Cultura

Oscar di bilancio. Non solo numeri

Dopo mezzo secolo il più importante riconoscimento italiano, cambia. Per la prima volta i partecipanti oltre al bilancio civilistico hanno dovuto presentare anche quello ambientale.

di Francesco Maggio

A 50 anni l?Oscar di bilancio cambia pelle. E apre al sociale e all?ambiente. Non che prima, perlomeno negli ultimi 15 anni, la manifestazione voluta nel 1954 dal futuro ministro delle Finanze, Roberto Tremelloni per spingere le aziende a essere più trasparenti, abbia trascurato questi aspetti della vita d?impresa. Ma a quelle che pubblicavano un bilancio ambientale o sociale veniva rilasciato un ?semplice? attestato di eccellenza. Un riconoscimento importante, senza dubbio. Ma nulla di più. Triple bottom line Stavolta, invece, cambia tutto. Dopo mezzo secolo di ?onorata carriera?, alla Ferpi, la Federazione relazioni pubbliche italiane che organizza il premio, hanno deciso che far parlare solo i numeri non basta. Che questi, se non ?letti? anche in chiave sociale e ambientale, non sono più sufficienti a spiegare in modo esauriente come va l?azienda. E hanno quindi deciso di cambiare le condizioni di partecipazione. Per essere ammessi all?edizione 2004, la cui cerimonia di premiazione si tiene il primo dicembre a Milano a Piazza Affari, è stata posta come condizione la redazione non solo del bilancio civilistico ma anche di quello ambientale. Inoltre, è stato stabilito che verrà dato valore all?informativa riguardante i valori intangibili, alla disponibilità del bilancio online e alla qualità ed efficacia (per esempio, in termini di numero di copie) della distribuzione. «Si tratta di una decisione maturata lo scorso anno tra i giurati del premio», spiega Gherarda Guastalla Lucchini, segretario generale dell?Oscar di bilancio, «i quali hanno ritenuto che i tempi fossero ormai maturi per non tenere più separati i due documenti. Il trend della rendicontazione tende ormai ad essere sempre più di tipo triple bottom line, ossia economica, sociale e ambientale, e ci è parso opportuno compiere questo salto di qualità culturale, vista anche la ricorrenza del cinquantesimo anniversario». E il non profit, da cinque anni ammesso anch?esso all?Oscar di bilancio, come l?ha presa? «Molto bene», precisa la Guastalla Lucchini, «non c?è stata flessione di partecipazione, anzi è aumentata, anche se nel caso del Terzo settore si può dire che valga una regola in un certo senso ribaltata rispetto al profit: nel non profit è importante che vengano fatti bene innanzitutto i bilanci civilistici perché il bilancio sociale è, per molti versi, il ?primo? bilancio di un ente non profit». A differenza degli anni passati in cui l?ha fatta da padrona la figura giuridica delle fondazioni (hanno vinto quattro fondazioni e una ong), quest?anno tra i finalisti figura solo una fondazione, peraltro di origine bancaria, quella della Cassa di risparmio di Torino. Mentre gli altri finalisti sono la Uildm -Unione italiana lotta alla distrofia muscolare; Con.Solida scarl; l?associazione di volontariato Centro Anziani onlus Porcia; l?Avsi-Associazione volontari per il servizio internazionale (secondo rumors, accreditata come vincitrice). Il modello Avsi «è una bella soddisfazione essere giunti in finale», sottolinea Alberto Piatti, direttore generale di Avsi. «Si tratta di un risultato al quale siamo arrivati dopo tre anni di lavoro. Ma ne è valsa la pena. A noi piace definirci come un?impresa sociale di cooperazione perché organizzazione non governativa è una definizione ?in negativo?». «Ebbene, proprio perché ci sentiamo impresa a tutti gli effetti», aggiunge Piatti, «sappiamo quanto importante sia una rendicontazione efficace, trasparente, puntuale che, peraltro, agevola molto le relazioni con le istituzioni finanziarie e con gli stakeholder». Portatori di interesse che, nel caso di Avsi, sono davvero numerosi visto che opera in 35 Paesi poveri del mondo, sostiene 50mila bambini con progetti socio-educativi, 11mila madri in gravidanza, 3mila ex bambini soldato con programmi di recupero psicosociale, 700 micro imprese con programmi di assistenza tecnica, 30mila sfollati di guerra con programmi di aiuto umanitario.


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