Riforme
Fisco per il Terzo settore: dopo il via libera dell’Europa si apre una nuova fase
L'intervento del direttore scientifico di Terzjus: «Secondo la Commissione, la compatibilità della disciplina italiana con la disciplina europea sulla concorrenza deriva dal fatto che le misure fiscali concernono enti che, ai fini dell’imposta sui redditi, si trovano in una differente situazione, giuridica e di fatto, rispetto alle imprese for profit». Un'interpretazione che apre nuovi scenari anche su altre partite come l'Iva
di Antonio Fici

Qualche giorno fa, precisamente lo scorso 7 marzo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato di aver ricevuto il tanto atteso parere europeo (sotto forma di comfort letter) sulle nuove norme fiscali dedicate agli Enti del Terzo Settore (Ets) nel Codice e specificamente alle imprese sociali nel decreto 112/2017.
Le nuove norme sull’imposta sui redditi di Etse imprese sociali (precisamente quelle di cui agli articoli 79, 80 e 86, d.lgs. 117/2017, e 18, comma 1, d.lgs. 112/2017) sono apparse alla Commissione europea, più specificamente alla Direzione Generale che si occupa di concorrenza e aiuti di Stato, compatibili col diritto dell’Unione europea, ed in particolare con l’art. 107, comma 1, del Trattato sul funzionamento dell’Ue, ovverosia la norma secondo la quale «… sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza». Il giudizio sugli articoli 77 d.lgs. 117/2017 e 18, commi 3-5, d.lgs. 112/2017, è invece ancora sospeso, in attesa di ulteriori colloqui.
Secondo la Commissione, la compatibilità della disciplina italiana con la testé menzionata disciplina europea deriva dal fatto che le misure fiscali in essa contemplate non sono “selettive”, poiché concernono enti che, ai fini dell’imposta sui redditi, si trovano in una differente situazione, giuridica e di fatto, rispetto alle imprese for profit.
L’aspetto fondamentale che rende Ets e imprese sociali differenti dalle imprese for profit consiste nello svolgimento di attività di interesse generale (quelle di cui all’art. 5 Codice del Terzo Settore e 2 d.lgs. 112/2017) e nell’obbligo di reinvestire gli eventuali utili d’impresa, che implica il divieto di loro distribuzione a soci, amministratori, lavoratori, ecc. (art. 8 Ctse art. 3 d.lgs. 112/2017). Il reddito di Ets e imprese sociali, di conseguenza, non è mai individualmente appropriabile da alcuno, essendo puramente strumentale al conseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente. Proprio questo elemento giustifica la non imponibilità dei redditi di Ets e imprese sociali, diversamente da quanto accade per le imprese for profit i cui redditi sono distribuibili ai soci e dunque da questi ultimi appropriabili.
È molto indicativo il fatto che la parziale possibilità per le imprese sociali societarie di distribuire utili ai propri soci non abbia alterato il percorso argomentativo della Commissione e le sue conclusioni. Ciò è dovuto alla circostanza che, sul versante fiscale, l’art. 18, comma 1, d.lgs. 112/2017, stabilisce l’imponibilità degli utili distribuiti ai soci, a differenza che per quelli reinvestiti. V’è dunque piena coerenza con la logica che giustifica l’esenzione dal reddito degli utili non distribuiti.
Il rilascio della comfort letter avvia la Riforma del Terzo settore verso il suo completamento con l’entrata in vigore (dal prossimo periodo d’imposta) del regime fiscale sinora inefficace, con la definitiva abrogazione del d.lgs. 460/1997 sulle Onlus e la scomparsa della relativa qualifica, con l’applicazione agli Ets non commerciali di alcune disposizioni in materia di Iva prima riservate alle Onlus, con l’inapplicabilità agli Ets delle norme della legge 398/1991, ecc.
In questo breve scritto non ci si soffermerà ulteriormente sugli aspetti di novità, già ben posti in evidenza da Gabriele Sepio su queste stesse colonne. Ci si limiterà, piuttosto, ad alcune considerazioni generali, di natura sistematica.
Il giudizio di selettività
La prima è relativa al giudizio di selettività cui si fa costante ricorso nell’interpretazione dell’art. 107, comma 1, Tfue, e sulla base del quale – come sottolineato in precedenza – si valuta compatibile col diritto euro-unionale la nuova disciplina fiscale degli Enti del Terzo Settore e delle imprese sociali.
Il giudizio di selettività presuppone un confronto tra un regime “ordinario” ed un regime che ad esso deroghi. Se la deroga appare giustificabile alla luce della diversa sostanza della fattispecie regolata e dei principi giuridici applicabili alla materia, allora la misura non è selettiva, risultando perciò compatibile con la normativa europea. Così ragionando, tuttavia, si finisce per appiattire le diversità, considerando “derogatoria” una disciplina che potrebbe essere in realtà semplicemente “particolare”. Non si rende un buon servizio al pluralismo delle discipline e delle fattispecie regolate, realizzandosi un’operazione poco convincente e per certi versi anche pericolosa a livello culturale, prima ancora che giuridico.
