Delfino, «però, da convinto sostenitore dell’importanza dell’autonomia scolastica, mi permetto di ricordare come la novità che, in generale, le Indicazioni nazionali devono portare alla scuola è il rilancio dell’autonomia scolastica perché esse sono figlie del modello dell’autonomia scolastica. Prima c’erano i programmi, cioè una previsione centralizzata e omogenea per tutti. Ora, con l’autonomia le scuole sono chiamate a interpretare i bisogni dei propri territori e quindi anche a modulare i contenuti delle discipline».

Importante definire obiettivi e contenuti minimi essenziali

Fatta questa premessa Delfino prosegue spiegando che «forse ciò che serviva non era tanto riscrivere le Indicazioni, ma monitorare i risultati di quelle già in vigore, i cui frutti stanno iniziando a vedersi solo negli ultimi anni, dato che hanno richiesto un vero stravolgimento culturale delle istituzioni scolastiche e quindi del tempo per ottenere risultati concreti». E aggiunge: «sono convinto che il problema non risieda nell’autonomia scolastica, ma nel fatto che le precedenti Indicazioni nazionali non hanno stabilito livelli essenziali di prestazione. In altre parole, l’autonomia è stata avviata, ma senza indicare chiaramente gli obiettivi che le scuole devono raggiungere. Quindi, lo Stato potrebbe recuperare il suo ruolo di supervisore, più che indicando quali testi e autori studiare, definendo gli step che ogni scuola deve raggiungere pur mantenendo la propria autonomia. Questo è ciò che manca, e questo sarebbe stato l’intervento necessario».

Lo Stato potrebbe recuperare il suo ruolo di supervisore, più che indicando quali testi e autori studiare, definendo gli step che ogni scuola deve raggiungere pur mantenendo la propria autonomia. Questo è ciò che manca, e questo sarebbe stato l’intervento necessario

Ezio Delfino, presidente nazionale Disal

Dunque quel che forse serviva veramente non erano suggerimenti sui contenuti ma l’individuazione dei contenuti minimi essenziali per ogni disciplina, sia al termine di ciascun ciclo di istruzione sia nell’articolazione durante gli anni di studio, e contemporaneamente la definizione dei traguardi di competenze essenziali. In tal senso Delfino aggiunge: «i contenuti minimi e i traguardi di competenze devono poi essere i nuovi parametri per effettuare le valutazioni periodiche e finali degli alunni delle diverse classi e per tarare le rilevazioni Invalsi. Stabiliti questi parametri, ciò consentirà poi all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche di sviluppare innovative forme di valutazione che guardino ai processi di apprendimento in modo adeguato e completo».

Latino: opportunità o una nuova forma di disuguaglianza?

Tra i contenuti che la commissione consiglia di inserire nella didattica c’è anche il latino per gli ultimi due anni della scuola secondaria di primo grado. Tuttavia, come sottolinea Valentina Chinnici: «la conoscenza del latino non implica necessariamente saper utilizzare correttamente l’italiano, sia scritto che parlato, e lo affermo da filologa classica. L’italiano, in quanto lingua viva, si impara comprendendone gli usi linguistici, non studiando prima la grammatica o il latino». Secondo la presidente del Cidi, l’enfasi sul latino rischia di diventare un’operazione reazionaria contro Tullio De Mauro che in qualità di ministro della Pubblica istruzione dal 2000 al 2001 ha vissuto la riforma dell’autonomia scolastica ed è stato convinto sostenitore dell’educazione linguistica democratica, che mira a migliorare le capacità socio-semiotiche e linguistico-culturali di tutti gli studenti.

Inoltre Chinnici aggiunge: «nelle linee guida si sottolinea come l’insegnamento del latino sia “auspicabile”. Questo aggettivo ci preoccupa, perché o l’insegnamento è accessibile a tutti in modo democratico, oppure, se lasciato alla discrezionalità di ogni istituto, diventa una materia che crea disuguaglianze sociali. Così, il latino finirebbe per essere insegnato solo in quelle scuole frequentate da studenti destinati a intraprendere un percorso liceale. Siamo completamente contrari a questa visione, che ci riporterebbe alla concezione gentiliana della scuola come luogo per preparare la classe dirigente».

O l’insegnamento del latino è accessibile a tutti in modo democratico, oppure, se lasciato alla discrezionalità di ogni istituto, crea disuguaglianze sociali. Così, il latino finirebbe per essere insegnato solo in quelle scuole frequentate da studenti destinati a intraprendere un percorso liceale. Siamo completamente contrari a questa visione

Valentina Chinnici, presidente Cidi

Sull’uso dell’aggettivo “auspicabile” Ezio Delfino ha una visione diversa e solleva il dubbio che la commissione non avesse altra scelta che utilizzare questo termine. Spiega infatti che: «dobbiamo ricordare che il ministero riscrive le Indicazioni nazionali ma non l’orario scolastico che rimane fissato a 30 ore settimanali nella scuola secondaria di primo grado. Quindi, se si dovessero introdurre nuove materie sarebbe necessario rivedere anche i tempi scuola. Inoltre, ciò comporterebbe un investimento economico che, data la situazione attuale, il ministero non può permettersi. Di fronte a questa realtà, l’unica opzione per il ministero è consigliare l’introduzione del latino». Delfino fa notare inoltre che il latino viene proposto come supporto all’apprendimento dell’italiano, per comprendere le radici delle parole e potenziare le competenze linguistiche in generale, ma questo approccio all’insegnamento della lingua italiana è già in uso in molte scuole italiane.

Infine conclude Delfino: «speriamo che come dichiarato dalla commissione si apra veramente un confronto con il mondo della scuola su questa bozza affinché si possa arrivare a un documento finale capace di sostenere ed attuare procedure e progettazioni finalizzate ad aiutare i docenti a contestualizzare la proposta didattica rispetto ai bisogni formativi dei propri studenti e dei territori di riferimento; interpretare le Indicazioni nazionali nel pieno esercizio della libertà di insegnamento e di educazione e di vedere il contesto scuola come spazio di soggettività professionale, di esercizio della progettualità collegiale e della relazione con i territori».

In apertura il ministro Giuseppe Valditara, foto di Stefano Carofei/Sintesi

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