Donne che fanno la differenza

Maria Chiara Roti, saper vedere i talenti degli altri

Da cinque anni è direttore generale di Fondazione Ronald McDonald. Una carriera nella finanza prima di approdare al Terzo settore, ma con un imprinting sociale che le ha fatto sperimentare il volontariato fin dai tempi degli studi. E oggi dice: «Lavorare nel non profit non è una scelta residuale, ha molto a che fare con il desiderio di restituzione e di un purpose»

di Antonietta Nembri

La scelta di Maria Chiara Roti – da cinque anni direttore generale di Fondazione per l’infanzia Ronald McDonald – per il Terzo settore ha radici profonde. C’entrano le sue origini a Reggio Emilia e il volontariato della madre, ma sono anche «scelte che sono maturate nel tempo», assicura. 

Un tempo che l’ha vista studiare scienze politiche e andare in Erasmus in Norvegia e poi Bruxelles e Parigi. Ed è a Bruxelles che inizia la sua vita lavorativa nel mondo della finanza, dove opera per 10 anni arrivando ad avere quello che in gergo viene definito un biglietto da visita “pesante”. «Sono anche gli anni in cui ho cercato di fare volontariato, perché qualunque fosse il mio lavoro o la città dove vivevo o le condizioni anche affettive in cui mi trovavo comunque c’era sempre una ricerca di questo qualcosa, di questo senso, del fare qualcosa nel luogo dove mi trovavo», racconta.

Maria Chiara Roti

Ricorda l’associazione Les petits riens di Bruxelles e i Restos du Coeur a Parigi, «la domenica sera portavamo da mangiare ai senza dimora. Credo che la storia familiare (la madre era volontaria alla mensa dei poveri, ndr) e il contesto di una città come Reggio Emilia dove il welfare è molto forte è qualcosa che resta dentro, tanto che in ogni luogo in cui vado ho sempre cercato di fare qualcosa».

Poi questo legame con il Terzo settore va oltre il volontariato. Come succede?

Quando nel 2012  è nato il mio secondo figlio mi sono messa in discussione, approfittando della pausa maternità. Ho capito che non avrei potuto più conciliare tutto e allora ho deciso di far coincidere il mio lavoro con la mia passione. Quindi arrivo nel non profit e piano piano ricostruisco il mio percorso.

Un passaggio diretto?

No, passo dalla consulenza, ma la cooperazione e il Terzo settore mi conquistano.

E quindi approda in un mondo in cui la presenza femminile è molto alta…

Sì, credo sia perché in noi donne c’è un aspetto di accudimento e di cura della persona che è proprio legato al fatto che siamo donne. Non è una casualità e non è, questo ci tengo a dire, residualità. Cioè non è che uno lavora nel Terzo settore perché non sa che altro fare nella vita, ma vuole fare questo, sente una chiamata, una spia, sente un impegno, alcuni sentono una restituzione, altri il famoso purpose. Ma se si affronta il tema della leadership femminile allora bisogna fare dei passi ulteriori. 

Maria Chiara Roti in Family Room a Niguarda con il presidente della fondazione Pisani

Quali?

Il primo passo che è la scelta. Il secondo è utilizzare la professionalità e quindi la direzione consapevole. Io non ho mai detto “voglio fare il direttore generale”, sta capitando. Però adesso che è capitata la sto percorrendo in modo consapevole, cioè so che per farlo ci vuole leadership. E per la leadership credo che ci vogliono degli elementi e innanzitutto lo studio. 

Conta la persona, indipendentemente dal sesso. I miei modelli nel Terzo settore in questo momento, le persone che chiamo e da cui cerco di imparare, sono due leader maschili: Simone Feder e Ugo Bressanello

Maria Chiara Roti, direttore generale di Fondazione per l’infanzia Ronald McDonald

Quindi ha ripreso gli studi? Cosa in particolare?

Sono arrivata in McDonald a inizio 2020 in piena pandemia, ho avuto un presidente illuminato che ha creduto in me e che ha investito nella mia formazione. Mi ricordo di aver pensato di aver fatto bene, avevo portato nuove idee. Avevo vinto una borsa di studio per un master in Sda Bocconi e la Fondazione ha investito nell’altra parte del master di secondo livello che non avevo vinto. Era una finestra riservata alle donne in Emmas, l’executive master in management della aziende socio-sanitarie e socioassistenziali.

Tornando alla leadership femminile nel Terzo settore, quanto ha a che fare con l’arrivare a ruoli apicali visto che è un mondo in cui c’è già una forte presenza di donne?

Personalmente penso che sia vincente la persona, indipendentemente dal sesso. Se mi si chiede chi sono i miei modelli nel Terzo settore in questo momento, le persone a cui io mi riferisco, leggo e soprattutto chiamo e visito i loro programmi e cerco di imparare da loro, sono due uomini. Sono Simone Feder e Ugo Bressanello. Due leader maschili. 

E la leadership femminile? Ha una sua caratteristica?

Non so se è femminile però per me sono fondamentali i piani di successione. Nel Terzo settore praticamente ci sono dei leader che coincidono con la loro organizzazione. Si va avanti finché ce la si fa, finché si muore, finché succede qualcosa. Il preparare la successione nel nostro mondo è qualcosa di ancora deficitario. Io ci sto lavorando.

Il preparare la successione nel nostro mondo è qualcosa di ancora deficitario. La leadership femminile è quella che si passa  il testimone. Io ci sto lavorando

Maria Chiara Roti

Come?

Ho creato una squadra, ho quattro persone che mi riportano direttamente, sono la prossima generazione, sto investendo in termini di formazione, così come è capitato a me. Sto restituendo, investendo in loro e in termini di affiancamento. La leadership femminile è quella che si passa  il testimone. Se tu sei un leader, capisci anche che un vero leader è quello che capisce chi ha talenti, chi ha quel quid in più, chi vede quella cosa e lascia persone, perché vuole così bene all’organizzazione che andrà oltre il sé.

In apertura Maria Chiara Roti con una famiglia accolta in una Casa Ronald – Tutte le foto sono da ufficio stampa

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