Lo studio
Donne e lavoro, lo zaino che rallenta la salita
L'occupazione femminile? Essenziale per lo sviluppo economico e sociale del Paese, ma l’accesso al mercato del lavoro, la permanenza tra le fila delle occupate e la progressione di carriera restano costellate di ostacoli. Il nuovo Rapporto Cnel-Istat

Stesso sentiero stesso dislivello, un unico punto di partenza. Se due escursionisti, un uomo e una donna, si mettono in cammino, appena inizia la salita lei rallenta: ha uno zaino troppo pesante. Per raccontare la disparità di genere nel mondo del lavoro non basta un’immagine efficace. Servono le storie di chi porta lo zaino, e ancora di più servono i numeri. Li mette in luce il nuovo Rapporto Cnel-Istat sull’occupazione femminile: un volume curato da Cristina Freguja, Maria Clelia Romano e Linda Laura Sabbadini. Realizzato nell’ambito dell’accordo interistituzionale Cnel-Istat con la collaborazione del Comitato per le Pari Opportunità del Cnel, è stato presentato in anteprima questa mattina a Roma.
L’occupazione femminile cresce ma non basta
L’occupazione femminile è cresciuta. «In particolare, nel terzo trimestre 2024, l’incremento tendenziale del numero di occupate è per il 71,3% dovuto alle ultracinquantenni. Rispetto allo stesso periodo del 2008, il tasso di occupazione femminile è di 6,4 punti superiore (per le ultracinquantenni l’aumento raggiunge i 20 punti, contro un valore di appena 1,4 punti per le 25-34enni)», si legge nella relazione. A fare da contraltare, c’è il persistente ampio divario con l’Europa: nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue, rimanendo il valore più basso tra i 27 paesi dell’Unione europea.
Non solo. Nel terzo trimestre 2024, il gap di genere del tasso di occupazione è quasi doppio rispetto alla media europea (17,4 punti contro 9,1 punti): anche in questo caso risulta il valore più elevato.
La mappa della disparità
Alle disparità generazionali, per cittadinanza e livello di istruzione, si sommano le disparità territoriali. Nel secondo trimestre 2024, al Nord sono occupate il 62,4% delle donne con un’età compresa tra 15 e 64 anni, quota che scende al 60,8% nel Centro e diviene poco più di un terzo nel Mezzogiorno (36,9%).
Vulnerabilità lavorativa
Quasi un quarto delle donne che lavorano – quasi 2,5 milioni – presenta elementi di vulnerabilità, contro il 13,8% gli uomini: «Il 19,9% ne sperimenta solamente un tipo (dipendente a tempo determinato, autonomo con o senza dipendenti, part-time involontario), mentre il 4,0%, pari a 411mila occupate, è dipendente a termine o collaboratore insieme al part time involontario. A incidere maggiormente sulla differenza tra uomini e donne è il fatto di svolgere un lavoro a orario ridotto non per scelta: le lavoratrici che hanno come unico elemento di vulnerabilità il part-time involontario sono il 8,6% rispetto al 2,5% degli uomini».
Le percentuali restituiscono geografia e sfumature: sono più vulnerabili le lavoratrici giovani, residenti nel Sud, con bassa istruzione e con background migratorio. «Se si analizza il ruolo in famiglia, i più forti divari di genere riguardo al lavoro standard si registrano tra i genitori (tra i padri la quota di lavoro standard raggiunge il 76,8%, tra le madri non si discosta dal valore medio del 53%), mentre tra le donne nel ruolo di figlie si riscontrano i più forti segnali di debolezza: poco meno della metà sperimenta almeno una vulnerabilità lavorativa (circa un terzo i figli maschi) e il 9,2% due vulnerabilità (4,9% i maschi)».
Oltre al settore agricolo, dove la vulnerabilità coinvolge il 37,0% dei lavoratori, spiccano il settore alberghiero e della ristorazione (41,2%), caratterizzato da una forte presenza di giovani, e quello dei servizi alle famiglie (36,8%), ad alta concentrazione di donne e di lavoratrici straniere. Ma la più forte differenza di genere si registra nel settore del commercio dove la presenza di uomini e donne è più equilibrata, ma la quota di lavoratrici vulnerabili è 13 punti superiore a quella degli uomini.
