Donne che fanno la differenza
Ilaria Marconetti, la gioia di essere un role model per le bambine
L'allenatrice del progetto Made to play di Fondazione Laureus è una giocatrice di basket che lavora con bambini che provengono da situazioni svantaggiate. «Che bello quando le bambine mi dicono "Da grande voglio essere come te"».

Nelle vite dei più piccoli, trovare un esempio forte può fare la differenza. È proprio questo che fa ogni giorno Ilaria Marconetti, allenatrice di basket del progetto Made to play della Fondazione Laureus: impegnarsi per essere una guida empatica e autorevole per i bambini che le vengono affidati, spesso provenienti da situazioni difficili e svantaggiate.
Com’è diventata allenatrice?
Gioco a basket da quando avevo sette anni, ora ne ho 25. Ho iniziato ad allenare nel 2016, un po’ per caso, in un campo estivo. Sono entrata poi in Laureus nel 2019. I primi anni sono stata vice allenatrice e da tre anni invece ho due gruppi miei, uno di bambini di sette-otto anni e uno di bambini di nove e dieci. Si tratta di bimbi che altrimenti non avrebbero la possibilità di permettersi lo sport – con vari tipi di svantaggio, quindi – intercettati con un lavoro di rete con le insegnanti, gli psicologi e tutte le figure che girano loro attorno. Negli anni mi sono trovata ad affrontare diverse sfide.
Per esempio?
Ho avuto un bambino che era arrivato in prima elementare dall’Egitto e quindi non si trovava coi suoi compagni perché non sapeva la lingua. Quindi entrava in conflitto fisico e verbale con loro: nei primi allenamenti era difficile avere a che fare con lui. Però allo stesso tempo era molto intelligente, riconosceva il fatto di non riuscire a fermarsi in tempo. Da qui abbiamo fatto tutto un lavoro con lui attraverso lo sport. Adesso è un bambino perfettamente integrato e incluso all’interno del gruppo. È per questo che penso che l’obiettivo di Laureus sia dare delle possibilità a bambini che altrimenti non ne avrebbero.

In Laureus lei è definita un role model. Che cosa si intende?
L’ambito del basket è sempre stato considerato maschile. Io sono una ragazza e posso essere d’esempio: i nostri gruppi sono composti per il 50% da bambine, un esempio femminile può fare la differenza. Tante bimbe mi dicono: «Da grande voglio essere come te». Questo fa tanto sia a livello sportivo che a livello relazionale, perché si confidano di più rispetto a come farebbero in altre situazioni.
Quindi essere donna nel suo campo ha delle caratteristiche peculiari e vincenti?
Penso di sì. Io ho due vice allenatori che sono maschi, ma i bambini tendenzialmente vengono da me se devono dirmi che c’è qualcosa che non va. Forse perché riscontrano una maggiore empatia.

Ci sono dei momenti significativi della sua carriera che ricorda in maniera particolare?
Ci sono stati degli eventi belli per i bambini, per esempio quando sono venuti a trovarci i giocatori dell’Olimpia Milano e loro si sono sentiti importanti, cosa che magari non succede di solito nelle loro vite. Vederli così felici ha gratificato anche me. Poi attraverso Laureus quest’estate ho avuto l’opportunità di andare prima a Lione e poi a Parigi per una settimana, per conoscere altre realtà di tutto il mondo che fanno un lavoro simile al nostro. Abbiamo avuto anche l’opportunità di assistere alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi. È stata un’occasione formativa importante che probabilmente altrimenti non avrei avuto l’opportunità di avere.

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