Quindici anni della legge

Cure palliative: tutto quello che c’è ancora da fare

Al centro degli Stati generali delle cure palliative, un bilancio e l'urgenza di rispondere ai bisogni in crescita e ancora insoddisfatti. Si è parlato anche del ruolo cruciale del terzo settore.

di Nicla Panciera

La legge 38 del 15 marzo 2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore compie quindici anni. Rappresenta una delle normative più avanzate a livello europeo in materia di tutela del diritto dei cittadini all’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Ha contribuito a diffondere la cultura del sollievo dalla sofferenza e della dignità della vita umana fino alla fine della stessa vita, ma il principio sancito dalla normativa non è ancora una realtà concreta per tutti. Permangono serie criticità come l’incompletezza nello sviluppo delle Reti di cure palliative con la conseguente disomogeneità nell’accesso alle cure nelle diverse aree del Paese, il ritardo nello sviluppo delle Reti di cure palliative pediatriche, la mancanza di personale formato e qualificato. Tutti questi fattori rendono le cure palliative un diritto non ancora garantito.

Eppure, nella Legge di bilancio promulgata il 30 dicembre 2022 al Comma 62-bis si stabilisce che “Le Regioni dovranno presentare entro il 30 gennaio di ogni anno un piano di potenziamento delle cure palliative al fine di raggiungere entro il 2028 il 90% della relativa popolazione”. Un obiettivo molto lontano dall’essere raggiunto, come conferma una delle misure di performance delle cure palliative che è l’alta percentuale di decessi ospedalieri, che arriva ancora quasi al 50% del totale.

La mancata identificazione del bisogno di cure palliative e la sua mancata o tardiva soddisfazione continua a spingere le persone verso le strutture per acuti, come i Ps e gli ospedali, con modelli di medicina prestazionale e che offrono trattamenti inadeguati alla situazione di malattia grave e destinata a non guarire. Gli Stati generali delle cure palliative in Italia, organizzati dalla Società italiana di cure palliative Sicp e della Federazione cure palliative Fcp, sono stati un’occasione per riflettere su «come vogliamo che siano le cure palliative a partire dal primo gennaio 2029, su questo dobbiamo schierarci a ranghi serrati» ha esortato Gianpaolo Fortini, presidente della Sicp, ricordando che «la mediana di permanenza in un hospice è di 10 giorni», dato che conferma un intervento tardivo delle cure palliative, che sono presenti solo nelle ultime fasi della vita. Ciò non fa che «impoverirle» e renderle «poco attrattive per i giovani specialisti e per gli investimenti in ricerca e sperimentazione».

Principali priorità

Oltre alla necessità di «potenziare le reti di cure palliative» e di raggiungere «una maggiore uniformità a livello regionale», gli altri punti strategici su cui la società scientifica, unica nel suo essere multiprofessionale (per l’inclusione di molte professioni diverse, come imedici, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali, operatori socio-assistenziali, assistenti spirituali), è al lavoro con interventi anche istituzionali riguardano in generale l’estensione delle cure palliative e il loro collocamento in ogni setting di cura: c’è la questione dell’attuale disparità di accesso per i malati non oncologici, della necessità di una maggior formazione per i medici di base e per tutti gli altri specialisti, di una maggior definizione dei percorsi di accesso, di nuove misure di investimento al fine di rendere sostenibile il sistema delle cure palliative. «Una chiave di svolta può essere il terzo settore» ha concluso il presidente Fortini.

Il nuovo volto della finanza etica

Per Tania Piccione, presidentessa della Federazione Cure Palliative, la sostenibilità economico-finanziaria delle cure palliative rappresenta una sfida crescente: «Le cure palliative potrebbero rappresentare il nuovo volto della finanza etica, come già avviene in molti paesi stranieri, promuovendo modelli innovativi di finanziamento che garantiscano equità di accesso, efficienza e continuità nell’erogazione delle cure sganciando le cure palliative dalla forte dipendenza economica del pubblico e del volontariato. Penso ad esempio alla creazione di fondi etici o all’emissione di social bonds per sostenere progetti di sviluppo delle cure palliative, oltre al rafforzamento del partenariato pubblico-privato che ridurrebbe la pressione sulle risorse pubbliche e contestualmente accrescerebbe la responsabilità sociale d’impresa delle aziende private favorendo l’incentivazione fiscale».

Sinergia tra sanità e politiche sociale, economica e migratoria

La presidentessa presenta l’immagine di un «terzo settore sano – Federazione riunisce 110 enti che si occupano in via esclusiva o prevalente di cure palliative nel territorio italiano – nonostante sussistano ancora molte aree critiche su cui intervenire». A partire dalla necessità di assicurare il coinvolgimento attivo degli ETS nell’esercizio delle funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi attraverso modalità di amministrazione condivisa con la Pubblica Amministrazione. «Si parla di co-programmazione e co-progettazione già da tempo ma l’applicazione di tali istituti è ancora molto scarsa, e quasi inesistente nell’ambito delle cure palliative». La presiedente fa poi riferimento all’esigenza attuare quell’approccio intersettoriale riconosciuto da tempo: «La salute non deve essere trattata come una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma che le politiche sanitarie devono essere integrate e coordinate con altre politiche pubbliche, penso alle politiche sociali, a quelle educative, economiche, alle politiche migratorie. Inoltre, questa integrazione deve coinvolgere tutte le sfere di governo, a partire da quelle internazionali fino a quelle locali, per garantire che le politiche e le risorse siano allineate in modo efficace» ha detto Piccione. «Serve un approccio globale, serve sviluppare paradigmi di intervento che prevedano una cooperazione sempre più stretta tra sistema pubblico, terzo settore, volontariato, organizzazioni di cittadini, al fine di consentire facilità di adattamento e rimodulazione dei trattamenti in questi tempi caratterizzati da transizione socio-demografica e fragilità sociale».