Dentro lo zaino
A rendere più pesante lo zaino delle donne è soprattutto il carico familiare che continua a rappresentare per molte un motivo di rinuncia all’attività lavorativa, soprattutto in presenza di bambini in età prescolare: «Tra i 25 e i 34 anni, meno della metà delle madri risulta occupata, a fronte di oltre il 60% nella fascia tra i 35 e i 54 anni. Nella fascia di età tra 25 e 54 anni, il tasso di occupazione degli uomini senza figli è del 77,3%, 8,6 punti percentuali in più rispetto alle donne (68,7%). La differenza è di circa 30 punti percentuali quando i genitori hanno figli minori (rispettivamente 91,5 e 61,6%). Le disparità a livello territoriale appaiono molto importanti, legandosi anche alla diversa disponibilità di servizi per la prima infanzia: mentre nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%».
Le donne che non lavorano
Le donne in cerca di lavoro sono poco meno di 1 milione, circa la metà (49,3%) del totale dei disoccupati. Le inattive sono oltre 7,8 milioni, pari al 63,5% del totale degli inattivi nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni. La componente più numerosa è rappresentata dalle madri in coppia (38,6%, oltre 3 milioni). Seguono le figlie (33,5%), che in gran parte continuano gli studi, e le donne in coppia senza figli (14,8%); molto meno numerose le single e le madri sole (rispettivamente 6 e 5,5%).
«Sul totale delle disoccupate», si legge nel documento, «quelle in cerca di lavoro da un anno o più, le cosiddette “disoccupate di lunga durata”, rappresentano la maggioranza, ovvero il 54,3%. La maggior parte delle donne inattive non solo non cerca un’occupazione, ma si dichiara anche non disponibile a lavorare. Approfondendo le ragioni dell’inattività, emerge che sono le motivazioni familiari (indicate dal 33,9% delle inattive) a tenere le donne lontane dal mercato del lavoro; al secondo posto (28,6%) si colloca l’impegno in percorsi di formazione o studio. Il 14,6% non lavora né cerca lavoro perché é in pensione o non interessata a un impiego e il 7,5% (quasi 600mila donne) si dichiara scoraggiata, convinta di non riuscire a trovare un impiego».
La formazione
Un dato interessante riguarda i percorsi di studio. Le donne mostrano una più marcata propensione a proseguire gli studi dopo il titolo di scuola superiore di secondo grado, ma restano in minoranza nell’area Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics): «Per i corsi di laurea in informatica e tecnologie Ict, su 100 immatricolati, solamente 15,1 sono donne; per il gruppo di ingegneria industriale e dell’informazione si supera appena il 24%, mentre per quello di architettura si arriva al 46,6%. Soltanto nel gruppo scientifico le donne sono la maggioranza, rappresentando il 59,4%».
In generale, le donne in Italia sono mediamente più istruite degli uomini: «Nel 2023, il 68,0% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica (62,9% tra gli uomini) e il 24,9% è in possesso di un titolo terziario (18,3% tra gli uomini)». Tuttavia, il maggior investimento femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo e gli indicatori che misurano i ritorni nel mercato del lavoro sono generalmente peggiori per le donne.
Le professioni delle donne
«Nonostante i progressi, la posizione delle donne sul mercato del lavoro è ancora oggi fortemente condizionata da processi di “segregazione” che conducono a una distribuzione non uniforme delle occupazioni tra donne e uomini, concentrando uno dei due generi in determinate professioni o settori di attività», continua il rapporto. Nel 2023, circa la metà dell’occupazione femminile risulta concentrata in sole 21 professioni, mentre per gli uomini questo valore raggiunge ben 53.
Il soffitto di cristallo
«Le donne coprono ancora una quota minoritaria dei seggi in Parlamento. Tra i sindaci la rappresentanza femminile si ferma al 15,4%: soltanto due dei 20 Comuni capoluogo hanno sindaci donna. Nessuna donna invece è a guida di una delle nove Città Metropolitane, dove anche tra i consiglieri la presenza femminile scende al 30,6%. Crescono le donne tra i componenti dei cda delle imprese quotate in borsa, ma tra gli amministratori delegati le donne sono soltanto il 2,9%».

Infine, le donne continuano a guadagnare di meno. «Nonostante dal 2015 al 2022 – ultimo anno disponibile dei dati provenienti dagli archivi amministrativi – il numero di donne occupate sia cresciuto più rapidamente di quello degli uomini (+13,3 % contro il +12,8%) e il loro monte retributivo annuo sia cresciuto in termini reali del 5% (contro il 3,2% degli uomini), il differenziale di genere tra le retribuzioni medie resta piuttosto marcato, superiore ai seimila euro su base annua a vantaggio dei dipendenti maschi».
La fotografia è di Chad Madden su Unsplash
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