Volontariato

Basta Ipocrisie, o il 2005 ci travolger

Da gennaio cadranno le barriere doganali per le esportazioni dei Paesi poveri. Per il tessile sarà una rivoluzione. Intervista a Marina Salamon.

di Ida Cappiello

Marina Salamon è un?imprenditrice eclettica: produce abiti per bambini, con il marchio Atana, ma è anche azionista della Doxa, leader dei sondaggi. è stata un?ambientalista impegnata nel WWF, ha fatto politica diventando assessore a Venezia, ha la passione della famiglia (sei figli, di cui due in affido): ci sono tutti gli ingredienti per fare impresa in modo socialmente responsabile. Ne abbiamo parlato in libertà. Vita: Lasciamo stare la teoria e passiamo subito alla pratica. In che modo lei è un?imprenditrice responsabile? Marina Salamon: Le faccio un esempio concreto. In casa Doxa gli operatori dei nostri call center, quelli che fanno le interviste, sono tutti a Milano, e hanno il regolare contratto a progetto (ex cococo). Questo in una stagione in cui tutti delocalizzano i call center. Anche noi ci stiamo ragionando proprio in questi giorni: stiamo pensando a un call center in Albania, ma lo facciamo in maniera differente, e cioè insieme alle ong locali: la differenza del costo del lavoro rispetto all?Italia resterà a loro, nessun extraprofitto. Perché l?Italia per l?Albania non sia solo un sogno televisivo, ma un?opportunità. Vita: Imperversano codici etici e bilanci sociali. Su Vita abbiamo ricostruito il caso di Wella, che chiude la fabbrica italiana con 143 operai, anche se guadagna, mentre il suo azionista, Procter&Gamble, nel bilancio di sostenibilità scrive che mette al primo posto gli interessi dei dipendenti. Che ne pensa? Salamon: Forse lo stabilimento era inefficiente? Comunque lo scollamento tra la comunicazione delle imprese e la loro vera vita di produzione e di lavoro aumenterà. Proprio per via della delocalizzazione. Vita: Gli imprenditori parlano sempre di competitività per giustificare scelte dolorose. Ma che cosa c?è dentro questa parola così abusata? Salamon: Sfatiamo un mito che non esiste più da anni: il made in Italy non interessa più a nessuno, e nessuno riesce più a riconoscerlo. Un piumino d?oca di qualità viene fatto in Cina come in Italia, anzi si fa meglio lì perché i contadini allevano le oche e in Italia non più, e costa la metà. Da gennaio 2005, poi, il Wto farà cadere le ultime barriere doganali alle esportazioni dei Paesi poveri e voglio vedere poi come si potrà fare il controllo della filiera produttiva. C?è il problema delle condizioni di lavoro, questo sì, ma sul tema lavoro, di nuovo, i media non ci sono. Non indagano. Vita: Dunque non si tratta di opporsi alle globalizzazione, ma di ?stare più addosso? alle imprese. Con quali mezzi però? Salamon: Le ong sono una risorsa potente per tenere sotto pressione le aziende in giro per il mondo. Vado oltre. Propongo di creare un marchio di qualità etica insieme a loro: si mobilitano i volontari locali e con loro, magari riconoscendo un piccolo compenso per le spese, si fa il monitoraggio delle condizioni di lavoro, o del rispetto dell?ambiente. Vita: Come si può creare più attenzione tra le imprese sulla responsabilità sociale vera? In Confindustria ad esempio? Salamon: Se ne parla, imprenditori sani e sensibili ce ne sono. Ma Confindustria è una specie di ministero. Per far saltare la csr in cima all?agenda occorre una mobilitazione più forte della società civile. Penso a un tavolo di lavoro con teste eccellenti, creative: economisti, sindacalisti, imprenditori: una Cernobbio del sociale. Vita può farsene promotrice, io ci sto da subito.


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