Consideriamo proprio la vicenda qui esaminata. È curioso che il Governo italiano sia costretto a giustificare la diversità degli Enti del Terzo Settore e delle imprese sociali dal modello (considerato) mainstream dell’impresa con scopo di lucro. È curioso per uno Stato membro dover giustificare per relationem misure fiscali che in realtà hanno una propria logica intrinseca: ad esempio, come potrebbe il legislatore da un lato vincolare le imprese sociali a reinvestire i propri utili e dall’altro lato assoggettare questi utili ad imposizione fiscale? Il regime fiscale è qui inerente alla fattispecie regolata. È un regime particolare, specifico, e non già derogatorio rispetto ad un altro. Ed in generale non si comprende perché regime “ordinario” debba ritenersi quello delle imprese for profit, dal momento che anch’esso è un regime particolare, specifico delle imprese for profit, per le quali la tassazione del reddito d’impresa si spiega in ragione dell’appropriabilità (da parte dei soci investitori) del reddito medesimo (si veda al riguardo il breve ed illuminante contributo di Michael Rushton).
In realtà, dunque, concludendo sul punto, il regime tributario degli Ets e delle imprese sociali non è derogatorio bensì particolare ed adeguato alle specificità di questi enti. Sarebbe pertanto più corretto affermare che esso, più che un aiuto di Stato legittimo poiché non selettivo, non costituisca, in realtà, un aiuto di Stato, non attribuendo alcun vantaggio agli enti destinatari della misura (come in precedenza spiegato, un ente obbligato a reinvestire gli utili d’impresa non può dirsi che tragga vantaggio da una norma che esenti tali utili da imposta). Di conseguenza, le misure riservate agli Ets (e alle imprese sociali) non sempre costituiscono agevolazioni fiscali in senso stretto (così non ci sembra essere con riguardo all’imposta sui redditi). Questo a noi sembra, almeno, il corretto modo di vedere le cose.
Il peso del diritto del Terzo settore
La seconda considerazione attiene al ruolo essenziale, da noi già più volte rimarcato (da ultimo nel Terzjus Report 2024, appena pubblicato), che il diritto del Terzo settore riveste per la tutela e promozione degli enti del Terzo settore. Grazie alle chiare norme di definizione della fattispecie contenute nei d.lgs. 112 e 117 del 2017, è stato agevole per il Governo italiano illustrare all’istituzione europea competente la differenza tra Ets e imprese for profit. Gli Ets svolgono infatti attività di interesse generale (art. 5 d.lgs. 117/2017 e art. 2 d.lgs. 112/2017) e non distribuiscono eventuali utili o avanzi di gestione ma li reinvestono nelle loro attività per perseguire le proprie finalità istituzionali di carattere civico, solidaristico e di utilità sociale (art. 8 d.lgs. 117/2017 e art. 3 d.lgs. 112/2017). Del resto, nell’unica ipotesi in cui la legge consente loro di distribuire utili (quella delle imprese sociali societarie), la medesima legge allo stesso tempo prevede che gli utili impiegati per la distribuzione siano soggetti a tassazione. Non vi fosse stato un quadro così chiaro, sarebbe stato certo più difficile ottenere l’approvazione europea.
Il peso dell’economia sociale per il Terzo settore
La terza ed ultima considerazione riguarda l’economia sociale europea e la rilevanza che quest’ultima assume per il terzo settore e i suoi enti. Com’è noto, Terzo settore ed economia sociale non coincidono. Grosso modo, nella nozione europea di economia sociale, così come fornita dai testi europei in materia (in particolare dalla raccomandazione del 2023), rientrano gli enti del Terzo settore, gli enti non profit e le società cooperative (anche quelle non munite della qualifica di impresa sociale). Tuttavia, questo nuovo insieme organizzativo beneficia le singole parti di cui si compone. Proprio la vicenda del nulla-osta europeo lo dimostra. La Commissione europea, infatti, richiama espressamente nella comfort letter (stando almeno a quanto riferito da Sepio e Sisci) – e non poteva essere diversamente – l’importante pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (resa nel 2011 nel caso Paint Graphos) con la quale sono state ritenute compatibili con la normativa europea sugli aiuti di Stato le misure fiscali previste dal diritto italiano in favore delle società cooperative (di produzione e lavoro), che non sono enti del Terzo settore (se non hanno la qualifica di impresa sociale). Queste agevolazioni, infatti, secondo la Corte europea, non sono selettive poiché le cooperative non sono comparabili alle società con scopo di lucro. Se il discorso vale per le cooperative, non poteva non valere anche per gli Ets e le imprese sociali. È così che la vicinanza tra le diverse categorie di enti dell’economia sociale si rivolge a vantaggio di ciascuna di esse.
Il dibattito europeo sull’economia sociale e la tassazione degli enti che compongono la categoria è oggi molto vivace. Si discute di imposte sui redditi, Iva ed incentivi fiscali quali le donazioni agevolate in favore degli enti dell’economia sociale. La comfort letter appena inviata dalla Commissione europea all’Italia potrà lasciare il segno nella discussione in tema di imposta sui redditi, e contribuire altresì a rendere ancora più nota a livello di Ue una disciplina, quella italiana, già molto studiata ed in parte anche copiata all’estero. Anche le misure promozionali di cui alle norme ancora in discussione (quelle di cui agli articoli 77 d.lgs. 117/2017 e 18, commi 3-5, d.lgs. 112/2017) stanno suscitando molto interesse e la speranza è dunque che anche esse possano presto essere ritenute compatibili col diritto dell’Ue.
Foto: Wikipedia
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