La cura degli altri è responsabilità di tutti

Sappiamo che la solitudine è un tema di attualità sempre più rilevante. «Vivek Murthy, maggior esperto di politica sanitaria americano, ha definito la solitudine come una “epidemia”, sottolineando come essa possa avere effetti devastanti sulla salute fisica e mentale» ricorda Piccione. «Per questo diventa essenziale promuovere un approccio di cure palliative di comunità ovvero un modello di intervento in cui le comunità territoriali sono sollecitate a essere parte attiva del processo di accompagnamento al fine vita, arginando situazioni di solitudine ed isolamento e fornendo assistenza reciproca. L’assunto di partenza è che prendersi cura gli uni degli altri nelle fasi di fine vita non è semplicemente un compito esclusivo dei servizi sanitari e sociali, ma è una responsabilità di tutti» continua Piccione puntando sull’importanza di favorire la partecipazione della cittadinanza e aumentarne l’impegno in attività di advocacy perchè aiuta a far sentire le voci di chi ha bisogno di cure palliative, creando un legame diretto con i decisori politici e le istituzioni locali e può tradursi in una maggiore attenzione da parte delle autorità per lo sviluppo delle cure palliative e nella promozione della cultura delle cure palliative.

Costruire una società solidale

Uno sguardo interessante poi al volontariato. «Non c’è dubbio che le trasformazioni sociali, culturali ed economiche degli ultimi decenni abbiano avuto e hanno tutt’oggi delle ricadute importanti sul volontariato in quanto hanno determinato inevitabilmente una minore vitalità delle forze della società civile, della solidarietà organizzata e dei cittadini. Emerge sempre più il volontariato liquido, ossia quello praticato sporadicamente e al di fuori delle organizzazioni. Il volontario del futuro deve allargare lo sguardo e interrogarsi su dove sta andando la società. La sfida di oggi è darsi nuove coordinate per ritrovare forza generativa. L’impegno prioritario del volontario del futuro deve andare verso la costruzione di una società/comunità solidale uscendo dalla dimensione casa, del rapporto uno a uno, e radicandosi nelle comunità per potenziare la reciprocità del network della persona assistita, investendo sulla partecipazione».

Abbattere il pregiudizio

Infine, c’è ancora molto da fare superare i pregiudizi. Ricorda la presidentessa di Fcp, «siamo ancora lontani da una campagna nazionale istituzionale per la sensibilizzazione sulle cure palliative, pure già prevista dalla stessa legge 38. Da parte nostra, contro il pregiudizio e in favore dalla conoscenza, stiamo da tempo lavorando per accrescere la conoscenza e la consapevolezza della cittadinanza sulle CP, tutelare il diritto di accesso alle CP/CPP sostenendo il riconoscimento dei diritti delle persone affette da malattie inguaribili, dei loro familiari e di chi li aiuta e promuovere la costruzione di un linguaggio comune (cittadinanza e operatori)». Conclude: «Il Terzo Settore, grazie alla sua connessione diretta con le comunità, al suo impegno di sensibilizzazione e alla capacità di generare alleanze, ha svolto e continua a svolgere un ruolo determinante nel garantire che le informazioni sulle CP siano efficaci e raggiungano i gruppi più vulnerabili….ma non basta….anche qui serve il contributo delle istituzioni».

Misurare per programmare e agire

Povertà e solitudine incidono pesantemente e si aggiungono all’invecchiamento nell’aumentare il carico di fragilità. Occuparsi di cure palliative significa guardare alla multimorbidità che affligge in via progressivamente crescente la popolazione mondiale. Il modello delle cure palliative non ha eguali. Ma sconta la mancanza di dati certi, un problema cronico del nostro paese niente affatto esclusivo di questo settore disciplinare. Va misurato il bisogno di cure palliative, solo così si potrà valutarne il reale soddisfacimento. La mancanza di dati certi che fotografino la situazione pesa a più livelli. E, comunque, non si pensi che «lavorare sui processi significhi disumanizzare» ha detto Antonio Benedetti, direttore generale di Vidas, di rientro dall’Himms Global Health Conference di Las Vegas dedicato all’innovazione tecnologica e digitale in sanità. «Per migliorare i processi, e in pratica fare un miglior uso del proprio tempo e delle proprie risorse, vanno però analizzati gli indicatori: se non sappiamo quali essi siano, non sappiamo dove andare».

Le cure palliative pediatriche

Consapevole della criticità del momento, la Sicp si è dotata di una struttura di comunicazione e si è organizzata in gruppi di lavoro dedicati a temi prioritari. Uno di questi sono le cure palliative pediatriche.  «Trentamila bambini necessitano di cure palliative pediatriche, 11mila specialistiche, ma solo 9 sono gli hospice pediatrici» ha spiegato Pierina Lazzarin, alla guida del gruppo e coordinatrice infermieristica del Centro Regionale di Terapia Antalgica e Cure palliative pediatriche e dell’Hospice Pediatrico “Casa del Bambino” di Padova. Alcune Regioni sono ancora sprovviste di qualsiasi risposta assistenziale dedicata alle cure palliative specialistiche pediatriche che sono garantite, oggi, in Italia, solo al 15-18% dei neonati/bambini che ne hanno bisogno. Una situazione che è causa di inevitabili dolori e di ulteriori disuguaglianze nell’accesso alle cure.

Foto del National Cancer Institute su Unsplash

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