Mondo

Concerto grande per guerra e fede

Una vera chiamata alle armi ideologica. Un “build up” dello scontro di civiltà. Coinvolgendo anche la Chiesa. Tutto questo dopo l’omicidio di Van Gogh.

di Maurizio Crippa

L?omicidio di Theo Van Gogh. Peggio: l?ondata di violenze etniche e/o religiose, prima anti islamiche e poi anti cristiane, che hanno fatto seguito all?omicidio di Theo Van Gogh. Peggio: il repentino diffondersi delle stesse violenze dall?Olanda alla tranquilla (fino a qualche tempo fa) Germania, al meno tranquillo (da tempo) Belgio. Peggio: la constatazione che un modello di convivenza, quello detto del ?multiculturalismo?, sia in crisi. Peggio: la tracotanza e la soddisfazione con cui molti politici, analisti e intellettuali – di destra ma non solo di destra, italiani ma non solo italiani – hanno accolto come una buona notizia a lungo attesa, o come una conferma delle proprie tesi, i segnali della crisi non solo del multiculturalismo ma – per inferenza e profezia – anche di ogni altro possibile modello di convivenza. Ecco, la cosa peggiore, tra tutte le pessime che stanno accadendo nel famoso occidente (minuscolo), è questa: la soddisfazione mal dissimulata di molti per una notizia che – comunque la si giri, comunque si giudichi il modello multiculturale – di positivo non ha proprio nulla.
Intendiamoci, gli ingenui sono spesso più pericolosi dei malvagi. Persino una persona autorevole e di provata pacatezza come il primate cattolico d?Olanda, Adrian Simonis, ha detto, all?Avvenire, che quando il multiculturalismo si trasforma in una separazione identitaria carica di odio finisce per esplodere.
Però è tale l?esasperazione ideologica di questo ?build up? culturale della guerra, che sembra sempre più trasformarsi nella classica profezia che si autoavvera. A volte può essere pura rozzezza giornalistica, come quando un cronista di Libero scrive che il multiculturalismo alla tedesca sta per crollare, e non contiene l?entusiasmo per i pogrom prossimi venturi: «Se si proverà che sono stati dei tedeschi a tirar bombe alle moschee» sarà, scrive, la prova non già che i responsabili sono dei pessimi cittadini tedeschi, ma che il (moderato) governo di Berlino non è più in sintonia con i sentimenti del suo popolo? (l?ultima volta che in Germania hanno fatto un ragionamento simile, finì con la Notte dei cristalli).
Ma la cosa più grave e importante da notare è un?altra: è fuori dubbio che, dall?11 settembre a oggi, il fondamentalismo islamico non abbia smesso di dare il peggio di sé (Beslan e altro). Ma è innegabile che anche in occidente c?è chi non ha smesso un solo giorno di svolgere un martellante lavoro per inculcare a politici, giornalisti e semplici cittadini il concetto che la guerra di religione, lo scontro finale tra il Bene e il Male sia già in corso.
In tre anni, i media si sono andati progressivamente riempiendo di un sensazionalismo della notizia anche minima, anche culturalmente relativa, anche non cruciale: l?allarmismo con cui vengono trattate notizie come la querelle sui Crocefissi o la questione del velo in Francia. Persino l?immigrazione, si è trasformata d?un tratto da emergenza sociale in emergenza ?culturale?.
E poi la costante erosione di legittimità a ogni posizione altra. E il trascinamento coatto della stessa Chiesa nell?agone dello scontro, ad esempio con gli appelli simil-episcopali del (laico?) Marcello Pera sulla ?cristianitas?. Persino i cordiali saluti del cardinale Tettamanzi alla comunità islamica di Milano per la fine del Ramadan ormai sollevano polveroni. Come scrive Adriano Sofri nella postfazione a Occidentalismo, di Ian Buruma e Avishai Margalit, «Lo scontro di civiltà sta tra la constatazione e l?auspicio. Il secondo è odioso, la prima non è così infondata». I fatti vanno presi sul serio, la deformazione ideologica costruita a partire dai fatti invece pure.

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